Edward Bernays l'inventore delle pubbliche relazioni

Edward Bernays: l’inventore delle pubbliche relazioni

Edward Bernays: l’inventore delle pubbliche relazioni


Edward Bernays è un personaggio conosciuto in Italia solo fra gli addetti ai lavori, ma la biografia ed il lavoro di quest’uomo, che è stato considerato dal giornale Life come uno dei cento americani più influenti del ventesimo secolo, è di sicuro interesse anche per chi volesse capire come funziona il mondo della pubblicità e della persuasione occulta.

Bernays si autodefiniva “consulente in pubbliche relazioni”; oggi il suo lavoro si chiama “Spin doctor” (termine inglese la cui traduzione è: dottore del raggiro, manipolatore di opinioni. Lo Spin è infatti un effetto particolare che si dà alla palla da baseball e il termine allude alla manipolazione delle notizie da divulgare). Lo Spin Doctor è dunque un esperto di comunicazione, colui che scrive discorsi per i personaggi pubblici, elabora strategie per le campagne elettorali, è portavoce di partiti, esperto di sondaggi, ecc.

Una Conferenza su Edward Bernays e l'invenzione della Propaganda

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Insieme ad Ivy Lee (soprannominato Poison Ivy per la spiccata capacità di “avvelenare” l’informazione), Edward Bernays fu un precursore nel comprendere quanta importanza potevano avere i mezzi di comunicazione di massa, le mode, i pettegolezzi, ecc. per manipolare l’opinione pubblica.

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Edward Bernays non era un self made-man: le sue origini familiari la dicono lunga sulle conoscenze e le intuizioni che il nostro poteva avere sulla psiche umana e sulla psicologia sociale: era infatti figlio di Anna Freud Bernays (1859-1955) e dunque nipote di Sigmund Freud. (n.b. Anna, la sorella di Freud, non la figlia!)

Anna Freud fu la più fortunata delle sorelle Freud, dal momento che poté morire di morte naturale, in America, anziché sotto la ‘doccia’ di un campo di sterminio in Germania, come accadde invece alle quattro sorelle.

Nata anche lei a Freiberg, terza figlia di Jacob e Amalia Freud, Anna era era la più grande fra le sorelle Freud. Con Sigmund ebbe rapporti difficili. Del resto la mamma, Amalia, privilegiava apertamente il figlio maschio e questo non poteva che suscitare la gelosia di questa sorella che aveva solamente tre anni meno di lui, ma alla quale tutto era negato. Ad esempio Sigmund poteva avere una stanza tutta per sé, mentre le sorelle dovevano stare tutte nella stessa stanza.

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Quando Anna decise di prendere lezioni di piano, Sigmund si oppose perché il rumore lo disturbava e minacciò di andarsene di casa. Nei suoi 16 anni, Anna amava leggere Balzac (1799-1850) e Dumas (1802-1870)ma il fratello Sigmund glielo proibì, perché non era roba per signorine. Freud inoltre sentiva Anna come un’usurpatrice, perché le toglieva parte delle attenzioni paterne.

Nell’ottobre del 1883, Anna Freud si sposò con Eli Bernays, fratello di Martha Bernays, fidanzata e futura moglie di Sigmund. I rapporti fra Anna, Eli e Sigmund per un certo periodo non furono buoni a causa di una questione di denaro: per questo Sigmund non partecipò al loro matrimonio.

La querelle familiare terminò quando Freud aiutò i Bernays ad emigrare in America, dove Eli diventò un ricchissimo uomo di affari. La coppia ebbe cinque figli ed Anna Freud Bernays morì quasi centenaria.

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Edward Bernays era nato il 22 Novembre del 1891 a Vienna, ma crebbe, come si è detto, negli Stati Uniti, anche se trascorse molte delle sue estati in Austria, per conoscere la sua famiglia e il famosissimo zio.

Nel 1912 si laureò presso la Cornell University in agricoltura, ma scelse il giornalismo come sua prima occupazione. Nel 1913 cominciò a lavorare come consulente per organizzare concerti, spettacoli teatrali, ecc. fino a che, nel 1917, il Presidente americano Woodrow Wilson assunse George Creel e fondò il “Committee on Public Information.” al quale parteciparono anche Bernays, Carl Byoir e John Price. Questo team doveva riuscire a convincere gli americani a partecipare alla Prima Guerra Mondiale, alla quale l’opinione pubblica fortemente si opponeva.

