Carlo Urbani: un ricordo
Il dott. Carlo Urbani non era un missionario né un eroe, ma un medico esperto di malattie tropicali che svolgeva la sua professione seriamente e con passione nei paesi dove ce n’è più bisogno.
La sua vicenda è emblematica di una scelta di vita che molti, medici e non, affrontano lottando con coraggio e generosità per l’accesso alla salute. Nell’Africa sub sahariana come nelle vaste regioni del delta del Mekong ci si trova alle prese con parassiti e malattie in grado di colpire a morte decine di milioni di persone.
Qui la povertà e l’assenza di adeguate strutture sanitarie costituiscono un continuo pericolo e una sfida quotidiana. Questi Paesi devono fare i conti con una minima attesa di vita ma, grazie ai colori e alla vitalità della loro gente, hanno fatto innamorare fino a morirne Carlo Urbani, il quale aveva scelto di viverci esercitando il suo impegno.
Scrivo questa breve biografia di Carlo, per spiegare perché Aicu è interessata a far conoscere il problema delle malattie dimenticate.
Con l’Oms, nel dicembre 1994 Carlo effettua una missione in Mauritania per pianificare il progetto di controllo delle malattie parassitarie, quindi nel marzo 1995 nelle Maldive, dove forma il personale tecnico indispensabile per la diagnosi delle elmintiasi intestinali; scherzando diceva:
“Nessuno a Ginevra crederà che trascorriamo i nostri giorni alle Maldive esaminando campioni di feci dall’alba al tramonto”.
Dopo quell’esperienza, Carlo comincia a lavorare a stretto contatto con l’Oms, per lo più come consulente tecnico nei paesi in via di sviluppo: Mauritania, Nepal e Guinea.
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In Mauritania, Carlo documenta per primo la trasmissione dello Schistosoma mansoni; la Schistosomiasi colpisce circa duecento milioni di persone nel mondo e lo Schistosoma mansoni, responsabile della grave forma intestinale, infetta 54 milioni di persone solo in Africa. Carlo viene premiato dal ministero della Sanità mauritano per il suo impegno e la dedizione.
Nel settembre 1996 si reca in Cambogia inviato da Msf, dove il suo lavoro pionieristico genera un approccio innovativo nel controllo dello Schistosoma mekongi che causa una fibrosi epatica irreversibile nei giovani adulti portando a massive e fatali emorragie esofagee.
Se curata in età scolare con un farmaco (praziquantel) dal costo di pochi centesimi di dollaro, è tuttavia completamente reversibile. Sul fiume Mekong le zone rocciose sono l’habitat naturale per le piccolissime chiocciole anfibie, ospiti intermedi di questa infezione.
Scriveva Carlo:
“…sulla riva qualche bambino più piccolo fa la cacca nel fiume. Una scena normale lungo un fiume tropicale ma è questo il ritratto della trasmissione della schistosomiasi.
Bambini infetti fanno la cacca, nella quale probabilmente ci sono uova di schistosoma. Poco lontano le rocce ospitano la conchiglia che fa diventare infettante la larva, e nella stessa zona altri che nuotano, ed il cerchio si chiude…”
Carlo, con tipica intuizione innovativa, sviluppa un semplice questionario per i bambini delle scuole cui chiede di descrivere la presenza di rocce nelle aree del fiume dove si bagnano, identificando così gli istituti in cui i bambini devono essere curati regolarmente con il praziquantel.
Questa sua intuizione ha ridotto il bisogno di una diagnosi parassitologica costosa, per la lotta contro la schistosomiasi mekongi; oggi i bambini cambogiani ricevono periodicamente le medicine necessarie per prevenire le sequele irreversibili di questa grave malattia.
Nel mese di luglio 1997 Carlo e famiglia vengono evacuati in Thailandia in seguito al colpo di stato successivo alla morte di Pol Pot; rientrano in Cambogia due settimane dopo e vi rimangono fino al settembre 1997.
