Antipsichiatria e legge 180

Antipsichiatria e Legge 180

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A studiare per primi la malattia mentale sono stati, nell’Ottocento, gli anatomisti ed i fisiologi, ma è solo con Emil Kraepelin (1856-1926) che si è cominciato ad inquadrare e a classificare la malattia mentale, presupponendo l’esistenza di una eziologia ancora sconosciuta, poggiante su alterazioni organiche dell’apparato cerebrale.

La diffusione delle idee psicoanalitiche prima ed il contributo di nuove discipline poi, come la filosofia fenomenologica, la sociologia, la psicologia sociale, contribuirono notevolmente ad un costante, ma progressivo affrancamento della nuova scienza psichiatrica dalla neurologia e dunque dall’ambito prettamente organicistico.

In questo quadro culturale è nato il movimento dell’Antipsichiatria, nei primi anni Sessanta. I suoi principali esponenti sono stati Ronald Laing e David Cooper in Inghilterra, Michel Foucault e Félix Guattari in Francia, Franco Basaglia in Italia e Thomas Szasz negli Stati Uniti.

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Alla base di questo modello della malattia mentale vi è un concetto di “violenza”, che il malato subirebbe nei suoi contatti sociali, sin dalla più tenera età. Viene puntato il dito anzitutto sulla famiglia, luogo dove vengono inibite le potenzialità del bambino e dell’adolescente, allo scopo di creare sempre nuovi sudditi del ‘sistema’: occorrono consumatori, carne da cannone, strutture di ubbidienza al potere. Gli individui così condizionati e oppressi possono affollare le fabbriche e ricostituire nuove coppie stabili, procreare altri figli, ricreare altre famiglie, e così perpetuare il ciclo.

In questa visione, tutti coloro che vogliono uscire da questo ingranaggio di mediocrità e di mortale ubbidienza, diventando cittadini liberi, vengono etichettati come nevrotici o pazzi. La famiglia viene dunque individuata come luogo primario di violenza, non solo nei casi di abuso sessuale o maltrattamenti, ma anche solo attraverso il tipo di educazione conformista impartita dai genitori.

Il malato di mente viene visto anzitutto come una vittima dell’oppressione sociale, che tenta in tutti i modi di ‘normalizzarlo’, spingendolo verso il conformismo. In questo senso la follia sarebbe dovuta ad una forma di trasgressione dalla norma sociale, anche laddove si esprima attraverso l’originalità e la genialità.

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Con l’antipsichiatria la scienza ufficiale viene accusata di concentrare la propria attenzione sulla malattia individuale e sulle sue basi organiche, trascurando l’origine sociale dei disturbi psichici.

La psichiatria tradizionale viene vista come una funzione necessaria al “sistema” per sopravvivere attraverso il ‘trattamento’ di tutti i devianti, che vengono esclusi definitivamente dalla vita sociale, grazie all’istituzionalizzazione.

Le ‘cure’ somministrate nei manicomi del tempo (dosi elevate di psicofarmaci, medicinali di nuova invenzione ed ancora in fase di sperimentazione, elettroshock, misure costrittive) vengono considerate forme di violenza sociale su persone fragili, che avevano già dovuto subire violenze da parte della famiglia e della società per il loro mancato adeguamento al conformismo sociale. L’antipsichiatria vuole invece tutelare i diritti di queste persone e lasciarle libere di esprimersi e di reinserirsi nel tessuto sociale.

I manicomi, considerati centri di potere molto rilevanti nell’equilibrio della comunità locale, oltre che campi di manovre clientelari e serbatoi di voti (grazie al clientelismo delle assunzioni di un numero spropositato di addetti) dovevano essere aboliti.

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Così fu in Italia grazie al massimo esponente di questo movimento, lo psichiatra Franco Basaglia (1924-1980), il quale vedeva nello psicoterapeuta, nell’assistente sociale, nello psicologo di fabbrica, nel sociologo industriale, i nuovi amministratori della violenza del potere: ammorbidendo gli attriti, sciogliendo le resistenze, risolvendo i conflitti provocati dalle istituzioni in forma ‘tecnica’, apparentemente riparatrice e dunque non violenta, consentivano in realtà il perpetuarsi della violenza globale ed impedivano di fatto la guarigione dei malati.

Lo psichiatra doveva dunque rifiutare il suo ruolo, sottolineare l’origine sociale dei disturbi psichici e impegnarsi politicamente nell’eliminazione delle contraddizioni sociali, per la trasformazione della società. Così sarebbe nata una società più libera e giusta e la malattia mentale sarebbe drasticamente diminuita.

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La legge n. 180 del 1978, nota come Legge Basaglia, abolì dunque gli ospedali psichiatrici ed istituì i servizi di igiene mentale, per la cura ambulatoriale dei malati di mente.

A posteriori si può senz’altro dire che grazie a questo movimento è stato possibile portare all’attenzione dell’opinione pubblica i numerosi casi di abuso e di violenza perpetrati su persone incapaci di difendersi, la ghettizzazione dei malati, il pessimismo terapeutico che li vedeva come persone ormai definitivamente ‘perse’, che andavano solo sedate ed emarginate, per il bene della società.

Con la legge Basaglia molte persone malate hanno potuto vivere una vita abbastanza ‘normale’, accanto ai familiari, avendo la possibilità di muoversi liberamente, di lavorare, di essere seguiti ‘a distanza’ da un équipe terapeutica che si occupava di migliorare, in tutti i modi, la loro esistenza.

La famiglia infatti ha un ruolo insostituibile nella vita di una persona ed i servizi sociali sono utili solo in quanto riescono ad appoggiare ed aiutare la famiglia dall’esterno.

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Purtroppo però, non tutti i familiari hanno il tempo, la forza, le risorse, per farsi carico dei tanti problemi che sorgono quando qualche familiare si trova in condizioni di disabilità mentale e non sempre i servizi sociali si sono mostrati in grado di sopperire a queste carenze.

In questo senso la legge Basaglia andrebbe forse rivista, in modo da ampliare ulteriormente l’aiuto delle istituzioni alle famiglie che hanno un malato mentale in casa e che non possono essere abbandonate a sé stesse.

C’è da chiedersi tuttavia, ma è solo un’insinuazione, se non esista attualmente una potente lobby di case farmaceutiche, medici psichiatri, e quant’altro, che preme da tempo su certo mondo politico, perché questa legge Basaglia sia definitivamente dichiarata ‘fallita’: non rivista ed adattata ai tempi, ma cancellata dal nostro ordinamento, che potrebbe presto salutare la riapertura dei manicomi. Pardon, delle ‘case di cura’. Private, naturalmente… Rendendo legale ciò che adesso già si fa, tra le pieghe della legge.

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