Nomi e luoghi della psichiatria moderna

Nomi e luoghi della psichiatria moderna

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La psichiatria moderna inizia a metà del ‘700, quando cioè, per la prima volta, dopo il Medio Evo, i malati di mente cominciarono ad essere riconosciuti come tali e la psichiatria fu considerata una scienza medica, che non trattava niente di sacro, ma riguardava semplicemente una malattia del cervello.

Psichiatria e Freniatria

Il termine “psichiatria” lo si cominciò ad usare a partire dal 1800. Nel 1808 infatti, il tedesco Johann Christian Reil (1759-1813) coniò questo termine, che letteralmente significa “guarire l’anima”, dal greco “psyché”. In Italia, sinonimo di psichiatria fu per lungo tempo il termine “freniatria“, che cominciò a diffondersi intorno al 1875. Il termine “psichiatria” infatti, con quella allusione intrinseca all’anima, non veniva considerato sufficientemente scientifico. Gli scienziati dell’epoca avevano un atteggiamento positivistico e desideravano che questa nuova disciplina rientrasse nelle scienze mediche e non rimanesse dunque una branca della psicologia o della filosofia. Il termine “freniatria”, derivante da concezioni della medicina antica nei confronti di chi manifestava difficoltà di pensiero, appariva più scientifico. Questa terminologia cominciò ad entrare in disuso a partire dai primi anni del ‘900.

Il Prof. Carlo Cazzullo (1915-2010), considerato uno dei padri della psichiatria italiana, viene ricordato perché riuscì a separare la neurologia dalla psichiatria (prima esisteva solo la neuropsichiatria); nel 1959 fondò infatti l’Istituto Italiano di Psichiatria e si batte per dare dignità universitaria a questa disciplina.

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Manicomi 

Il trattamento dei pazienti nei primi manicomi era a volte brutale e focalizzato sul contenimento più che sulle terapie. Nel secolo scorso un soggetto con deficit sensoriale, motorio, psichico, o anche chi viveva in condizioni di povertà o disagio familiare, poteva essere ricoverato in manicomio per anni.

La Salpêtrière, il manicomio di Parigi, nacque originariamente come una fabbrica di polvere da sparo (deve il suo nome al “salpêtre”, o salnitro, uno dei suoi principali componenti).  Nel 1600 vennero richiusi in questo istituto  barboni, vagabondi, ladri e truffatori a seguito di un editto reale  del 1656, il quale aveva lo scopo di ripulire le strade di Parigi dal vizio e dai mendicanti. In breve tempo l’ospedale ospitò 40.000 persone, sui 400.000 abitanti della capitale francese e divenne lo specchio della miseria umana.

Il Manicomio di Chambery, in Savoia, era invece considerato un manicomio modello, in quanto mostrava interesse ad una cura del malato mentale meno coercitiva.

Il manicomio di Roma era il Manicomio di S. Maria della Pietà su Via della Lungara, un luogo in cui venivano creati dei reparti, denominati “quartieri”, riservati alle varie tipologie di ospiti: i tranquilli, i sudici gli agitati e i furiosi (secondo la classificazione adottata nel manicomio romano nel 1864). Al piano terra si trovavano gli uffici amministrativi e i servizi del manicomio. I dormitori dei “tranquilli” erano posti ai piani superiori: essi potevano lasciare le loro stanze di giorno e scendere nei giardini e nei luoghi di lavoro posti al pian terreno, o potevano recarsi in altri luoghi di lavoro esterni. Nel quartiere degli “agitati” e dei “furiosi” erano previste anche “celle di sequestrazione” per i maniaci violenti.

A Milano c’era la Senavra, palazzo storico del ‘500, appartenuto ad ordini religiosi, che nel 1780 fu incamerato dal governo austriaco e trasformato in manicomio. Inizialmente, la Senavra accoglieva non solo i malati di mente, ma anche quelli che oggi chiameremmo “disabili”, ossia persone sorde, mute o cieche, oltre che bambini con malformazioni fisiche abbandonati dai genitori.

