Death Studies: conversazione con Ines Testoni

DEATH STUDIES & THE END OF LIFE: STUDI SULLA MORTE E IL MORIRE PER IL SOSTEGNO E L’ACCOMPAGNAMENTO

In Italia, per ragioni storiche e culturali, è sempre stata sottovalutata l’importanza di una riflessione laica e professionale sull’assistenza psicologica da fornire al paziente grave o morente, demandando perlopiù l’onere di tale prestazione a figure non professionali, appartenenti a vari ordini religiosi.

In un momento come questo, in cui cure mediche intensive possono consentire la sopravvivenza (anche pluriennale) a persone gravemente malate, ma non per questo meno lucide e consapevoli del loro destino, appare assolutamente necessario che vi sia del personale medico e paramedico opportunamente formato all’interazione con questi malati, che sappia agire con professionalità ed etica, senza lasciare nulla all’improvvisazione.

L’operatore che assiste il paziente morente deve essere in grado di accogliere il suo immenso dolore, la sua rabbia, le sue incertezze, aiutandolo a vivere con dignità questo momento e contribuendo, se possibile, a non renderlo un momento privo di senso, qualsiasi sia il credo religioso del paziente (ed anche ove non ve ne sia alcuno).

Altrettanto importante è la capacità di offrire supporto professionale ai familiari del morente, in un momento di passaggio che inevitabilmente risulta difficile e doloroso anche a loro. In particolare, è importante saper gestire il cordoglio anticipatorio e la successiva elaborazione del lutto.

Purtroppo, non sempre le capacità empatiche personali degli operatori si rivelano sufficienti e adeguate nell’affrontare le problematiche che il paziente grave comporta: queste esperienze provocano inevitabilmente rimozioni e negazioni negli operatori, che possono poi manifestarsi in reazioni sintomatiche, come attacchi di panico, ansia generalizzata, depressione, sindrome del burnout, ecc.

Per promuovere dunque il benessere, sia del paziente morente, sia dell’operatore che se ne prende cura, si stanno ora organizzando dei corsi di specializzazione, che vanno accolti con assoluto interesse, superando definitivamente tutti i tabù che fino ad oggi ci hanno impedito di affrontare l’argomento della morte con serenità ed obiettività, relegandolo “fuori” dallo studio professionale e dalle competenze del medico, dello psicologo, dell’infermiere e così via.

Ad un recente Congresso del Centro Italiano di Sessuologia, (che celebrava i cinquanta anni della nostra associazione) ho avuto il piacere di rivedere Ines Testoni, filosofa (allieva di Emanuele Severino), ma anche psicologa, docente e Direttrice del Master dedicato ai Death Studies presso l’Università di Padova.

Ho pensato dunque di porle alcune domande per i nostri lettori, per capire meglio le basi teoriche su cui viene articolato il suo corso di specializzazione in Death Studies, gli argomenti trattati, le finalità.

Ecco dunque una sintesi della conversazione con Ines Testoni, Direttrice del Master di specializzazione in Death Studies presso l’Ateneo di Padova.

GP Come è nata l’idea dei Death Studies?

IT L’idea è nata all’interno dei lavori universitari dedicati alla ricerca di ciò che l’Università può offrire per garantire il progresso della vita sociale. Il concetto di progresso oggi sembra superato e quindi si preferisce parlare di benessere. Tre anni fa l’Università di Padova (Facoltà di: Scienze della Formazione, Psicologia, Medicina e Chirurgia), in cui lavoro, ha dunque accettato di affrontare una grande sfida, ovvero quella relativa al farsi carico del rapporto tra benessere e morte. Per questo è nato il Master Death Studies, unico in Italia a garantire una prospettiva muticulturale laica e comunque capace di offrire al proprio interno uno spazio significativo agli spetti della spiritualità secondo la logica interconfessionale, a partire da una fondazione sempre scientificamente controllata dei temi considerati.