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Come la storia ci insegna l’America poté entrare in guerra, dopo che gli americani furono convinti dallo slogan “Fare il Mondo Sicuro per la Democrazia”. Nel 1919 Bernays era un uomo di successo, con molti appoggi politici: aprì dunque in quell’anno il suo primo ufficio come Consulente di Pubbliche Relazioni, a New York. Nel 1922 si sposò con Doris E. Fleischman e l’anno successivo pubblicò il libro Crystallizing Public Opinion, in cui cominciava a delineare le sue strategie di intervento nelle Pubbliche Relazioni.

L’dea di Bernays era fondamentalmente questa: sarebbe stato sicuramente più comodo se un comitato di saggi avesse potuto scegliere i dirigenti politici, dettare il comportamento pubblico e privato, decidere dell’abbigliamento e degli alimenti che la gente deve mangiare, ecc. Poiché però l’America era un Paese democratico, occorreva trovare altre strade per manipolare le opinioni e le abitudini delle masse e queste strade erano la propaganda e le pubbliche relazioni. Chi padroneggiava questi strumenti di intervento sociale costituiva il “governo invisibile”, quello che dirigeva veramente il Paese.

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Bernays osservava che, dei 120 milioni di abitanti che vi erano allora in America, solo pochissime persone erano veramente capaci di comprendere i processi mentali e i modelli sociali delle masse: questo piccolo gruppo di persone tirava le fila, controllava l’opinione pubblica, sfruttava le vecchie forze sociali esistenti, inventando altri modi per organizzare il mondo e di guidarlo.

Per organizzare la società democratica dunque, secondo Bernays, era necessario costituire questa struttura invisibile che, legando inestricabilmente innumerevoli gruppi e associazioni, costituiva lo strumento attraverso il quale il regime democratico poteva organizzare il proprio pensiero collettivo.

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Nella sua analisi storica, Bernays osservava che la Rivoluzione Industriale ottocentesca era riuscita a trasferire il potere dalla aristocrazia alla borghesia: il rischio che al tempo si correva era dunque che il popolo minuto, le masse, potessero giungere al potere. Occorreva, secondo Bernays, profilare una reazione, plasmando l’opinione delle masse, in modo da convincerle ad orientare la forza acquisita nella direzione voluta.

La propaganda, sosteneva Bernays, doveva essere l’organo esecutivo del governo invisibile: dirigenti invisibili dovevano controllare il destino di milioni di esseri umani. Questo in ogni caso non era solo un problema delle democrazie: qualsiasi tipo di ordinamento sociale, monarchico, repubblicano, democratico o comunista; tutti hanno bisogno del consenso dell’opinione pubblica per realizzare i loro progetti.

Il consulente di PR così come lo intendeva Bernays era dunque colui che, servendosi dei mezzi di comunicazione, si incaricava di far conoscere una determinata idea al grande pubblico. Nel farlo, studiava i gruppi che il suo cliente voleva raggiungere ed individuava dei leader che potessero facilitare l’approccio. Influenzando il leader infatti, automaticamente si influenzava anche il suo gruppo di riferimento. I colleghi meno influenti del leader avrebbero con il tempo imitato gli atteggiamenti del leader, contribuendo così alla diffusione dell’idea.

Le idee dell’opinione pubblica, ammoniva Bernays, non dovevano essere attaccate frontalmente, ma occorreva trovare un comune denominatore fra gli interessi del venditore e quello degli acquirenti. Clienti di Bernays furono gruppi cone Procter & Gamble, CBS, the United Fruit Company, the American Tobacco Company, General Electric, Dodge Motors, il Public Health Service.

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18 Marzo 2023, Castelferretti Ancona
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Raccontiamo dunque alcune delle sue famose campagne di persuasione, a cominciare da quella del bacon (pancetta) per la Beechnut Packing. Per promuovere le vendite di questo taglio di carne, Bernays condusse una ricerca, intervistando un campione di medici per chiedere loro che tipo di prima colazione ritenessero migliore per la salute: meglio una prima colazione leggera o sostanziosa? La maggior parte dei medici riferì che riteneva più indicata una prima colazione sostanziosa. Queste conclusioni furono inviate a 5.000 medici, insieme ad una pubblicità che suggeriva di mangiare eggs and bacon (uova e pancetta) per rendere la colazione più sostanziosa. Ebbe successo questa campagna? Per rispondere, basti dire che eggs and bacon è ancora oggi considerata la colazione tipica degli americani.