A Milano fu poi aperto il manicomio di Monbello, in un palazzo conosciuto come “la villa di Napoleone” (perché l’imperatore francese vi fissò la sua residenza durante la campagna d’Italia), che nel 1865 divenne il manicomio più grande d’Italia.

A Firenze, sotto la direzione di Vincenzo Chiarugi (1759 – 1820) vi era l’ospedale San Bonifazio, dove sappiamo che alloggiavano 500-600 malati mentali sotto la dinastia lorenese. Dalla metà del ‘700 in poi il regolamento dell’ospedale ridusse la costrizione, mostrando un atteggiamento più umano nei confronti dei malati.

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Le cure

Nella psichiatria del ‘700 poiché la malattia mentale veniva considerata una debolezza del malato, si cercava di intervenire con sostanze stimolanti o ricostituenti (ancora nel 1800 del resto si parlava di “nevrastenia”, o debolezza del sistema nervoso).  Altre cure riguardavano  l’escrezione di sostanze che si riteneva potessero provocare la follia (ispirandosi al concetto ippocratico per cui la sostanza che dà fastidio deve essere eliminata attraverso dei purganti), oppure la bagnatura, l’immersione del malato in vasca, ecc.  Un altro intervento terapeutico era quello di muovere il malato, farlo girare (fu inventata all’uopo anche una “macchina rotatoria”, una sedia in cui veniva legato il paziente e fatto girare). In alternativa lo si faceva camminare o lo si mandava a cavallo.

Terapeutica era inoltre considerata l’espressione delle emozioni, allo scopo di liberare il paziente dalla collera, che produceva la follia: per questo si cercava di stimolare forti emozioni nel malato attraverso l’abreazione (scarica emozionale avente una funzione catartica). In altri casi,  seguendo l’idea che la malattia mentale fosse una condizione simile al sonno, si cercava di “svegliare” il paziente con dei forti rumori, ad esempio degli spari.

Per contrastare le idee del malato, si metteva talvolta in atto una sorta di rappresentazione che si riteneva utile per contenere il delirio del malato: in pratica si fingeva che lo “spirito” che possedeva il malato venisse fuori, liberando il paziente dalla sofferenza psichica.

Un altro metodo terapeutico era quello di spingere il malato a pensare a cose concrete, per ridurre i deliri (terapia occupazionale o ergoterapia) e facilitare così la sua partecipazione alla vita sociale e alle attività della vita quotidiana.

Altro ancora: docce ghiacciate, diete sbilanciate, isolamento e contenzione fisica, purghe, salassi, oppio, ecc.

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L’ipnosi

Un discorso a parte merita l’ipnosi, nata con il ‘magnetismo animale’ di Franz Anton Mesmer (1734-1815), una pratica ipnotica legata alla convinzione dell’esistenza di un fluido universale che regola il mondo. La terapia consisteva dunque nel ristabilire l’equilibrio dei fluidi attraverso l’ipnosi, ma anche attraverso il tocco di una bacchetta capace di trasmettere il fluido.

Jean Martin Charcot (1825-1893), presso la Salpetrière di Parigi curava pazienti isterici tramite ipnosi. Charcot ridette dignità scientifica all’ipnotismo, una tecnica che riteneva utile per evidenziare la presenza di una patologia isterica: secondo Charcot infatti solo gli isterici erano ipnotizzabili.  Le sue dimostrazioni erano molto spettacolari, anche a causa della suggestionabilità delle pazienti, che cedevano al carisma personale del medico e alla sua determinazione. Nel 1885 Charcot  accolse fra i suoi allievi anche Sigmund Freud (1856-1939), che era andato a Parigi con una borsa di studio per imparare la tecnica dell’ipnosi, con la quale poter curare le malattie mentali (e da questa impostazione clinica nacque poi la psicoanalisi).