Rientrato in Italia, diventa il coordinatore italiano di Medici Senza Frontiere (Msf) e, a nome di questa organizzazione, ritira ad Oslo il premio Nobel per la pace, nel 1999; in tale occasione afferma:
“Questo riconoscimento premia la convinzione che salute e dignità umana non sono scindibili e che è un dovere stare vicino alle vittime e garantire i loro diritti”;
rientrato in Italia, alla presenza delle maggiori autorità istituzionali dice:
“…Le prime cause di morte nei paesi in via di sviluppo sono banalissime infezioni, altro che misteriosi morbi esotici! E per queste infezioni, spesso, troppo spesso, le cure non sono disponibili, farmaci ritenuti essenziali dall’Oms sono introvabili e inaccessibili, per viziose regole di un’economia globalizzata che fissa le priorità nel profitto più che nei bisogni.
E cosi i farmaci per l’Aids sono indisponibili per il 95% dei pazienti di Aids nel mondo, molecole con prezzi iperstimati sono al di fuori della portata per proteggere i bambini da mamme sieropositive in paesi che pure avrebbero le tecnologie per prodursi quei farmaci, protetti però da brevetti impietosi della salute umana…”;
di seguito una presa di posizione attualissima:
“…E quali altre possibili le responsabilità, sempre dal nostro punto di vista? Beh, quanto mai attuale la politica di accoglienza dei rifugiati, che prima di complessa emergenza sociale che mina la sicurezza-benessere del paese che li accoglie dovrebbero essere considerati come individui, famiglie, madri con i loro bambini, strappati dalla loro terra, dalla loro cultura, erranti alla ricerca di sicurezza e di quel benessere minimo compatibile con la vita.
Certo, stabilizzare la situazione nei loro paesi di origine per prevenirne la fuga è imperativo, ma per quanti già in cammino il diritto di asilo deve trovare una adeguata risposta politica, tradotta in adeguate misure di accoglienza… ci sentiamo, con l’autorità che il Nobel ci affida, di poter costituire una sorta di piccola spina, un sassolino nella scarpa, che continuerà a ricordare e a diffondere in questo paese le implorazioni di aiuto delle milioni di vittime dalle nostre sale di attesa.
Troppi volti ricordiamo, ognuno di noi, troppi corpi emaciati, mutilati, troppi sorrisi che ci tornano alla mente, per non chiedere con insistenza che le guerre dimenticate, o le epidemie di colera o di peste o la mancanza di farmaci essenziali per la malattia del sonno o per la diarrea, trovino di tanto in tanto qualche spazio in più nelle discussioni politiche nel nostro paese, nelle pagine dei giornali, nelle televisioni.
Forse una pura illusione che la nostra pressione sia utile, ma siamo convinti che, come ripetuto ad Oslo, anche se è vero che le parole non salvano vite umane, il silenzio le uccide”.
Nel 2000 lascia definitivamente l’Ospedale di Macerata, dove lavorava nel Reparto di Malattie Infettive essenzialmente sui malati di Aids, che alla fine degli anni 80 ed anni 90 era considerata la nuova lebbra, una sorta di “castigo di Dio”; i malati erano molto emarginati ed evitati da tutti: l’Aids colpiva a quei tempi essenzialmente tossicodipendenti ed omosessuali e non esistevano terapie, se non un lento “accompagnamento” verso la morte… mi chiama a Macerata per parlarmene e chiede il mio parere su una decisione (che in realtà aveva preso)…forse voleva una conferma; gli ricordo che, da quando eravamo studenti di Medicina, nelle lunghe notti insonni a parlare, mi diceva che voleva fare il medico come il leggendario dott. Schewitzer; era giunto il momento di partire definitivamente; viene dunque assunto dall’Oms come esperto di malattie infettive parassitarie in Cambogia, Cina, Laos e Vietnam e quindi sceglie poi di stabilirsi definitivamente ad Hanoi (Vietnam).
In questo ruolo si adopera e promuove nuove strategie per effettuare il controllo globale delle malattie parassitarie in regioni dove infezioni quali i trematodi del fegato, che colpiscono 17 milioni di persone in Asia, e la cisticercosi sono endemiche. Promuove l’accesso a farmaci antielmintici per la prevenzione delle conseguenze irreversibili, nell’età adulta, dei trematodi intestinali tra cui una grave forma di tumore maligno del fegato.
Carlo Urbani muore il 29 marzo 2003 a Bangkok in seguito alla malattia che lui stesso ha contribuito ad identificare, la Sars (Sindrome acuta respiratoria severa). Nel mese di febbraio era stata richiesta la sua consulenza sul caso clinico di una sospetta polmonite atipica in un uomo di affari americano che era stato ricoverato presso l’ospedale di Hanoi.