Bernays capì che per rendere credibile un’idea o vendere un prodotto doveva esserci una «terza parte indipendente» che se ne rendesse garante. Creò quindi numerosissimi Enti e Organizzazioni “indipendenti”, che sfornavano studi «scientifici» e comunicati stampa, i quali venivano così a mescolarsi e a sovrapporsi con quelli emessi da Istituzioni veramente serie e indipendenti.

La più famosa campagna di Bernays rimane comunque quella elaborata per l’American Tobacco Company. A metà degli anni Venti, alle donne era vietato di fumare in pubblico. Consultandosi con lo psicoanalista A.A. Brill, Bernays capì che ciò che le donne desideravano a quei tempi era comportarsi pubblicamente allo stesso modo degli uomini. Così, durante la parata di Pasqua di New York del 1929 Bernays pagò delle ragazze per partecipare alla sfilata, come se fossero suffragette. Al suo segnale, queste donne accesero delle sigarette. Naturalmente non mancava una nutrita schiera di fotografi, assoldati per immortalare l”evento”, che la stampa definì un’accensione di “torce di libertà”. Fu un fatto di cui si parlò in tutto il mondo e, da allora, il fumo fra le donne divenne un segno di emancipazione.

Nel 1928 Bernays pubblicò il libro “Propaganda” (recentemente pubblicato in Italia per la prima volta per la Fausto Lupetti editore), un libro sintetico ma perfino troppo eloquente sulle tecniche messe a punto da Bernays. Del resto, come dice lo storico Scott Cutlip, Bernays era un uomo molto brillante, ma anche molto “fanfarone” (braggart).

Secondo un altro scrittore, Irwin Ross, il nostro si vantava spesso, come è ovvio, di essere il nipote di Sigmund Freud e poi in qualche modo si proponeva alle aziende in difficoltà come psicoanalista per il management e per la scelta degli investimenti. Il suo interesse per la psicoanalisi lo portò anche, negli anni Venti, ad occuparsi personalmente della traduzione in inglese del libro dello zio, Introduzione alla psicoanalisi. I suoi riferimenti teorici, oltre quelli psicoanalitici, furono Ivan Pavlov. Gustave Le Bon e Wilfred Trotter.

Nel 1923 Bernays cominciò ad insegnare anche Pubbliche Relazioni presso la New York University e si interessò della campagna politica del futuro presidente Calvin Coolidge, nel 1924.

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La più estrema propaganda politica di Bernays fu invece condotta per conto della United Fruit Company (oggi Chiquita Brands International) situata negli Stati Uniti, che controllava gran parte del terreno agricolo del Guatemala. Il governo americano aveva allora interesse a rimuovere il presidente democraticamente eletto (1951) Jacobo Arbenz Guzman (Operation PBSUCCESS). Arbenz Guzmán infatti aveva tentato di nazionalizzare la United Fruit Company (UFC), offrendo alla compagnia il compenso di 600.000 dollari, il valore dichiarato dalla Compagnia: molto inferiore alla realtà, per evitare la tassazione.

Nel 1952 il Partito Comunista dei Lavoratori Guatemalteco venne legalizzato; l’UFC e le banche che la sostenevano, collaborarono dunque con la CIA per persuadere l’amministrazione statunitense che Arbenz era un comunista e che stava aprendo la strada a una presa del potere da parte dei comunisti. L’amministrazione americana ordinò alla CIA di sponsorizzare un colpo di stato, rovesciando il governo e costringendo alla fuga Arbenz Guzmán. Bernays si occupò specificamente di far circolare le informazioni su Arbenz fra i maggiori giornali americani. Per il suo lavoro alla United Fruit, sembra sia stato pagato 100.000 dollari all’anno, un guadagno enorme negli anni cinquanta.

Per la Aluminum Company of America (Alcoa), convinse invece il pubblico americano che la fluoridificazione dell’acqua era utile per la salute. Questo obiettivo fu raggiunto grazie alla collaborazione dell’American Dental Association.

Nel 1965 uscì una sua biografia, Biography of an Idea: Memoirs of Public Relations Counsel Edward L. Bernays. Bernays cercava disperatamente il suo posto nella storia e con questo libro creò le basi per essere ricordato come il creatore della sua professione, il consulente di Pubbliche Relazioni. Spesso fu anche deriso dai suoi colleghi per queste sue chiarissime auto-promozioni.

Morì a 104 anni, nel Marzo del 1995, lasciandoci indubbiamente una significativa eredità, che è stata raccolta in varie parti del mondo.