GP Psicologia e filosofia: quale disciplina spiega meglio il senso dell’esistenza?

IT Proprio questa duplicità, che nella mia ricerca speculativa e scientifica riesco a riportare ad un’unità coerente, mi permette di affrontare con competenza il rapporto tra dolore e morte, riuscendo a controllare le variabili culturali e le relative concezioni di salvezza, nonché la loro crisi nell’età della tecnica. La psicologia offre grandi possibilità di rilevazione di problemi e di predisposizione di interventi idonei, ma non è in grado di rispondere alla domanda di senso rispetto al perché vivere quando si soffre. E la più grande sofferenza psicologica è proprio quella di non saper dare senso alla vita. A questa domanda vorrebbe dare risposta la filosofia, che a differenza della psicologia (la quale è una scienza) nasce con l’intendo di capire che cosa significhi essere al mondo. Purtroppo il pensiero speculativo contemporaneo versa in una crisi terribile, perché deve fare i conti con il tramonto delle certezze metafisiche che garantivano all’uomo fino a Nietzsche il più grande rimedio alla domanda di senso dell’esistenza. L’età della tecnica corrisponde al tempo in cui si celebra il tramonto della verità indubitabile in cui si credeva: Dio. Oggi sappiamo che la scelta del Dio in cui credere (Allah? Dio-Padre? Yaweh? Geova? Odino? Iside?….) dipende da variabili biografiche di tipo psicologico e storico-sociale, non certamente dalla certezza consapevole che deriva da un discorso incontrovertibile ovvero di verità indubitabile. Nel momento in cui diciamo di credere in un Dio dubitiamo sia sulla sua esistenza sia sulla sua rivelazione e quando crediamo siamo violenti con coloro che credono altrettanto ad un Dio differente (guerre di religione). Possiamo vivere pacificamente solo se stabiliamo che Dio è uno strumento mentale (fattore di protezione) che ci permette di limitare l’angoscia. Quindi qualsiasi discorso su Dio è un problema di preferenze personali. Questo però produce un esito terrificante rispetto all’angoscia dell’esistenza: sapere che si crede in Dio perché lo si vuole, non perché questa fede è verità, significa affacciarsi alla coscienza di essere mortali.

Questo significa credere che ciò che si vuole è vero. Ma per quanto io voglia che mio zio sia un ippogrifo, quando lo guardo mi accorgo che questo non corrisponde non solo alla verità ma neppure a qualcosa di più semplice che è la realtà. L’uomo è più intelligente degli animali perché sa distinguere tra realtà e illusione. Certo gli psicologi dimostrano che spesso la realtà è fortemente influenzata dalla dimensione delle credenze personali, ma queste non costituiscono l’interezza della realtà: sono solo un co-fattore che interviene nel modificarla. Ciò che più si vuole che sia reale è il prodotto scientifico, perché se ne misura l’efficacia rispetto ai risultati attesi. È molto più efficace la scienza rispetto alla religione riguardo alla possibilità di convincere: quando si è ammalati si va dal medico e non dal ministro di culto e quando il medico non può più fare niente, la speranza nel miracolo non guarisce un sumero sufficiente di persone tale da convincerci che il rimedio religioso di garantisca il prolungamento della vita. Su tutti questi problemi bisogna riflettere molto seriamente, specialmente perché si è appena scoperta l’acqua calda in campo scientifico: ovvero che il rimedio religioso aiuta a sopportare meglio il dolore e l’angoscia di morte. Poiché la letteratura scientifica affronta queste tematiche specialmente rispetto ai temi di fine-vita si crede che significhi che abbiamo scientificamente ammesso l’importanza di Dio. Attenzione, però: di queste cose si parla in campo “palliativo” ovvero nell’ambito in cui si sa che si deve somministrare “droga” per lenire il dolore.

GP Come è strutturato il progetto formativo?

