Linguaggio e contenuti dell’educazione sessuale

L’educazione sessuale viene spesso scissa in aspetti relativi all’‘informazione’ (insieme delle cognizioni) e aspetti relativi alla ‘formazione’ (insieme delle norme). I responsabili dell’educazione (genitori, insegnanti, catechisti) si sono sempre garantiti la ‘formazione’, per avere un maggior controllo sulle scelte pedagogiche, lasciando agli ‘specialisti’ la sola ‘informazione’ che, essendo espressa in termini scientifici, può anche spingersi in territori più spinosi.

Questo tipo di scelta però ha contribuito a dividere l’argomento complessivo della sessualità in una serie di segmenti tra loro non connessi : il medico, il ginecologo, lo psicologo, il sociologo, il legale, il moralista ecc. svolgono ciascuno la propria parte, per gli aspetti specialistici che gli competono. In questo modo però ogni ‘specialista’ parla del sesso solo secondo una prospettiva e lo fa diventare “solo” contraccezione, “solo” fantasia, “solo” condotta, salvo poi osservare che, nella pratica, questi specialisti spesso sconfinano dai loro campi di studio, ingenerando ancora più confusione, come quando lo psicologo si mette a fare il moralista, o quando il moralista si mette a fare lo psicologo.

Parlare di sesso non è facile: la sessualità umana, così tanto influenzata dai fattori culturali, si esprime soprattutto in una dimensione simbolica, fatta di allusioni, di ambiguità, di paradossi. Essa passa attraverso ciò che è appena intravisto, appena accennato, appena mostrato. Il linguaggio tecnico che normalmente si utilizza per l’educazione sessuale, che tenta di rendere trasparente la realtà, ha invece l’effetto di devitalizzare l’universo simbolico in cui essa è iscritta, per cui alla fine dice sulla sessualità, ma non della sessualità e consente più un ‘sapere’ che un vero ‘conoscere’.

Se l’educazione sessuale fosse invece affidata ad un linguaggio osceno, ad immagini pornografiche la cui crudezza e immediatezza non lasciassero spazio a mascheramenti accadrebbe esattamente la stessa cosa : il linguaggio pornografico o osceno, così come quello tecnico diventa presto noioso, al pari di qualsiasi ‘istruzione per l’uso’, a meno he chi llo ascolta non riesca a ri-simbolizzarlo in modo personale, in modo da riattivare la fantasia.

Si tratta infatti di due linguaggi in cui vi è assoluta coincidenza fra ciò che si dice e ciò che si vuole dire, fra ‘rappresentante’ e ‘rappresentato’, tralasciando qualsiasi allusione. Dunque, perché vi sia attenzione da parte di chi ascolta, perché vi sia pregnanza educativa, nell’educazione sessuale andrebbero evitati sia l’uno che l’altro tipo di rappresentazione della sessualità.

Non esiste dunque un linguaggio ‘ideale’ per parlare di sessualità : il linguaggio per l’educazione sessuale non è una ricetta di cucina che serve per preparare sempre la stessa torta: gli educatori devono mettersi in sintonia con i bisogni e l’esperienza interiore di chi ascolta, adeguando il linguaggio alle persone, alle situazioni, alle condizioni in cui si opera, tentando di ridimensionare quello iato che spesso si riscontra fra i termini asettici del linguaggio tecnico e quelli fin troppo fantasiosi degli adolescenti.

Perché vi sia ascolto, perché vi sia attenzione occorre utilizzare gli espedienti stessi della sessualità e cioè un linguaggio che si ponga a mezza strada fra il reale e la fumosità del ‘non detto’: l’obiettivo non può essere insomma quello di svelare il mistero, perché i misteri possono essere spiegati, ma non svelati.

L’obiettivo dell’educazione sessuale consiste nel favorire la consapevole gestione delle proprie pulsioni e la capacità di progettarsi in relazione alle possibili scelte, responsabilità, espressioni creative e comunicative. Non ci si deve muovere da verità precostituite o da modelli prefissati, ma dalla considerazione delle potenzialità da sviluppare, pensando la sessualità come un valore positivo, parte integrante della identità personale e non disgiunta dagli altri fattori di personalità, cioè quelli intellettivi, affettivi e morali.

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L’obiettivo dell’educazione sessuale non può essere nemmeno quello di svelare il suo mistero, cercando di destrutturare e devitalizzare i simboli di cui essa si serve, per imporla come una semplice funzione biologica.

Prevaleora la concezione di una educazione al proprio corpo, che lo pone a fondamento di una percezione del proprio essere, del sé. La sessualità deve essere intesa come espressione di tutto il corpo e dell’intera persona. Educazione sessuale significa oggi educazione al proprio corpo, come insieme e come unità. L’obiettivo deve essere allora l’educazione al e del proprio corpo, come substrato all’affettività e, più in generale, ai sentimenti. Il sesso rientra così a pieno titolo nelle espressioni della personalità e quindi si umanizza.

Più che di educazione sessuale si dovrebbe parlare di ‘educazione al proprio corpo’ e qualsiasi lavoro dovrebbe iniziare dalla percezione del corpo e da uno studio non tanto teso a misurare come gli adolescenti percepiscono il proprio organo, ma propriamente come vivono il corpo con le sue capacità comunicative, il suo linguaggio e dunque la sua espressione sociale.

Walter La Gatta

Psicolinea.it © Maggio 2009

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