Ironia della sorte, suo ammiratore della prima ora fu il nazista Goebbels, che conservava il libro Propaganda, di Bernays, nella sua biblioteca e che, ispirandosi a queste teorie, costruì la campagna nazista contro gli ebrei. Chiaramente quella campagna non fu frutto di improvvisazione; fu pensata, pianificata.e realizzata attraverso l’attuazione delle idee dell’ebreo Bernays. Basterebbe forse questo particolare per dimostrare che il lavoro di Bernays non serviva a risolvere i conflitti della società democratica e a creare ordine sociale, come diceva l’autore, ma poteva servire anche a sovvertire la democrazia.

Dr. Giuliana Proietti

Relazione sull'Innamoramento - Festival della Coppia 2023

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Per chi non l’avesse ancora letto:

Edward Bernays
PROPAGANDA
della manipolazione dell’opinione pubblica in democrazia
Fausto Lupetti Editore

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Wikimedia

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Chattare: la rinascita della parola scritta

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Una lezione divulgativa su Freud e il suo libro "Totem e Tabù"

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Articolo datato

Negli anni ottanta c’era chi celebrava il funerale della parola scritta. Ormai, si pensava, le comunicazioni avverranno tutte per via telefonica e televisiva: chi si sognerebbe più di scrivere una lettera d’amore o un biglietto d’auguri?

E invece nel duemila abbiamo fatto un tuffo nel passato, anche se con una tecnologia all’avanguardia, ma anche codici comunicativi e galatei ancora da sperimentare. Con le chat, con gli SMS, ecco rispuntare la parola scritta, dietro la quale qualsiasi persona, anche timida, riesce ad esprimere sé stessa, senza gli impedimenti tipici della realtà, accompagnando i suoi discorsi solo con faccine, o smileys, che pretendono di comunicare uno stato d’animo, come i segni 🙂 o :-(, da guardarsi come faccine sorridenti o tristi, in senso orizzontale.

Ed ecco allora che la rete diventa un modo per veicolare emozioni e sentimenti, specialmente fra le persone timide. Passare un’ora in chat è come andare un’ora al bar a prendere qualcosa con gli amici: si parla del più e del meno, si scambiano opinioni, si conoscono persone nuove con le quali condividere gli stessi interessi. Nelle chat infatti si trovano diverse aree tematiche, per cui ognuno entra nella ‘stanza’ dove ha maggiori probabilità di incontrare persone simili. Del resto solo i più socievoli ed estroversi, oppure le persone con tanto tempo libero, potevano effettivamente permettersi finora di poter incontrare quotidianamente degli amici: la maggior parte delle persone, una volta terminato il lavoro, si dedicavano agli impegni e agli obblighi quotidiani, per poi rilassarsi in modo completamente passivo, davanti alla TV.

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La chat è uno spazio libero, attivo, dove puoi entrare quando vuoi e ‘parlare’ con qualcuno o ‘ascoltare’ quello che dicono gli altri; puoi essere te stesso oppure giocare ad essere un altro. Quando si chatta infatti non trema la voce, non si suda, non si diventa rossi: nel perfetto relax offerto dalla propria abitazione, davanti al computer, con lo stesso strumento col quale magari hai lavorato tutto il giorno o attraverso il quale hai cercato informazioni ‘serie’, ora conversi, coperto dall’anonimato, e puoi metterti finalmente in gioco, se lo vuoi, mostrare il tuo lato debole, parlare dei tuoi sentimenti e delle tue inibizioni, tanto se non ti senti compreso puoi sempre uscire dalla stanza o rientrarci cambiando identità.

Parlare senza potersi servire del linguaggio del corpo era già una cosa difficile con il telefono, che però almeno consentiva di farsi un’idea dell’interlocutore dalle tonalità della sua voce: l’emozione delle chat è allora proprio quella di poter parlare veramente con tutti, anche con quelle persone che forse nella vita non si sarebbero mai avvicinate, persone tanto volgari e maleducate o semplicemente ‘diverse’: di altre città, di un altro partito, di un altro ambiente sociale. I dialoghi che nascono da queste strane relazioni sono infarciti di fraintendimenti, di interpretazioni sbagliate, proprio perché ci arrivano del tutto privi di altri segnali utili per capire la psicologia della persona con la quale stiamo parlando.