Carlo intuisce immediatamente la gravità della malattia ed è consapevole del pericolo dell’infezione. Consiglia allo staff dell’ospedale di adottare misure preventive, quali l’isolamento dei pazienti, maschere con filtro e camici protettivi che non erano presidi di routine in Vietnam; incontra alte cariche del ministero della Sanità, alle quali illustra il pericolo del contagio, il bisogno di isolare i pazienti e controllare i viaggiatori, nonostante il possibile danno all’immagine e all’economia del paese.
Carlo informa anche la task force di sorveglianza globale delle epidemie dell’OMS, lanciando l’allerta mondiale sulla Sars che permetterà la risposta coordinata e globale contro questa nuova malattia.
Grazie a questa azione tempestiva, in Vietnam l’epidemia rimane sotto controllo. Tuttavia, a causa del contatto quotidiano con i pazienti infetti, Carlo contrae la Sars. L’11 marzo a Bangkok viene ricoverato in ospedale e posto in isolamento. Muore tre settimane dopo.
Come detto, Carlo non era un missionario, ma un medico esperto di malattie tropicali che svolgeva la sua professione seriamente e con passione. Un mestiere che porta in certi casi ad esporsi in prima linea.
Carlo era coscienzioso e prudente: certamente non un eroe. Amava la vita, volare in cielo col suo deltaplano sui verdi colli delle Marche, fotografare istanti di vita ed emozioni della gente che incontrava.
Secondo l’OMS, le malattie neglette (dimenticate) sono
“condizioni che infliggono gravi oneri sanitari sulle persone più povere del mondo”;
attualmente sono un miliardo le persone affette da malattie neglette, per la maggior parte bambini in Paesi dell’Africa dove non vi è accesso all’acqua potabile e condizioni igieniche adeguate; tutto questo è aggravato dal concetto dei “farmaci orfani”, ovvero quelli che a causa della infrequenza e frammentazioni di tali patologie, faticano ad incontrare l’impegno nella ricerca e l’interesse economico delle industrie farmaceutiche; questa scarsa domanda ostacola il diritto all’accesso alle cure per tutti.
Scriveva Carlo Urbani:
“Ricordo la prima volta che misi piede in Africa, fresco di studi di medicina tropicale. Aspettavo con ansia di vedere malati affetti da quei misteriosi e affascinanti morbi esotici. Rimasi quasi deluso quando, nella prima giornata di consultazioni mediche, vidi solo bambini gravemente malati o prossimi al decesso per banali infezioni. Diarrea, infezioni delle vie respiratorie: sono queste le prime cause di morte nei paesi in via di sviluppo. Il 95% dei decessi sono dovuti a malattie infettive, per le quali esistono efficaci trattamenti. Ma un terzo della popolazione mondiale non ha accesso ai farmaci essenziali. Gran parte di queste malattie sarebbero facilmente curabili; però, proprio là dove più servono, i farmaci relativi non sono disponibili, spesso perché troppo costosi…mancano nuovi farmaci utili in medicina tropicale, che siano poco tossici, a basso costo ed efficaci per debellare le malattie (parassitarie, per esempio), causa di sofferenza e morte. Basta un dato: negli ultimi 20 anni, tra i 1233 nuovi farmaci offerti dal mercato internazionale, solo 11 avevano come indicazione malattie tropicali, e di questi 7 venivano dalla ricerca veterinaria. Per cui appena lo 0,3% della ricerca farmaceutica contemporanea è indirizzata alle malattie ai vertici di ogni classifica mondiale di morbosità e mortalità. Perché? Semplice, poiché queste malattie imperversano in mercati poco remunerativi. Le priorità sono, quindi, più di ordine economico-commerciale che medico. Se poi talvolta (e c’è l’evidenza) una multinazionale farmaceutica giunge a sintetizzare un farmaco attivo su una malattia tropicale, spesso il fabbricante decide di non commercializzarlo, poiché la sua vendita sarebbe poco remunerativa nei paesi dove i pazienti interessati sono concentrati…”.
E’ doveroso e necessario quindi sensibilizzare quante più persone possibili a tale problematica; questa è la missione di AICU, l’associazione nata per ricordare Carlo Urbani.
Dr. Emilio Amodio
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