Percezione sociale: l'accento di una persona conta più del suo aspetto
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Percezione sociale: l’accento di una persona conta più del suo aspetto

Percezione sociale: l’accento di una persona conta più del suo aspetto

Una lezione divulgativa su Freud e il suo libro "Totem e Tabù"

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La voce è uno strumento potente di comunicazione e identità. Oltre al contenuto del messaggio, ciò che influenza fortemente la percezione altrui è come qualcosa viene detto. Il tono, il ritmo e soprattutto l’accento possono trasmettere informazioni su provenienza, status sociale, livello di istruzione o appartenenza culturale. Gli studi dimostrano che gli accenti non solo influenzano il modo in cui giudichiamo gli altri, ma possono anche determinare opportunità o discriminazioni in contesti come la scuola, il lavoro o la giustizia. Comprendere questi meccanismi è fondamentale per ridurre i pregiudizi e promuovere una comunicazione più empatica e inclusiva. Cerchiamo di saperne di più.

Perché l’accento è così importante nella percezione sociale?

L’accento è un potente segnale d’identità. Comunica informazioni su nazionalità, origine regionale, etnia e classe sociale. Le persone tendono a categorizzare gli altri in base al modo in cui parlano, un processo mentale automatico che serve a semplificare la realtà (Allport, 1954). In alcuni casi, l’accento può addirittura prevalere sull’aspetto fisico come criterio di identificazione. Per esempio, un individuo dall’aspetto italiano che parla con un perfetto accento tedesco verrà percepito principalmente come tedesco (Rakić, Steffens & Mummendey, 2011). 

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Tutti abbiamo un accento?

Sì. Anche chi pensa di parlare in modo “neutro” ha in realtà un accento, spesso quello considerato standard all’interno della propria comunità linguistica (Lippi-Green, 1997). Tuttavia, gli accenti “standard” tendono a essere percepiti come più competenti e socialmente attraenti rispetto a quelli regionali o stranieri (Adank et al., 2013).

Che cos’è il “bias dell’accento proprio”?

È la tendenza a preferire chi parla con il nostro stesso accento. Questo meccanismo di ingroup preference compare già nei primi mesi di vita: a cinque mesi i neonati mostrano più interesse verso chi parla con il loro accento nativo (Kinzler, Dupoux & Spelke, 2007). Anche nei bambini più grandi, l’accento si rivela un fattore più discriminante dell’aspetto fisico: i piccoli preferiscono come amici coloro che parlano come loro, anche se di un’altra etnia (Kinzler, 2009).

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Gli accenti possono cambiare la nostra identità?

Sì. L’accento è parte del nostro senso di sé e può modificarsi nel tempo a seconda del contesto. Chi vive all’estero, ad esempio, tende inconsapevolmente ad adattare il proprio modo di parlare per sentirsi più accettato o per essere compreso meglio. Questo processo, chiamato accomodamento linguistico, può rafforzare l’integrazione ma anche generare conflitti identitari, come la sensazione di “perdere” le proprie radici linguistiche. 

Che cos’è la discriminazione linguistica implicita?

È una forma di pregiudizio che agisce a livello inconscio. Anche persone che si considerano tolleranti possono attribuire, senza rendersene conto, minor credibilità o competenza a chi parla con un accento diverso. Studi recenti mostrano che le aree cerebrali legate alla fiducia si attivano meno quando si ascolta un accento straniero, anche in assenza di intenzioni discriminatorie consapevoli.

Perché a volte “tutti gli accenti stranieri suonano uguali”?

Questo fenomeno è noto come other-accent effect. Quando si ha poca familiarità con un accento, diventa più difficile distinguere le differenze tra parlanti. Di conseguenza, si tende a percepire chi parla con accenti non familiari come “tutti uguali” (Stevenage et al., 2012). Tale difficoltà può avere gravi conseguenze, ad esempio nei riconoscimenti vocali in ambito giudiziario: testimoni che ascoltano voci con accenti stranieri sono meno precisi nell’identificare i sospettati (Kerstholt et al., 2006).


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Gli accenti possono davvero portare a discriminazioni?

Sì. Le ricerche indicano che chi parla con un accento straniero o regionale può essere percepito come meno competente o meno istruito (Gluszek & Dovidio, 2010). Questi pregiudizi influenzano la probabilità di essere assunti, la posizione lavorativa e persino la credibilità delle proprie parole. Ad esempio, le persone con accento straniero vengono considerate meno affidabili anche quando ripetono le stesse frasi dette da un madrelingua (Lev-Ari & Keysar, 2010).