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Per la verità l’audio ed il video potrebbero essere utilizzati anche in chat: basta installare una videocam, ma sembra che questo modo di conversare in chat non abbia avuto molto successo, perché si viene a perdere quell’anonimato che è il fascino supremo della rete. Quando si chatta infatti ci si sceglie un nick name (e già la scelta di questo soprannome può essere rivelatore della psicologia del personaggio, ma anche del tutto fuoriviante, in quanto magari si può scegliere il nome del nostro eroe, positivo o negativo, oppure ci si può divertire a fare la parte di una persona dell’altro sesso) e si compila un modulo, visibile da tutti, il resumé, cioè una sorta di C.V., dove ognuno rivela alcuni dei suoi dati anagrafici (età, sesso, città di residenza ecc.), che però, come si è detto, non sempre sono veri. Insomma, fra realtà e finzione, ci si conosce, si fa amicizia e magari ci si innamora.

I chatteurs infatti, forse timidi ma non asociali, conoscono le persone in modo virtuale ma, quando le loro amicizie virtuali ‘funzionano’, decidono di conoscersi, dando vita spesso a delle storie profonde e durature d’amore e di amicizia. Essersi incontrati nel web non è come essersi conosciuti in discoteca, questo è sicuro. A differenza di quanto avviene nella realtà infatti, quando ci si conosce in chat la prima cosa che conta non è l’aspetto fisico, il sex appeal, ma i gusti di una persona, i suoi pensieri, la sua vita interiore. Andare a ‘conoscere’ una persona che si conosce già tanto profondamente, con la quale si sa di essere in perfetta sintonia, di avere interessi comuni, di condividere il suo modo di guardare alla vita, consente di apprezzarla di più, di considerarla, anche se poi l’aspetto delude un po’.

Certo, su Internet, proprio perché tutti possono barare, si rischia anche di conoscere delle persone sbagliate, originali, assurde, cui mai si sarebbe data confidenza nella vita reale. Proprio per evitare la delusione del primo incontro tuttavia, dalla chat si passa in genere al telefono, poi c’è lo scambio di fotografie o di videofilmati e quando ci si incontra davvero non ci si sente certo delle persone ‘estranee’ . C’è poi il discorso della dipendenza: la curiosità le forti sensazioni, le nuove amicizie diventano prima o poi una specie di droga che ti lega al computer e ti fa dimenticare la vita reale: così banale, così ripetitiva!

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Internet può essere considerata la nuova ‘livella’, prima ancora di quella che conosciamo tutti e di cui parlava Totò: le differenze in fatto di aspetto fisico non si notano più, i bassi conversano con gli alti ed i grassi con i magri, gli imberbi ed inesperti ragazzi pieni di brufoli con le top model, i milanesi con i palermitani, i ricchi con i poveri ecc.

Vivere al tempo della chat insomma è sicuramente più facile e usufruire di questo mezzo può sicuramente avere anche una valenza terapeutica, data la possibilità di chattare non solo con altre persone, ma con psicoterapeuti che possono comprendere i tuoi problemi e magari darti dei consigli. Non si pensi comunque di aver risolto, attraverso la chat, tutti i problemi e le inibizioni : chi è timido infatti, può avere problemi anche nella chat: quanti, ad esempio, hanno effettivamente il coraggio di scrivere ad una ragazza con la quale conversano on line in tre o quattro, di raggiungerlo in una stanza privata?

Ma non c’è paura, prima o poi quel tipo riuscirà a dire qualcosa di intelligente e qualcuno se ne accorgerà….

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Genitori anziani, figli giovani

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In Italia l’età media delle donne al momento della nascita del primo figlio ha raggiunto i 31,2 anni nel 2018 (tre anni in più rispetto al 1995), mentre nel 2019, l’età media si attesta a 32,09 anni. Per quanto riguarda gli uomini, l’età media del padre alla nascita del primo figlio ha raggiunto nel 2019 i 35,6 anni (Dati Istat).

Nell’analizzare questo fenomeno è opportuno in primis riflettere sul fatto che oggi una persona di 75 anni è paragonabile, come forma fisica e cognitiva, ad un soggetto che che negli anni Ottanta stava sui 55 anni.  Inoltre, se le donne, grazie alla fecondazione assistita, riescono a diventare mamme anche dopo i 50 anni (I dati Eurostat 2019 mostrano come le italiane siano al primo posto in Europa per numero di figli nati da donne con più di 50 anni), gli uomini, che conservano la fertilità più a lungo delle donne, in modo naturale, diventano padri anche in età anche molto più avanzate.

Gli uomini che hanno figli in età pari o superiore a 75 anni sono ancora casi rari, ma sempre meno insoliti.  Per fare un esempio, nel 2002 in Inghilterra e Galles il 3,4% dei bambini è nato da padri di età pari o superiore a 45 anni; un decennio dopo, questa cifra era salita al 4,8%.

