Virginia Woolf: una biografia

Virginia Woolf: una biografia


Carissimo, sento proprio che sto per impazzire di nuovo. So che non possiamo assolutamente affrontare di nuovo quei momenti terribili. E questa volta non guarirò. Comincio a sentire delle voci e non riesco a concentrarmi. Così mi sono decisa a fare ciò che sembra la cosa migliore. Tu mi hai dato la più grande possibile felicità …non penso che due persone possano essere state più felici di noi fino al sopraggiungere di questa terribile malattia. Non ce la faccio più a lottare. So che adesso sto rovinando la tua vita e che senza di me riusciresti a lavorare. …voglio dirti, tutti lo sanno, che se qualcuno avesse potuto salvarmi, saresti stato tu. Tutto se ne è andato da me tranne la certezza della tua bontà. Io non posso proprio continuare a rovinarti la vita.

Dopo aver scritto queste righe al marito, Virginia se ne andò incontro al suo ineludibile, quanto cercato, destino e con tutta probabilità le balenarono come autentici flashes le tappe della sua tormentata vita.

Era nata a Londra il 25 gennaio 1882 da Julia Jackson Duckworth, proveniente da famiglia di editori, e da Leslie Stephen, forse il più grande critico letterario del tempo nonché fondatore del “Dictionary of National Biography”. Entrambi vedovi, avevano avuto già quattro figli, tre lei e uno lui, e insieme ne ebbero altri quattro. Virginia fu la settima in ordine di tempo.

Benché di condizioni più che agiate, l’adolescenza fu un periodo triste per la nostra protagonista; se infatti da un lato le fu consentito di vivere da subito in ambienti intellettuali, da un altro lato non poté provare quelle emozioni ed esperienze che i giovani della sua età sono disposti a provare. L’istruzione infatti le venne impartita in casa, per le materie scientifiche dal padre e per quelle letterarie dalla madre “… sempre sola fra i libri di mio padre…”.

Oltretutto ebbe dei lutti, uno di seguito all’altro: sua madre morì quasi subito nel 1895 e la sorellastra Stella, che prese il suo posto, morì due anni dopo. Il padre aveva un cancro che lo portò ad una morte lenta nel 1904. E così quando nel 1906 morì anche il suo adorato fratello Thoby, con il quale condivideva l’amore verso le lettere, ebbe a passare una lunga crisi depressiva.

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A dire la verità la prima crisi l’aveva avuta a tredici anni, in seguito alla morte della madre (ma non fu solo questo il motivo, come vedremo avanti) e durò sei mesi. I medici che la ebbero in cura erano i più acclamati, soprattutto gli psichiatri, ma non avevano da offrirle un trattamento specifico e valido a quel tempo.

Probabilmente c’era una familiarità se suo padre, affetto da un pessimismo cupo, ebbe due lievi attacchi di depressione e soffriva di insonnia; suo nonno ebbe tre crisi serie che gli compromisero la carriera di avvocato; suo cugino, da parte di padre, a venti anni sviluppò una paranoia che lo portò a morire dentro una casa di cura; gli stessi fratelli, Thoby, Vanessa e Adrian soffrirono di episodi analoghi.

Nel caso specifico di Virginia si può supporre che la malattia fu una conseguenza anche degli abusi sessuali di cui fu vittima a dodici anni da parte del fratellastro George Duckworth.

Comunque nel 1904 Virgina andò ad abitare con sua sorella Vanessa e gli altri due fratelli nel quartiere di Bloomsbury dove fondarono il ‘gruppo di Bloomsbury’, un circolo culturale di artisti e scrittori. Tramite suo fratello Thoby, studente presso l’università di Cambridge, aveva infatti conosciuto uomini illustri quali Bertrand Russel, Ludwig Wittgenstein e Leonard Woolf.

La sua personalità era un misto di timidezza ed esuberanza. Fra gli amici non passava di certo per essere depressa, malinconica, ma al contrario per essere un’abile e brillante conversatrice che rideva, si divertiva e spettegolava arrivando a maliziose insinuazioni nei confronti di loro. Era impacciata fuori della sua classe sociale e vestiva in modo eccentrico.

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Fu proprio Leonard Woolf, scrittore impegnato politicamente di origine ebraica, a offrire la sua casa per queste riunioni alle quali partecipavano intellettuali che non condividevano il falso e rigido moralismo tipico della società inglese del tempo impermeata di Vittorianesimo.

Sempre nel 1904 Virgina aveva cominciato a lavorare come insegnante nel Collegio di Morley, dando ripetizioni serali alle operaie, dal 1905 si trovava a recensire libri nel Supplemento letterario del Times e a svolgere anche un ruolo attivo nei movimenti femministi per il suffragio delle donne.

Nel 1912 sposò Leonard Woolf, ma l’anno seguente ebbe di nuovo una crisi depressiva che la portò a tentare il suicidio.