L’ipnosi era alla base anche dell’approccio terapeutico di Hippolyte Bernheim (1840-1919) e di Ambroise-Auguste Liebault (1823-1904). A Nancy Bernheim aveva creato una sua scuola di ipnosi che contestava l’ipotesi di Charcot e riteneva che tutti i soggetti fossero ipnotizzabili (non solo gli isterici). Le due scuole di ipnosi si combatterono duramente.

Clinica della Timidezza

Grandi riformatori

Grande riformatore della psichiatria fu il medico francese Philippe Pinel (1745-1826) sostenitore della rivoluzione francese e direttore di due ospizi parigini fra cui la Salpetrière . E’ famoso perché liberò i malati mentali dalle catene e fu fautore della terapia psichiatrica, oltre che di un ricovero più umano (egli credeva che la cura del malato mentale fosse possibile solo in un luogo strutturato, al di fuori di influenze esterne e con la presenza costante di un medico che seguisse l’evoluzione della malattia). Pinel riconobbe la follia come una malattia del corpo e distinse i malati mentali dai poveri, dai vagabondi e dagli emarginati, cui prima venivano assimilati. Pinel pensava che la malattia mentale fosse legata allo stomaco. Nelle sue dissezioni di cadaveri infatti aveva trovato dei vermi fra intestino e stomaco (in realtà i cadaveri esaminati dal medico francese erano di persone che vivevano di accattonaggio e si nutrivano male e questa era la vera ragione del problema riscontrato).

Jean-Étienne-Dominique Esquirol (1772-1840), principale allievo di Pinel, fu a favore di una politica nazionale della sanità mentale, finanziata con denaro pubblico. Nel suo manuale Des maladies mentales, pubblicato nel 1838, presentava un modello secondo il quale il disturbo mentale era dovuto ad una patologia cerebrale organica, anche se certi disturbi potevano essere scatenati da eventi sociali o psicologici. Anche Esquirol credeva nei benefici terapeutici della reclusione sulla psiche dei criminali (con la calma e il silenzio la mente avrebbe potuto rilassarsi e accogliere pensieri più razionali). A Charenton, a partire dal 1825, gestì uno dei più antichi ospedali psichiatrici di Francia.

Benjamin Rush (1746-1813) includeva nel suo schema di cura generale alcuni trattamenti violenti e alcune pratiche decisamente aggressive, come quello della “sedia tranquillante” in cui il malato poteva guardare solo avanti ed era di fatto contenuto. Vi erano anche sedie girevoli che causavano capogiri, nausea, vomito.

In Gran Bretagna, nel 1796, William Tuke (1732-1822), quacchero, fondò lo York Retreat, un manicomio nazionale per quaccheri. La famiglia Tuke (William, suo figlio e suo nipote) gestì l’asilo di York come se i pazienti fossero membri di una grande famiglia, senza alcuna limitazione, in tranquillità e serenità. Questo approccio ebbe una certa influenza sul valore di una terapia psichiatrica meno contenitiva e punitiva.

Johann Christian Reil (1759-1813) adottò un approccio ispirato al pensiero romantico del tempo:  egli riteneva fosse meglio curare la malattia mentale esercitando un controllo sulla risposta del paziente. Reil era soprattutto un teorico, con poca esperienza clinica diretta. Nella pazzia riconosceva un riflesso delle condizioni sociali, più che una lesione fisica del cervello o un male ereditario. Per lui un disturbo dell’armonia delle funzioni mentali, radicato nel sistema nervoso, poteva essere la causa della follia. Era inoltre convinto che il progresso portasse alla follia.

Pietro Cipriani funzionario del governo borbonico, fu incaricato di dirigere la “Real casa dei matti”. Mise in atto la “terapia morale” elaborata da psichiatri francesi, cui lui era molto vicino, che teneva conto anche della presenza di aspetti psicoeducativi: si pensava che in questo modo le persone potevano essere ricondotte alla ragione.