In Svizzera, negli ultimi 20 anni, il numero di uomini sopra i 50 divenuti padri è addirittura triplicato, passando dai 625 del 1996 ai 1.855 del 2016. Inoltre, nel 2016, 22 uomini sono diventati padri dopo i 70 anni.

Si hanno figli in età sempre più avanzata perché da giovani ci si dedica allo studio, poi si passa a stabilizzare la propria situazione economica e lavorativa, poi si cerca di raggiungere una certa stabilità affettiva nella coppia, ma non è solo questo: anche la tendenza a cambiare partner gioca un ruolo, a causa dei divorzi e delle conseguenti seconde e spesso terze nozze.

Una intervista sulla violenza domestica

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Un altro motivo per cui si ritarda il progetto genitoriale è che oggi sia i maschi, sia le femmine, ritengono importante avere diverse esperienze sentimentali prima di trovare un/una partner con cui pensare di mettere al mondo dei figli.

Cosa significa avere genitori anziani?

I genitori “maturi” rispetto ai genitori più giovani presentano molti aspetti positivi: ad esempio, essi hanno in genere una situazione socio-economica migliore rispetto ai più giovani e possono contare anche su una maggiore stabilità emotiva, oltre che su una maggiore esperienza di vita. E’ molto raro che un genitore anziano faccia uso di sostanze, beva con gli amici o non si curi dei figli. I genitori più anziani considerano spesso l’essere diventati genitori un grande dono della vita, a volte molto ricercato e atteso, per cui mostrano in genere una forte dedizione nei riguardi del bambino, sono più sensibili ai suoi bisogni e forniscono maggiore supporto.

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Vedendo la cosa dalla parte dei figli, avere dei genitori anziani (in salute e in buona forma fisica) ritarda  la loro emancipazione dalla famiglia. In primis sono i genitori che non spingono per la crescita del figlio e per il suo distacco, ma anche il figlio adulto potrebbe trovare convenienza a vivere in una famiglia in cui si sente oggetto di investimento economico e affettivo da parte dei genitori, il che di fatto riduce la sua motivazione ad andarsene di casa.

L’aspetto negativo dell’avere genitori anziani è che i loro figli dovranno molto prima degli altri coetanei occuparsi della salute dei genitori, facendolo spesso da figli unici. I genitori anziani, dal canto loro, se sono in buona salute esprimono dapprima un forte desiderio di autonomia, per favorire la realizzazione del figlio, anche se ovviamente sperano di poter essere da lui/lei accuditi, quando sarà necessario.

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L'unica sorella Freud scampata ai campi di concentramento

Anna, l’unica sorella Freud scampata ai campi di concentramento

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Anna Freud Bernays (1859-1955), sorella di Sigmund Freud, fu la più fortunata delle cinque sorelle, dal momento che poté morire di morte naturale, anziché sotto la ‘doccia’ di un campo di sterminio.

Nata anche lei a Freiberg, terza figlia di Jacob e Amalia Freud, Anna era era la più grande fra le sorelle Freud. Con Sigmund ebbe rapporti difficili. Del resto la mamma, Amalia, privilegiava apertamente il figlio maschio e questo non poteva che suscitare la gelosia di questa sorella che aveva solamente tre anni meno di lui, ma alla quale tutto era negato. Ad esempio Sigmund poteva avere una stanza tutta per sé, mentre le sorelle dovevano stare tutte nella stessa stanza.

Quando Anna decise di prendere lezioni di piano, Sigmund si oppose perché il rumore lo disturbava e minacciò di andarsene di casa. Quando Anna aveva 16 anni, Sigmund le proibì di leggere Balzac (1799-1850) e Dumas (1802-1870) perché non era roba per signorine. Freud sentiva Anna come un’usurpatrice, perché le toglieva parte delle attenzioni paterne.

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Mio fratello Sigmund Freud

Nell’ottobre del 1883, Anna Freud si sposò con Eli Bernays, fratello di Martha Bernays, futura signora Freud, con il quale Sigmund litigò per una banale questione di denaro, al punto di non andare al matrimonio della sorella.
Sigmund pretese che Martha prendesse le sue difese, come in effetti fece. La querelle familiare terminò quando Freud aiutò i Bernays ad emigrare in America, dove Eli diventò un ricchissimo uomo di affari.

La coppia ebbe cinque figli ed Anna Freud Bernays morì quasi centenaria.