Fra una crisi e l’altra, che le davano forti mal di testa, debilitanti tanto da costringerla a stare a letto a riposo, Virginia tuttavia riuscì a produrre tantissimo, quasi che la malattia le procurasse una sorta di fonte di ispirazione. Scriverà più tardi alla sua amica Ethel Smyth “…la pazzia è una cosa terrificante, da scongiurare, e nella sua tempesta di lava io trovo la maggior parte delle cose che scrivo…”

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Nel 1915 pubblicò il suo primo romanzo, “La crociera”, con il quale iniziò la sua fortunata carriera letteraria. Seguirono “Notte e giorno”(1919) e “La stanza di Jakob (1922) dove sperimentò una nuova tecnica narrativa in cui al dialogo fra i personaggi si preferiva una sorta di monologo interiore, il cosiddetto ‘flusso di coscienza’. In un articolo apparso su “Nation” espresse esattamente il suo pensiero in proposito, criticando il realismo di Arnold Bennett a favore di una maggiore attenzione all’introspezione; l’articolo segnò un passo importante per lo sviluppo di ciò che divenne noto come il “Modernismo”.

La massima espressione di questa corrente fu rappresentata dalle opere seguenti: -“Mrs Dalloway”(1925), la cui vicenda si svolge in un arco di tempo di dodici ore,  “Gita al faro”(1927), forse il suo capolavoro, in cui vengono fatte rivivere, attraverso certi personaggi, persone importanti della sua vita, dal padre ai fratelli etc., e infine “Le onde”(1931).

Con il marito aveva fondato già nel 1917 una casa editrice, la “Hogarth Press”: era infatti intenzione di Leonard infonderle sicurezza e fiducia in sé per sconfiggere così la malattia sempre latente, ma, in breve tempo, tale iniziativa acquistò un tale prestigio da costituire un punto di riferimento imprescindibile per la cultura in Inghilterra.

Nel 1920 Virginia iniziò una relazione con la scrittrice Vita Sackville-West che celebrò nel romanzo “Orlando” edito nel 1928, biografia immaginaria della sua bella, giovane e aristocratica amica attraverso le reincarnazioni del protagonista Orlando, nella quale esplorò i temi dell’ambiguità sessuale.

Ebbe sicuramente altri flirts con donne ma probabilmente non si trattò mai di relazioni fisiche. Scrisse anche opere di carattere socio-politico, nel 1929 con “Una stanza tutta per sé “ e nel 1938 con “Tre ghinee” dove affrontò il tema del bisogno d’ indipendenza economica delle donne e le conseguenze negative di una società maschilista.

Il periodo di tempo che va dall’aprile 1940 al gennaio 1941 fu di grande tensione per tutti, soprattutto per quelli che se ne stavano nel sud dell’Inghilterra con i raids aerei e la minaccia imminente di invasione da parte dei tedeschi, ma Leonard pensava che la moglie stesse meglio.

Avevano parlato tra di loro e con gli amici circa il da farsi in caso di un’invasione tedesca; non avevano alcuna illusione sul destino di un ebreo intellettuale, per giunta molto attivo politicamente e sua moglie. “…noi eravamo d’accordo che, se fosse capitato il triste evento, ci saremmo chiusi nel garage e suicidati”, scriverà Leonard.

Nel 1940 il fratello Adrian, diventato psicoanalista, fornì loro delle dosi letali di morfina da prendere nel caso di una invasione tedesca, ma questa fu una decisione presa in comune dalla coppia e non un indice di depressione o di pensieri distruttivi che venivano in testa a lei. Fatto è che nel febbraio del 1940 Virginia contrasse l’influenza e passò le prime tre settimane di marzo a letto. Tali attacchi non erano stati insoliti negli ultimi venti anni ed è difficile sapere se fossero stati comuni raffreddori, aggravati magari da bronchiti, o altro; certo è che, il tempo trascorso a letto in questo caso, fu sproporzionato a qualsiasi diagnosi di influenza.

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Per il resto dell’anno sembrò aver recuperato quella energia e carica che l’avevano resa tanto attiva: nel novembre 1940 stava dedicandosi a tre soggetti contemporaneamente. A dicembre aveva finito la bozza del suo ultimo romanzo, “Tra un atto e l’altro” e sembrava entusiasta.

Poi scrisse alla sua amica e dottoressa Octavia Wilberforce che spesso le tremavano le mani, aveva perso tutto il potere sulle parole e non riusciva a fare più niente con esse. Leonard Woolf aveva notato i primi sintomi di disturbi mentali il 25 gennaio, giorno del suo compleanno, quando dalla iniziale soddisfazione per il lavoro ultimato passò alla ferma convinzione che sarebbe stato un fiasco.

Il 26 marzo Leonard suggerì a Virginia di andare a trovare la sua amica Octavia per parlarci, un po’ come amica e un po’ come dottoressa. La scrittrice ebbe un lungo colloquio con Octavia che si presentò poi al marito per trovare una soluzione. Pensarono entrambi che era più sicuro al momento non fare niente e ciò procurò in seguito a Leonard motivo di rammarico per tutta la vita.

Il 28 marzo 1941, alle 11:30 di mattina, all’età di 59 anni, Virginia prese il suo bastone da passeggio, lasciò la sua casa di campagna a Rodmell, nel Sussex, e se ne andò verso il fiume Ouse dove, dopo essersi messa una pesante pietra nella tasca del vestito, si lasciò annegare.

Il suo corpo fu ritrovato solo il 18 aprile. Fu cremata con cerimonia privata a Brighton il 21 e le sue ceneri furono disperse sotto uno dei due olmi nella casa di campagna.

Lanfranco Bruzzesi


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