I poveri fumano di più

Un rapporto del 2016 sull’economia del tabacco del National Cancer Institute e dell’Organizzazione mondiale della sanità afferma che “l’uso del tabacco rappresenta una quota significativa delle disparità di salute tra ricchi e poveri” a livello mondiale.

Stati Uniti

La percentuale di adulti fumatori negli Stati Uniti d’America si è ridotta della metà tra il 1965 e il 2006 passando dal 42% al 20,8%con una ulteriore discesa al 18% nel 2012.

Sempre negli USA, i dati dimostrano come siano presenti grandi differenze tra i vari stati: il maggior tasso di fumatori si registra in Kentucky, West Virginia, Oklahoma e Mississippi.

E’ però estremamente interessante notare che 3 su 4 fumatori americani provengono da comunità a basso reddito. Uno studio condotto da Julie Hotchkiss e Melinda Pitts, economista della Federal Reserve Bank of Atlanta (Stati Uniti), ha dimostrato che lo stipendio dei fumatori è in media del 20% inferiore rispetto a quello dei non fumatori.

Secondo alcune teorie, le aziende produttrici di tabacco avrebbero preso di mira le popolazioni a basso reddito, in molti modi e per molti anni, creando disparità nel consumo di sigarette, che in precedenza non esistevano.

Infatti, il tasso di fumo nel 1940 era perfino più alto fra le persone più istruite, cioè prima che gli effetti del fumo sulla salute diventassero noti a tutti.

Negli ultimi 60 anni, le compagnie del tabacco in America hanno cominciato a distrubuire sigarette gratuite ai ragazzi residenti nelle case popolari, emesso buoni per il tabacco da consegnare insieme ai buoni pasto e cercato di distribuire prodotti finanziari, come carte di credito prepagate.

Quanto alle rivendite di tabacco, negli Stati Uniti ci sono circa 375.000 rivenditori  (circa 27 volte più della diffusione dei McDonald’s e 28 volte di più degli Starbucks): essi si trovano in misura maggiore nelle comunità a basso reddito. I quartieri poveri hanno inoltre maggiori probabilità di avere rivenditori di tabacco vicino alle scuole, rispetto ad altri quartieri.

In America si è visto che un terzo della sperimentazione adolescenziale di fumo di sigaretta può essere direttamente attribuito alla pubblicità del tabacco e alle attività promozionali svolte negli ambienti di vendita al dettaglio (attività per fortuna proibite in Italia).

Aumentare il costo delle sigarette è in genere considerato uno dei modi più efficaci per impedire alle persone di continuare a fumare: questo è il motivo per cui l’industria del tabacco investe una quantità enorme di risorse per mantenere bassi i prezzi delle sigarette, per il suo target demografico di persone a basso reddito.

Nel 2015, l’industria del tabacco ha speso oltre l’80% del suo budget di marketing, ovvero $ 7 miliardi, per la riduzione del costo delle sigarette. Big Tobacco ha raccolto oltre $ 71 milioni nel 2016 per finanziare una campagna capace di sconfiggere l’iniziativa del governo californiano di aumentare il costo dei pacchetti di sigarette di $ 2, su un prezzo medio di $ 5,53.

Non è una coincidenza dunque che gli stati americani con i prezzi più bassi delle sigarette abbiano anche i più alti tassi di fumo. Nella Virginia dell’Ovest, dove fumano quasi un quarto degli adulti, si registra un tasso di consumo di tabacco molto più alto rispetto a New York, dove un pacchetto di sigarette costa circa il doppio (circa 13 dollari).

Un’analisi del 2017 ha rilevato che un aumento delle tasse sulle sigarette da 0,71 a 4,63 dollari per pacchetto potrebbe produrre una riduzione dell’8-46 per cento nel consumo di sigarette.

Peraltro, il fumo di sigaretta attuale secondo alcuni rappresenta un rischio maggiore di morte e malattie – in particolare di cancro ai polmoni – rispetto alle sigarette vendute nel 1964, quando fu pubblicato il primo rapporto sul fumo, a causa delle maggiori dosi di nicotina presenti nelle sigarette, al fine di creare maggiore dipendenza.

In Italia (dati 2016)

In Italia i divieti legislativi hanno avuto un impatto significativo sul consumo di sigarette. Per fare un esempio, soltanto un italiano su 10 consente ai propri ospiti fumatori di accendersi una sigaretta in casa.

I fumatori in Italia sono 11,5 milioni, il 22,0% della popolazione: 6,9 milioni di uomini (il 27,3%) e 4,6 milioni di donne (17,2%). Gli ex fumatori rappresentano il 13,5% della popolazione (7,1 milioni) i non fumatori sono invece 33,8 milioni (il 64,4% della popolazione).

Secondo le indagini DOXA condotte tra il 2002 e il 2016, dopo una diminuzione dei consumi, specialmente fra gli uomini, il dato si riporta sui valori registrati nel 2008: gli uomini passano dal 25,1% del 2015 al 27,3% del 2016, le donne dal 16,9% del 2015 al 17,2% del 2016.

Nella fascia di età compresa tra i 25 e 44 anni si registra la prevalenza maggiore di fumatori di entrambi i sessi (24,1% delle donne e 31,9% degli uomini). Fumano di meno gli ultrasessantacinquenni: il 6,9% delle donne e il 18,2% degli uomini.

La distribuzione dei fumatori rispetto alle varie aree geografiche mostra che la prevalenza di fumatori di sesso maschile si registra nelle regioni del Centro Italia (30.4%), mentre la prevalenza di fumatrici è nelle regioni del Nord (19.9%).

Il consumo medio di sigarette al giorno in Italia si conferma intorno alle 13 sigarette.

Il motivo per cui si accende la prima sigaretta è legato all’influenza dei pari: il 60,7% dei fumatori, infatti, ha iniziato perché influenzato dagli amici o dai compagni di scuola.

Anche l’Italia si unisce al trend generale per quanto riguarda il fatto che il maggior consumo di sigarette avviene tra una popolazione relativamente giovane (fascia 25-44 anni) e in fasce meno economicamente sviluppate.

Infine, per quanto riguarda la classifica generale relativa al consumo annuale pro capite di sigarette di tabacco, l’Italia si trova al 34° posto su 132.

Dr. Walter La Gatta

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