Fonte:
Estudio del Psicoanalisis

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Freud e la madre Amalia

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Sigmund Freud, il fondatore della psicoanalisi, ha rivoluzionato il mondo della psicologia con le sue teorie sulla mente inconscia, i meccanismi di difesa e la sessualità infantile. Molti dei suoi concetti teorici, tuttavia, come il complesso edipico, nascono da profonde riflessioni sulla sua esperienza personale.

Tra le figure chiave nella vita di Freud c’è sua madre, Amalia Nathansohn Freud, con la quale ha condiviso un rapporto complesso e significativo, che ha influenzato non solo la sua vita personale, ma anche lo sviluppo delle sue teorie. Conosciamo meglio la signora Amalia e il rapporto che ebbe con il suo celebre figlio.


Amalia Nathanson Freud

Nascita

Amalia Freud (1835-1930) nacque in una famiglia ebrea di commercianti della Galizia (oggi Ucraina), ma in seguito la famiglia si trasferì a Vienna.

Matrimonio

Amalia Nathanson sposò Jakob Freud, un uomo molto più anziano di lei e già vedovo con due figli. 

Amalia era una giovane donna attraente, ma aveva sposato un uomo con il doppio dei suoi anni, che conosceva a malapena, e aveva lasciato Vienna – allora una metropoli europea paragonabile a Parigi – per andare a vivere a Freiberg, una città di provincia della Moravia dove suo marito aveva un’attività di commercio di lana, peraltro poco remunerativa.

Le ragioni del matrimonio non sono chiare, ma l’amore a prima vista sembra improbabile. Secondo alcune ricostruzioni fantasiose, fu “venduta” dalla famiglia a Jakob Freud, vedovo e padre di due figli adulti, come punizione per una relazione amorosa non approvata dalla famiglia (Marianne Krüll, Sigmund, fils de Jacob ,Gallimard, 1983). Gabrielle Rubin ipotizza invece che Amalia fosse incinta del suo amante quando sposò Jakob il 29 luglio 1855 (Gabrielle Rubin, Le roman familial de Freud, Payot, 2002, 58).

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Amalia come figura materna

Il suo primo figlio, Sigmund nacque il 6 maggio 1856 “con la camicia”, cioè con una parte della membrana amniotica in testa, e la credenza popolare lo prese come un segno di buona fortuna.

All’epoca Amalia aveva solo ventuno anni. Il bambino fu chiamato Sigmund, (con il diminutivo Schlomo)  in memoria di suo nonno paterno, che era morto poche settimane prima.

Freud e la madreAmalia dette alla luce altri sette figli nei successivi dieci anni, quasi un parto all’anno. Il suo secondo figlio però, Julius, morì a soli sei mesi, il 15 aprile 1858. Gli archivi della comunità ebraica viennese dimostrarono che anche il fratello di Amalia, Julius, morì di tubercolosi un mese prima, a vent’anni. Questa duplice perdita comportò sicuramente un peso psicologico notevole per la giovane madre, con Sigmund ancora piccolo e un altro figlio presto in arrivo.

La sua devozione per Sigmund fu evidente sin dall’inizio: lo considerava un bambino speciale e gli attribuiva grande intelligenza e potenzialità, sentimenti che probabilmente contribuirono a costruire l’autostima di Freud, come scrisse l’altra figlia Anna: “Forse la fiducia di mia madre nel futuro destino di Sigmund ha avuto un ruolo determinante nella tendenza data a tutta la sua vita” (Anna Freud Bernays, “Mio fratello Sigmund Freud”, 1940).

Quando la famiglia si trasferì a Vienna, Sigmund ebbe una scrivania tutta per sé, arredata con una lampada a olio per poter studiare, mentre gli altri otto membri della famiglia si affollavano in altre due camere da letto, illuminate solo da candele.

Nei ricordi della sorella Anna, Sigmund era il classico primogenito privilegiato, un giovane tiranno in famiglia. Addirittura, ricorda Anna, le proibiva di leggere Balzac e Dumas perché non li riteneva adatti a una signorina di buona famiglia.

Anna ricorda anche che le piaceva prendere lezioni di piano, ma poiché il fratello non tollerava queste esercitazioni, che lo disturbavano nella sua concentrazione, le lezioni di piano in casa Freud cessarono immediatamente, per ordine della solita Amalia. (Anche se nella Vienna del tempo era cosa abituale che le ragazze della media borghesia prendessero a casa delle lezioni di pianoforte).
Questa situazione generò, inevitabilmente, risentimenti inespressi e rivalità tra fratelli.