Giuseppe Girolami dal 1850 aveva conquistato una certa fama, dopo aver diretto il manicomio di Pesaro. Girolami cercò di conciliare i principi dell’alienismo francese e del “trattamento morale” con i principi dello spiritualismo cristiano. Marcate furono le sue critiche al “riduzionismo medico” e quindi a difesa di una psicologia che riteneva essenziale per lo psichiatra.

Carlo Livi  (1823-1877) fu direttore del manicomio di Siena e poi di Reggio Emilia, che organizzò come importante centro per gli studi di psichiatria. Nel  1875 fondò la Rivista sperimentale di freniatria e di medicina legale.

Cesare Lombroso (1835-1909) fu importante per la sua fama internazionale. Si interessò di medicina legale presso l’università di Torino e la sua notorietà è fondamentalmente dovuta a teorie di tipo antropologico: guardando una conformazione cranica, si riesce a capire se la persona tende a delinquere. Alla fine del secolo, era infatti ormai comunemente accettata l’idea che la pazzia, l’immoralità e la sociopatia fossero tutte conseguenze di tratti ereditari e che pertanto la società aveva il dovere di intervenire con la sterilizzazione, l’isolamento, l’educazione rigorosa e il controllo dell’immigrazione. (Le classi più sane dovevano invece essere incoraggiate a riprodursi).

Leggi anche:  La menopausa chirurgica: aspetti psicologici

La Scuola milanese (Verga, Biffi e Castiglioni) dette grande impulso alla società di freniatria:

Andrea Verga (1811-1895) è considerato uno dei “padri” della psichiatria italiana. Nel 1848 divenne direttore del manicomio milanese della Senavra e poi dell’Ospedale Maggiore. Nel 1852 fondò l’Appendice psichiatrica, il primo periodico italiano dedicato alla psichiatria e ispirato ai principi del positivismo scientifico. Nel 1865 ottenne l’incarico di “professore straordinario di dottrina e di clinica delle alienazioni mentali”. E’ ricordato soprattutto per la sua battaglia a favore del riconoscimento della psichiatria quale branca autonoma della medicina e per aver sostenuto la necessità di costruire il nuovo Manicomio provinciale a Mombello, in sostituzione della ormai fatiscente Senavra.

Serafino Biffi (1822-1899) amico e discepolo di Andrea Verga, dal 1851 fu direttore del Manicomio privato di San Celso a Milano. Si impegnò per un trattamento più umano dei malati di mente e per la loro rieducazione.

Cesare Castiglioni (1806-1871) divenne direttore alla Senavra quando Verga si licenziò per andare all’ospedale maggiore di Milano. In breve riuscì a ottenere l’aumento del personale medico e ausiliario, a migliorare le condizioni di vita dei degenti e soprattutto a richiamare l’attenzione delle autorità sulle condizioni di vita dei malati psichiatrici.

Enrico Morselli (1852-1929), insegnò presso le Università di Torino e poi Genova. Si occupò inizialmente di spiritismo, oltre che di psicoanalisi, verso la quale ebbe tuttavia solo un’infatuazione;  nel tempo divenne piuttosto critico verso la disciplina di Freud.

Emil Kraepelin (1856-1926) era uno psichiatra tedesco. Nei suoi scritti considerò con attenzione le variabili psicologiche legate all’ambiente ed infatti fu tra i primi ad elencare situazioni cliniche in cui i fattori sociali influivano pesantemente. Coniò i nomi scientifici di due patologie: la demenza precoce (che poi Bleuler chiamò schizofrenia) e la psicosi maniaco depressiva. Scrisse dei trattati di psichiatria, continuamente rinnovati, ed indirizzò la scienza psichiatrica verso la clinica. Si occupò anche di psichiatria comparata (come veniva trattata la malattia psichiatrica nelle varie zone del mondo).