IT Il progetto formativo include un percorso che dalla dimensione personale, attraverso un percorso psicologico di elaborazione delle rappresentazioni soggettive della morte (l’edizione per l’anno 2011 prevede una importante implementazione di questa parte), perviene fino a quello professionale, mantenendo in primo piano la ricerca di senso tra cultura e dialogo interiore. I due livelli, inscindibilmente collegati, compensano gli aspetti di preparazione ad una professione che permette di operare con competenza e con dedizione a chi vorrà comprendere i significati del morire: soltanto chi intende affrontare un percorso con queste caratteristiche potrà conoscere le opportunità formative di questo Master, non disponibili altrove. Infatti vengono utilizzate tecniche importanti per incontrare il proprio terrore della morte per poterlo poi gestire con chi deve morire o con chi deve fare i conti con la morte di una persona cara. Queste tecniche consistono nello psicodramma moreniano, nella gestione sistemica della circolazione della comunicazione in gruppo, nel Teatro dell’Oppresso. In questo modo i corsisti possono incontrare loro stessi e la loro concezione di morte, prendendo coscienza di quanto questa sia influenzata dal terrore e dal dolore. Poi, parallelamente, si lavora sull’elaborazione del senso del terrore e del dolore.

GP Cosa viene richiesto agli allievi del Master?

IT Avendo imparato in prima persona che cosa significa rispondere a grandi richieste di rigore, dagli allievi del Master pretendo innanzitutto una fondamentale onestà intellettuale, ovvero mi preme che non mascherino il loro bisogno di trovare conferma al loro modo di intendere il rimedio alla sofferenza estrema, quella che consiste nell’incontrare la morte. Questo significa che voglio che il Master permetta di affrontare tutti gli argomenti che parlano di ogni aspetto del morire, ma innanzitutto – e in questo sta la sua novità – di quelli che riguardano il bisogno soggettivo di rassicurazione da cui poi deriva l’agire con gli altri in un certo modo per confermare se stessi.

GP Quali sono le altre competenze che il Master garantisce?

IT I contenuti del percorso formativo riguardano: a) la /prevenzione primaria/ rivolta ad insegnanti, educatori, formatori, consulenti, psicologi, per sviluppare la capacità di proporre a loro volta percorsi formativi utili a promuovere la rappresentazione della morte come parte essenziale della vita e a valorizzarla in tutte le sue manifestazioni, compresa quella del declino; b) la /prevenzione secondaria/ indirizzata a medici, psicologi, educatori, consulenti, infermieri per un percorso di elaborazione del senso della morte in aiuto di coloro per i quali il termine della vita è una realtà prossima; c) la /prevenzione terziaria/ per medici, psicologi, educatori, infermieri, assistenti sociali per un supporto professionale nella elaborazione del lutto nella fase di perdita di una persona cara, per reintegrare il progetto di vita nella dimensione affettiva e socio-relazionale dei sopravvissuti. Mi avvalgo, nell’organizzazione del percorso di formazione della collaborazione di docenti estremamente competenti, alcuni dei quali internazionali. Inoltre, e non è di secondaria importanza, imposto l’intero lavoro sulla acquisizione della capacità di progettare interventi su problema, presupponendo dunque la possibilità di misurare l’efficacia del lavoro svolto. Questo è estremamente importante anche per sviluppare la ricerca scientifica in questo campo, che promette di ingrandirsi notevolmente nel prossimi dieci anni.

GP In che cosa questo Master si differenzia dagli altri Master o Corsi di perfezionamento, italiani ed europei?

