Cybercondria: l’ipocondria attraverso Internet

Cybercondria: l’ipocondria attraverso Internet

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Come si sa, l’ipocondria si riferisce alla preoccupazione eccessiva e infondata di una persona riguardo alle condizioni del proprio stato di salute, nella convinzione che la ricerca di informazioni o le visite mediche gli possano svelare qualche patologia nascosta, di cui altri medici non si sono resi conto. Chi soffre di ipocondria viene chiamato “ipocondriaco” o, nel linguaggio comune, “malato immaginario”.

Da qualche anno sta entrando nell’uso anche il termine “cyberchondria” (in italiano cybercondria o cibercondria), un neologismo che unisce le problematiche dell’ipocondria con il ricorso alle nuove tecnologie.

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Il termine è stato utilizzato per la prima volta nel 2001 in un articolo del quotidiano The Independent, per descrivere ” l’uso eccessivo di internet alla ricerca di siti che parlano di salute”.

Il primo studio sistematico sull’argomento è invece del novembre 2008, eseguito da due ricercatori della Microsoft, Ryen White ed Eric Horvitz, che hanno condotto uno studio su larga scala, per studiare l’esclation nella ricerca di informazioni sulla salute. White e Horvitz hanno infatti definito la cibercondria come la “una escalation di preoccupazioni infondate circa il proprio stato di salute, basate sulla ricerca e la lettura dei risultati forniti dai motori di ricerca.”

Si tratta di un problema abbastanza serio, perché in soggetti predisposti, che hanno a loro disposizione una vasta gamma di informazioni mediche, il semplice sintomo di un mal di testa può facilmente trasformarsi in una sintomatologia tipica del cancro al cervello. Questa convinzione genera uno stato di allarme, per cui la persona continua a cercare, per giorni o mesi, ulteriori informazioni, aumentando il suo stato di ansia, aumentando la sensibilità ai sintomi di cui ha timore ed interrompendo i compiti che sta svolgendo nella giornata.

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Detto questo, non vi è dubbio che Internet rappresenti oggi una grande risorsa per le persone preoccupate per il proprio stato di salute, le quali cercano in Rete informazioni, ancor prima di farsi visitare da un medico. Non sempre, inoltre, va detto, le informazioni che si trovano su Internet sono sbagliate: spesso si ha la possibilità di trovare delle diagnosi molto precise, che possono addirittura illuminare i medici.

In un articolo pubblicato nel 2009 dall’American Medical Informatics Association, White e Horvitz hanno affermato che l’escalation nella ricerca di informazioni mediche sul web a causa di preoccupazioni che riguardano il proprio stato di salute si verifica sempre più frequentemente, in circa una persona su cinque.

Ovviamente, le persone predisposte agli stati ansiosi sono più esposte al rischio. White e Horvitz suggeriscono pertanto che i fornitori di informazioni sulla salute presenti sul Web siano ben consapevoli del rischio potenziale di far aumentare negli utenti le preoccupazioni ipocondriache. Per questo, nell’impossibilità di stabilire un rapporto diretto, sarebbe opportuno che chi scrive su siti e blog sottolineasse sempre l’importanza di non contentarsi di autodiagnosi e autoterapie, ma valorizzasse invece l’interazione medico-paziente, raccomandando visite e indagini periodiche.

Clinica della Timidezza

I pazienti che vanno contro il parere medico, o che si rifiutano di accettare una diagnosi professionale, citando fonti web discutibili, diventano sempre più frequenti e questo rappresenta obiettivamente un ostacolo piuttosto frustrante per il medico che desideri svolgere il proprio lavoro, fornendo al paziente uno standard professionale di assistenza. Ad esempio, un paziente che esageri la sua sintomatologia, a sostegno della propria auto-diagnosi, riducendo o eliminando inconsapevolmente i sintomi contrari, può ridurre, anziché aumentare la capacità del medico di formulare una corretta diagnosi. In caso di dubbio dunque, la raccomandazione è quella di cercare altri pareri medici, prima di affidarsi totalmente a fonti ricavate dal web.

In America, i medici chiamano “Google stack” le stampe di tutte le potenziali diagnosi scaricate da Internet. Si tratta di informazioni mediche veramente di tutti i tipi, utilissime in certi casi, ma pericolose in altri, vista l’enormità dei dati che vengono messi a disposizione dell’utente, da moltissime fonti, con un gergo non sempre comprensibile, spesso in lingua straniera e con raccomandazioni talvolta contrastanti, per sintomi simili.

Poiché però la tecnologia diventa sempre più onnipotente ed è difficile pensare che si possa tornare indietro, non si può che ipotizzare un futuro in cui sempre più persone si rivolgeranno ad Internet per cercare informazioni. Quindi, la domanda che ci si dovrebbe porre è la seguente: cosa può fare Internet per migliorare il lavoro dei professionisti e per offrire agli utenti un migliore stato di salute?

I medici curanti, ad esempio, potrebbero gestire direttamente siti internet o indirizzare i propri pazienti alla consultazione di particolari fonti sicure, basate su informazioni sanitarie nate in ambiente scientifico.


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In ogni caso, è importante che i medici cambino atteggiamento nei confronti dei propri pazienti: può essere simpatico e trendy definire un paziente come “cibercondriaco”, ma il medico dovrebbe comunque dare importanza alle ricerche che gli vengono mostrare, tenendo anche conto del fatto che i pazienti non sono più ingenui e disinformati come accadeva un tempo.

E’ importante però che, a questo scopo, i pazienti collaborino nell’aiutare il medico… Dire di aver scaricato una ricerca, uno studio, una pubblicazione, da Internet o da Google non è sufficiente: i Google stack, per usare il gergo dei medici americani, devono indicare chiaramente la fonte, per essere utilizzabili in modo utile e produttivo.

Walter La Gatta

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Fonti:

Wikipedia
New York Times
Time

Psicolinea.it © Febb 2011

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Unsplash


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