Come eliminare i pensieri negativi
Avete mai pronunciato una parola più e più volte fino a quando essa perde il suo significato? È un trucco che molti scoprono nell’infanzia e che permette di capire per la prima volta che le parole non hanno quei significati stabili, definiti, immutabili, che sembrano avere.
Le parole in questo modo si fanno più scivolose, aperte all’interpretazione e intercambiabili.
Comunque, è un gioco divertente : se vi piace, provatelo adesso: dite il vostro nome più e più volte, ad alta voce, fino a quando esso perde tutto il suo significato.
E’ un effetto che gli psicologi hanno studiato, in modo intermittente, per almeno un centinaio di anni. La speranza è che se le parole possono arrivare a non avere più alcun significato attraverso la ripetizione, allora forse anche i pensieri e le idee negative potrebbero essere affrontati nello stesso modo.
Oggi la ripetizione di parole, più e più volte, è parte di una tecnica terapeutica chiamata defusione cognitiva. La teoria sostiene che se si hanno pensieri negativi abituali, che frullano continuamente in testa, il loro potere potrebbe essere disinnescato attraverso la ripetizione.
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Alcuni psicologi considerano questo metodo particolarmente utile nel trattamento della depressione. Questo perché una delle componenti cognitive della depressione sono i pensieri automatici negativi. Come ad esempio quando si pensa a sé stessi e ci si ripete: “sono inutile”, o “sono un idiota”.
Le persone che vivono episodi depressivi spesso sperimentano questi tipi di pensieri all’infinito nella propria testa.
In teoria, quindi, è possibile affrontare i pensieri automatici negativi cercando di scindere il loro significato (ricordate, cercare di sopprimerli non funziona e comporta anzi imprevedibili conseguenze).
Ciò che fanno i terapeuti è cercare di estrarre l’essenza del pensiero, per esempio il concetto di “idiota” e far si che il paziente lo ripeta più e più volte.
Vi potreste chiedere, come ho fatto io quando mi sono imbattuto in questa cosa: è provato che possa funzionare? E se leggete PsyBlog da un po’ di tempo, saprete che non ne avrei parlato se non fosse un fatto provato!
In un recente studio, Masuda et al (2010) hanno reclutato 147 partecipanti, solo pochi dei quali avevano avuto disturbi psicologici. Ogni persona doveva identificare un pensiero negativo su di sé e condensarlo in una sola parola, come ‘idiota’, ‘grasso’ o ‘arrabbiato’. Poi ogni persona doveva dare una valutazione su quanto quella parola la faceva sentire a disagio e quanto credeva che avesse a che fare con lei.
I partecipanti sono stati divisi in cinque gruppi. In uno di essi la parola veniva ripetuta più e più volte, più veloce che si poteva, per 30 secondi, prima di dare nuovamente una valutazione sul disagio provato e sulla credibilità della parola.
I risultati hanno mostrato che rispetto ad altre tecniche di distrazione, a una condizione di controllo e ad una condizione di defusione più debole, la defusione cognitiva completa aveva funzionato meglio. I partecipanti di questo gruppo avevano sperimentato la riduzione più significativa nella credibilità della parola e nel disagio associato a quel pensiero. Anche chi soffriva di sintomi depressivi aveva trovato utile l’esercizio.
Se ripetete il vostro nome ancora e ancora, avrete l’effetto usura. Nel lungo termine è meglio cercare di cambiare il contenuto di questi pensieri, o almeno il rapporto che si ha con loro.
Inoltre, vi sono alcuni nuovi risultati che dimostrano che la defusione cognitiva può essere utile nel lungo termine (Deacon et al., 2011).
Nel frattempo, a volte può capitare di sentire il bisogno di ridurre l’impatto di un pensiero per un po’ e anche una breve tregua può aiutarci a pensare più chiaramente. Quando sentite il bisogno di farlo, provate, vedete cosa succede.
Dr. Jeremy Dean
Articolo originale: How to Give The Slip to Persistent Negative Thoughts, PsyBlog
Riproduzione autorizzata. Traduzione a cura di psicolinea.it
Immagine:
Pixabay
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Jeremy Dean
è un ricercatore presso lo University College London.
E’ laureato in legge e in psicologia. In precedenza ha lavorato anche nel mondo di Internet.