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Esistono accenti considerati più “attraenti” o prestigiosi?

Sì, ma ciò dipende dalle associazioni sociali e culturali. Gli accenti legati a classi sociali elevate o a Paesi considerati influenti tendono a essere percepiti come più piacevoli o prestigiosi (Lippi-Green, 1994). In molte società esiste una vera e propria “gerarchia degli accenti”: negli Stati Uniti, ad esempio, gli accenti americano standard o britannico sono spesso considerati più eleganti rispetto a quelli ispanici o asiatici. Tuttavia, queste percezioni derivano da stereotipi e non da caratteristiche oggettive del suono.

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Perché a volte tendiamo a imitare l’accento degli altri?

Durante la comunicazione si verifica spesso una mimica inconscia: si imitano gesti, espressioni facciali e persino il modo di parlare del proprio interlocutore. Questo fenomeno, chiamato speech alignment o phonetic accommodation, favorisce l’empatia e il senso di connessione (Babel, 2012). Anche se talvolta può risultare imbarazzante, imitare inconsciamente l’accento altrui può rendere la conversazione più fluida e aumentare la simpatia reciproca.

Che impatto hanno gli accenti nel contesto educativo e professionale?

Gli accenti influenzano la percezione di competenza. Gli studenti, ad esempio, giudicano più positivamente e comprendono meglio docenti che parlano con un accento simile al loro (Gill, 1994). Questo non dipende solo dal pregiudizio, ma anche dal carico cognitivo: comprendere un accento meno familiare richiede più sforzo mentale, riducendo la capacità di assimilare i contenuti.

In che modo possiamo ridurre i pregiudizi legati all’accento?

La consapevolezza è il primo passo. Riconoscere che l’accento influisce sulle nostre percezioni aiuta a evitare giudizi automatici e a valorizzare la diversità linguistica. Nelle società sempre più multiculturali, sviluppare un atteggiamento di apertura e rispetto verso gli accenti diversi dal proprio è essenziale per promuovere l’inclusione e il riconoscimento reciproco.

Esiste un “accento globale”?

Alcuni linguisti parlano oggi di accento internazionale o accento neutro globale, una forma di pronuncia semplificata e priva di marcatori regionali, adottata da chi comunica in contesti internazionali. Tuttavia, questo fenomeno solleva interrogativi etici: uniformare gli accenti rischia di cancellare la ricchezza culturale e di rinforzare modelli linguistici legati al potere (ad esempio, l’inglese americano standard).

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Come influisce l’accento sull’autostima?

Chi parla con un accento minoritario o stigmatizzato può sviluppare insicurezza, ansia sociale o senso di inadeguatezza. Questa forma di stress, definita linguistic insecurity, può spingere a modificare o “mascherare” la propria voce per evitare giudizi negativi. La terapia psicologica interculturale può aiutare a riconoscere e valorizzare la propria identità linguistica come parte integrante del sé.

Come si può promuovere un ascolto più inclusivo?

Attraverso l’educazione linguistica e la consapevolezza sociale. In ambito educativo, ad esempio, valorizzare le varietà linguistiche e includere riflessioni sulla diversità fonetica aiuta a ridurre i pregiudizi. A livello personale, si può praticare un ascolto empatico, concentrandosi sul contenuto piuttosto che sulla forma del linguaggio.

Fonte principale

Tamara Rakić, Melanie C. Steffens, Amélie Mummendey. Blinded by the accent! The minor role of looks in ethnic categorizationJournal of Personality and Social Psychology, 2010; DOI: 10.1037/a0021522

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Dr. Giuliana Proietti Psicoterapeuta Sessuologa TERAPIE INDIVIDUALI E DI COPPIA ONLINE La Dottoressa Giuliana Proietti, Psicoterapeuta Sessuologa di Ancona, ha una vasta esperienza pluriennale nel trattamento di singoli e coppie. Lavora prevalentemente online. In presenza riceve a Ancona Fabriano Civitanova Marche e Terni.

  • Delegata del Centro Italiano di Sessuologia per la Regione Umbria
  • Membro del Comitato Scientifico della Federazione Italiana di Sessuologia.
Oltre al lavoro clinico, ha dedicato la sua carriera professionale alla divulgazione del sapere psicologico e sessuologico nei diversi siti che cura online, nei libri pubblicati, e nelle iniziative pubbliche che organizza e a cui partecipa. Per appuntamenti: 347 0375949 (anche whatsapp) mail: g.proietti@psicolinea.it Visita anche: www.giulianaproietti.it Pagina Facebook Profilo Facebook Instagram

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