Sappiamo che in pubblico Amalia era una persona molto gentile, ma nei confronti dei familiari era “tirannica e egoista” come la descrisse sua nipote Judith (Judith Bernays Heller, Freud as We Knew Him, Wayne State University Press, 1956).

Nessuno in famiglia invidiava, ad esempio, Dolfi, la sorella di Freud non sposata che si curava della madre anziana, definita dal nipote Martin “un tornado” (Martin Freud, Sigmund Freud: Man and Father, Vanguard, 1958).

Freud e il complesso edipico

Freud stesso riconobbe che il suo legame con la madre fu cruciale per la sua crescita psicologica e lo sviluppo della sua identità. Nella Interpretazione dei Sogni si chiese: “Potrebbe essere stata questa la fonte della mia sete di grandezza?” 

In più di un’occasione, Freud raccontò il forte attaccamento provato per lei durante l’infanzia, come nella lettera che nel 1897 scrisse a Wilhelm Fliess; Ho trovato anche nel mio caso, di essere stato innamorato di mia madre e geloso di mio padre, e ora lo considero un evento universale della prima infanzia”.

L’ansia da separazione era al centro delle ossessioni quotidiane del piccolo Freud. In una lettera a Fliess, lo psicoanalista fornì un resoconto dettagliato di uno dei suoi sogni ricorrenti: “Mia madre non si trovava da nessuna parte; stavo piangendo per la disperazione.”   Il fratellastro Philipp, ventenne, aprì allora un guardaroba (un Kasten di uso austriaco), ma non era neanche lì. Il bambino piangeva disperato, fino a che Amalia entrò dalla porta, bella e snella.

Queste dinamiche familiari lo spinsero a sviluppare teorie centrali, come quella del complesso edipico.

La teoria epidica

Secondo la teoria edipica, Freud ipotizzò che ogni bambino, a un certo punto dello sviluppo psicosessuale, debba attraversare una fase in cui è attratto dal genitore del sesso opposto e vede l’altro genitore come un rivale.

La figura della madre, centrale nello sviluppo infantile, diventa nella teoria psicoanalitica il primo oggetto d’amore e il primo prototipo delle relazioni affettive future. Nelle sue opere, Freud esplorò ripetutamente il ruolo della madre nel plasmare il Sé e il rapporto tra desideri inconsci, amore e conflitto.

Nell’interpretare il complesso di Edipo, Freud riconosceva che le dinamiche familiari primarie – in particolare il rapporto madre-figlio – erano alla base della struttura psichica dell’individuo.

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Rapporto affettivo

Per Freud la madre Amalia rappresentava una figura di amore assoluto e incondizionato, ma anche di grande pressione e aspettative. 

Amalia nutriva aspettative molto elevate nei confronti del figlio e si aspettava che fosse sempre all’altezza della sua intelligenza e delle sue capacità. Il loro rapporto, per questo motivo, non fu privo di tensioni. 

In termini di affetto, Freud provò un attaccamento profondo verso sua madre per tutto il resto della vita e, nonostante la sua inclinazione a razionalizzare i sentimenti, si percepisce nelle sue lettere il legame emotivo significativo che ebbe con lei.

Amalia, dal canto suo, provava per Sigmund un affetto sincero e si preoccupò del suo benessere fino alla vecchiaia. È stato riferito che, nonostante la sua età avanzata, Amalia era pienamente consapevole dei successi del figlio e, come ogni madre, ne era orgogliosissima.

Freud scrisse: “Una madre può trasferire su suo figlio l’ambizione che è stata costretta a reprimere in se stessa e può aspettarsi da lui la soddisfazione di tutto ciò che le è rimasto del suo complesso di mascolinità” (Freud, “Conferenza XXXIII, Femminilità”, nuove lezioni introduttive sulla psicoanalisi, Vol. XXII [1934-36]).

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Morte

freud e madre amaliaQuando Amalia morì, all’età di novantacinque anni, Freud non sperimentò altro se non “un aumento della libertà personale” e il sollievo di non essere morto prima di lei, che era  una delle sue grandi apprensioni (“Lettera a Ernest Jones”, citata il 30 agosto 1930, in E. Jones, La vita e l’opera di Sigmund Freud).

Disse ancora Freud: “Se un uomo è stato il cocco indiscusso della sua mamma, per tutta la vita egli manterrà questo senso di trionfo… Del resto questa è la relazione perfetta, quella che contiene in sé la minore quantità di ambivalenza, di tutte le relazioni umane”.

Giuliana Proietti

Intervento del 14-09-2024 su Sessualità e Terza Età
Dr. Giuliana Proietti

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