Eugen Bleuler (1857-1939) , svizzero, fu uno dei più importanti psichiatri europei. Viene ricordato perché ridefinì clinicamente la schizofrenia e l’autismo, di cui coniò anche i relativi termini ed anche perché diresse il Burghölzli, l’ospedale psichiatrico di Zurigo, carica che conservò per circa 30 anni. Ebbe tra i suoi allievi psichiatri destinati a fornire contributi fondamentali alla psichiatria del XX secolo: Carl Gustav Jung, Karl Abraham, Ludwig Binswanger, Hermann Rorschach. Nel 1910 contribuì a fondare la Società Psicoanalitica Internazionale.

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Karl Theodor Jaspers (1883 –1969) fu un filosofo e psichiatra tedesco. Dette un notevole impulso alle riflessioni nel campo della psichiatria, della filosofia, ma anche della teologia e della politica. Nel 1910 pubblicò un testo sulla paranoia nel quale descriveva i casi di alcuni pazienti affetti da questa patologia, fornendo informazioni biografiche relative alle persone in cura e descrivendo il modo in cui gli stessi pazienti interpretavano i loro sintomi. Questo metodo molto innovativo, detto “metodo biografico” si  affermò poi come una delle principali pratiche terapeutiche della moderna psichiatria. Jaspers scrisse Psicopatologia generale, un classico della letteratura psichiatrica.

Adolf Meyer (1866-1950) di origine svizzera, emigrò in America dove insegnò alla Cornell University di New York e poi nella clinica psichiatrica dell’Università John Hopkins. È suo l’uso del termine “igiene mentale”, cioè la capacità di raggiungere e mantenere uno stato di salute mentale. Sua è anche la “terapia occupazionale” il cui scopo è quello di portare il paziente a raggiungere il più alto grado di autonomia nella cura di sé e nelle altre attività della vita quotidiana.

Sigmund Freud (1856-1939) neurologo, tentò di affrontare in altro modo il disturbo mentale, prestando attenzione al funzionamento della psiche del paziente. Freud si rese conto che le differenze fra normalità e follia riguardavano più l’intensità e la quantità dei sintomi, che la loro qualità.

Ivan Petrovič Pavlov (1849-1936)  fu un fisiologo russo, il cui nome è legato alla scoperta del riflesso condizionato (1903). Questa teoria dette vita alla corrente riflessologica che si opponeva alla psicoanalisi, che in Russia non venne bene accolta in quanto considerata come un prodotto del capitalismo borghese. La teoria del riflesso condizionato divenne la base della teoria psicologica del behaviorismo (o comportamentismo) fondata da John Watson (1878-1958), nella quale si affermava che la psiche non poteva essere oggetto di studio, mentre poteva essere compiuta l’analisi del comportamento. Nella terapia comportamentista dunque non si cercava più di capire le ragioni che determinano i comportamenti (come nella psicoanalisi), ma si cercava semplicemente di cambiare i comportamenti patologici con le tecniche ispirate al riflesso condizionato di Pavlov.

Padre Agostino Gemelli (1878-1959)  durante la prima guerra mondiale prestò la sua opera al fronte, come medico e come sacerdote. Nel 1921 fondò a Milano l’Università Cattolica del Sacro Cuore e divenne professore ordinario di psicologia, oltre che direttore del Laboratorio di psicologia sperimentale, nel quale si svilupparono avanzate ricerche su percezione, linguaggio, personalità, orientamento professionale, selezione del personale e rapporto uomo-macchina.

Hermann Rorschach (1884-1922) fu uno psichiatra svizzero, che deve la sua fama all’omonimo test, basato sull’interpretazione di macchie d’inchiostro nere o policrome.

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Frenologia e Fisiognomica

Teorie che ebbero risonanza a livello mondiale ma che si rivelarono non scientifiche furono la frenologia e la fisiognomica. La frenologia fu ideata dal medico tedesco Franz Joseph Gall (1758 – 1828).  Secondo questa teoria le funzioni psichiche dipendono da particolari zone o “regioni” del cervello, che possono essere individuate osservando la forma del cranio. La fisiognomica ugualmente cercava di comprendere le caratteristiche morali e psicologiche di una persona dal suo aspetto fisico e soprattutto dai lineamenti e dalle espressioni del volto. Il principale esponente della fisiognomica pre-positivista fu il pastore svizzero Johann Kaspar Lavater (1741 – 1801).

