Il lavoro degli infermieri in carcere: molto stress ma anche molta soddisfazione

Provocazioni sessuali, minacce di morte e finzioni di malessere per tentare l’evasione sono solo alcune delle situazioni quotidiane che incontrano gli infermieri che lavorano in carcere. Ciò nonostante, un nuovo studio canadese mostra che gli infermieri che lavorano in carcere hanno in genere scarsi livelli di burnout, rispetto ai colleghi che lavorano in contesti diversi.

Un recente studio, condotto dall’Università di Toronto, Facoltà Bloomberg di infermieristica, ha esaminato il ruolo di 500 infermieri che lavorano nel sistema carcerario provinciale dell’Ontario, il quale si occupa di quasi 9.000 persone, in 30 strutture.

Lo studio, condotto da Joan Almost e Diane Doran, è la prima rassegna globale sugli infermieri che lavorano nelle strutture correzionali in Canada.

Si è così riscontrato che gli infermieri che lavorano nel settore sentono di avere uno scarso controllo sulla loro pratica professionale, a causa delle restrizioni dovute alle ragioni di sicurezza, hanno un minore accesso alle risorse e alle attrezzature necessarie, e un’esperienza più elevata di stress emotivo e di tensione nella relazione col paziente..

Ma nei 17 infermieri intervistati e nei 300 studiati, solo il quattro per cento ha segnalato di aver subito un abuso fisico, un dato che può essere attribuito alla presenza di un funzionario del carcere ogni volta che un infermiere interagisce con un detenuto.

Lo studio ha anche rilevato che, nonostante la soddisfazione sul lavoro sia leggermente inferiore a quella degli infermieri impiegati in altri settori, coloro che lavorano in carcere registrano livelli di burnout inferiori, oltre che un maggiore proposito di rimanere a fare il proprio lavoro.

La Almost attribuisce questo aspetto al fatto che il lavoro in carcere è molto diversificato e richiede agli infermieri di attingere ad una vasta gamma delle loro competenze.

La principale differenza tra carcere e altri settori è che, negli istituti penitenziari, importante non è solo l’assistenza sanitaria, ma anche la sicurezza, dice Linda Ogilvie, responsabile dei servizi sanitari aziendali per il Ministero della Sicurezza della Comunità e dei servizi correzionali e questo è un equilibrio “unico”, molto particolare.

A volte infatti i detenuti cercano di aggirare la sicurezza sostenendo di avere un problema di salute, al fine di lasciare la struttura e andare in ospedale: ad esempio possono dichiarare di avere dolori al petto, il che permette di lasciare la cella per ottenere qualche giorno di ricovero in infermieria.

E’ spesso molto difficile capire se si tratta di una sensazione vera o se il detenuto sta tentando di fuggire dal carcere e inoltre c’è il problema dello stress emotivo, a causa delle allusioni sessuali.

L’ambiente insomma non è favorevole alla costruzione di una relazione terapeutica: se non si dispone di un qualche tipo di meccanismo che impedisca lo stress emotivo diventa un ambiente molto difficile in cui lavorare.

I ricercatori concludono che è la situazione del detenuto, non i suoi comportamenti, che devono essere presi in considerazione: questa visione delle cose può rivelarsi utile per gli infermieri. Inoltre, deve essere chiara la distinzione fra chi chiede aiuto e chi lo offre.

Dr. Giuliana Proietti, psicoterapeuta, Ancona

Fonte: Prison nurses face sex taunts, death threats, CBC

Immagine:Wikimedia

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