IT E’ una autentica novità in ambito non solo italiano ma anche europeo (ma non statunitense) è quella relativa alla discussione intorno ai percorsi di educazione tanatologica intesa come promozione culturale ad una diversa sensibilità del vivere e del dover morire, a cui si affiancano momenti di riflessione sugli specifici problemi dell’insegnamento e del rapporto con le famiglie (Death Education nel ciclo di vita e nelle diverse condizioni biografiche). Con la legge 38 del 2010 è venuto in evidenza che se da un lato le scienze mediche e infermieristiche stanno affrontando il compito di modificare i propri modelli per dare riscontro alle esigenze di cura legate all’inevitabilità della morte (si fa riferimento alle discussioni sui problemi della gestione della cura dinanzi alla morte, tra qualità della vita, desistenza terapeutica, principi di autodeterminazione, relazioni con i familiari e dinamiche di comunicazione nei processi decisionali, resilienza, lutto traumatico, burnout, …), dall’altro in Italia gli ambiti delle scienze psicologiche, sociali e dei servizi alla persona non sono ancora strutturati per consentire l’inserimento di sistemi adeguati di discussione e di sviluppo delle tematiche che caratterizzano il percorso. Il Master risponde in pieno a queste esigenze che corrispondono alle politiche sulla salute promosse a livello europeo.

GP A chi è rivolto il Master?

IT È rivolto alle persone che operano nelle strutture sanitarie, educative e di sostegno psicologico pubbliche e private nell’ambito dei “Servizi alla persona” e che in particolare sono legate alle problematiche inerenti la morte e il morire. La crescente richiesta di figure idonee a gestire le relazioni nelle diverse modalità del morire nei campi medico, psicologico, educativo e di insegnamento, l’allungamento della vita nella società occidentale e l’occultamento di tutto ciò che è collegabile alla morte ed al morire, l’abbandono del sofferente ed il prolungamento dell’agonia in solitudine, l’incapacità di considerare le esperienze di lutto come aspetto fondamentale nella costruzione del senso della vita, sono alla base del percorso intrapreso nel Master con l’intendimento di preparare gli operatori nelle relazioni di aiuto, per supportarli nel gestire (per sé e per gli altri) l’angoscia che il pensiero e l’esperienza di morte comportano, con la competenza e la professionalità necessarie

Solo di recente è emerso uno spazio di formazione specifico sui temi della morte, del morire inteso come fase di fine-vita, del lutto, della perdita, con l’intento di analizzare le componenti e gli aspetti che provengono dalle diverse discipline – bioetiche, filosofiche, antropologico-culturali, psicologiche e sociali – che lo intersecano, condizionandolo. Il Master “Death Studies & the End of Life” è stato fortemente voluto per rispondere ad esigenze di formazione, ormai ineludibili, che attraverso anche l’organizzazione di convegni internazionali, consentono una attività formativa e di specializzazione per chi già lavori o per chi intende intraprendere un percorso professionale per affrontare il rapporto con la morte a livelli e in ambiti di intervento diversificati, nel rispetto di un cambiamento in atto e delle esigenze che ne derivano. Significativo è il recepimento da parte del Master delle innovative recenti disposizioni normative introdotte in Italia dall a Legge 38/2010 appena citata, acquisendo la richiesta formulata da chi lavora prendendosi cura di chi vive la fase terminale della malattia, disciplinano e regolamentano l’accesso alle cure palliative ed alla terapia del dolore.

Per maggiori informazioni: Sito dell’Università di Padova e di Endlife (www.endlife.it)
Ringraziamo Ines Testoni per la collaborazione e le facciamo i migliori auguri di buon lavoro.

Giuliana Proietti

Ines Testoni

Laurea in Psicologia – Università degli Studi di Padova, Laurea in Filosofia – Università Ca’ Foscari di Venezia, Perfezionamento in Antropologia culturale – Università degli Studi di Padova, Formazione quadriennale in Psicoterapia Sistemica – Ca’ Granda Niguarda – Milano.

Professore associato di Psicologia sociale, Facoltà di Scienze della Formazione, Dipartimento di Psicologia Generale, Università degli Studi di Padova

Psicologa/psicoterapeuta, autrice di: Testoni I., 2007, Autopsia filosofica. Il momento giusto per morire tra suicidio razionale ed eternità, Feltrinelli-Apogeo, Milano

Direttrice Master Death Studies & The End of Life

Giuliana Proietti

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