Il metodo di Geel

Seguendo una leggenda medioevale ispirata ad una martire cristiana, figlia di un re d’Irlanda, si creò a Geel, in Belgio, un culto dedicato a questa santa, che riguardava gli ossessi e gli indemoniati. Nella cappella della martire venivano compiuti dei riti, che dovevano svolgersi alla presenza dei parenti delle persone con disturbi psichici. Non potendo prolungare la permanenza, i parenti delle persone disturbate cominciarono ad affidare i loro cari alle famiglie del luogo. I malati di mente venivano fatti partecipare alla vita agricola e questo fu fonte di ispirazione per molti psichiatri del tempo, che andavano a studiare questo particolare luogo di cura in cui “i matti” venivano accolti in famiglia.

Terapie del 900

La malarioterapia (1917) consisteva nel provocare nei pazienti un’infezione malarica (la malaria porta un accesso febbrile) che sembrava far diminuire i sintomi. Gli psichiatri soprattutto a Roma, allevavano zanzare che servivano per inoculare la malaria.

Coma insulinico (Sakel, 1932, usato fino al 1960).  La terapia consisteva nell’iniettare una dose di insulina, tale da mandare in coma il soggetto a causa della mancanza di zucchero. Terapia simile era la provocazione di una crisi epilettica tramite acetilcolina o altre sostanze.

La terapia elettroconvulsivante (TEC) o elettroshock si basa sull’induzione di convulsioni nel paziente successivamente al passaggio di una corrente elettrica attraverso il cervello. La terapia fu sviluppata e introdotta negli anni trenta dai neurologi italiani Ugo Cerletti e Lucio Bini. Ancora oggi viene applicata per curare le depressioni gravi.

Nel 1936, lo psichiatra Egas Moniz (1874-1955) pubblicava uno studio nel quale descriveva la sua tecnica, consistente nell’aprire il cranio del soggetto e distruggere i lobi frontali del cervello,  ove risiedono le funzioni cerebrali superiori. Questa tecnica, chiamata lobotomia veniva usata soprattutto in caso di grandi agitazioni.

Le terapie psichiatriche maggiormente praticate nell’ultima parte del ‘900 si sono basate sull’uso di psicofarmaci, cioè medicinali che agiscono sul sistema nervoso centrale. Fra essi i più utilizzati sono: gli ansiolitici, gli antidepressivi e i neurolettici (o antipsicotici) e, come stabilizzatori dell’umore, i sali di litio e gli antiepilettici. Sebbene essi vengano ancora prescritti, in tempi più recenti il loro uso è stato largamente rimpiazzato in clinica dagli inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina (SSRI) e dagli inibitori della ricaptazione di serotonina e noradrenalina (SNRI), che in genere presentano meno effetti collateriali.

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L’Antipsichiatria

L’antipsichiatria è rappresentata da movimenti che si pongono in contrasto con le teorie e le pratiche della psichiatria in generale, e della biopsichiatria in particolare. Il termine fu usato per la prima volta da David Cooper (1931-1986) nel 1967 per definire un movimento eterogeneo che contrastava le teorie e le pratiche fondamentali della psichiatria dominante e che riteneva il malato mentale come un’ espressione del disagio sociale.

Franco Basaglia (1924-1980) psichiatra e neurologo, fu ispiratore della legge 180 che cambiò in Italia la normativa riguardo ai manicomi, i quali vennero chiusi nel 1978, promuovendo al loro posto strutture riabilitative sul territorio.

Dr. Giuliana Proietti

 

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Telemaco Signorini, La sala delle agitate al San Bonifazio in Firenze, 1865 Wikimedia



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