Freud e la madre Amalia
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Nata nel 1835, Amalia Nathanson Freud aveva appena ventun’anni quando nacque il suo primo figlio. Fu chiamato Sigmund, (con il diminutivo Schlomo) in memoria di suo nonno paterno, che era morto poche settimane prima.
Amalia era una giovane donna attraente, ma aveva sposato un uomo con il doppio dei suoi anni, che conosceva a malapena, e aveva lasciato Vienna – allora una metropoli europea paragonabile a Parigi – per andare a vivere a Freiberg, una città di provincia della Moravia dove suo marito aveva un’attività di commercio di lana, peraltro poco remunerativa.
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Le ragioni del matrimonio non sono chiare, ma l’amore a prima vista sembra improbabile. Secondo alcune ricostruzioni fantasiose, fu “venduta” dalla famiglia a Jakob Freud, vedovo e padre di due figli adulti, come punizione per una relazione amorosa non approvata dalla famiglia (Marianne Krüll, Sigmund, fils de Jacob ,Gallimard, 1983). Gabrielle Rubin ipotizza invece che Amalia fosse incinta del suo amante quando sposò Jakob il 29 luglio 1855 (Gabrielle Rubin, Le roman familial de Freud, Payot, 2002, 58).
Il suo primo figlio, Sigmund, nacque “con la camicia”, cioè con una parte della membrana amniotica in testa, e la credenza popolare lo prese come un segno di buona fortuna. Sua figlia Anna (sorella di Sigmund), in seguito scrisse: “Forse la fiducia di mia madre nel futuro destino di Sigmund ha avuto un ruolo determinante nella tendenza data a tutta la sua vita” (Anna Freud Bernays, “Mio fratello Sigmund Freud”, 1940).
Freud stesso era consapevole di queste attenzioni e speranze che la madre aveva riversato su di lui durante l’infanzia e, in effetti, nella Interpretazione dei Sogni si chiede: “Potrebbe essere stata questa la fonte della mia sete di grandezza?”
Amalia dette alla luce altri sette figli nei successivi dieci anni, quasi un parto all’anno. Il suo secondo figlio però, Julius, morì a soli sei mesi, il 15 aprile 1858. Gli archivi della comunità ebraica viennese dimostrarono che anche il fratello di Amalia, Julius, morì di tubercolosi un mese prima, a vent’anni. Questa duplice perdita comportò sicuramente un peso psicologico notevole per la giovane madre, con Sigmund ancora piccolo e un altro figlio in arrivo.
L’ansia da separazione era al centro delle ossessioni quotidiane del piccolo Freud. In una lettera a Fliess, lo psicoanalista fornì un resoconto dettagliato di uno dei suoi sogni ricorrenti: “Mia madre non si trovava da nessuna parte; stavo piangendo per la disperazione.” Il fratellastro Philipp, ventenne, aprì allora un guardaroba (un Kasten di uso austriaco), ma non era neanche lì. Il bambino piangeva disperato, fino a che Amalia entrò dalla porta, bella e snella.
Per inciso, Freud introdusse il concetto di “Complesso edipico” proprio in questa lettera: “Ho trovato anche nel mio caso, di essere stato innamorato di mia madre e geloso di mio padre, e ora lo considero un evento universale della prima infanzia”.
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I favoritismi nei confronti del primogenito erano stati molteplici. Quando la famiglia si trasferì a Vienna, Sigmund ebbe una scrivania tutta per sé, arredata con una lampada a olio per poter studiare, mentre gli altri otto membri della famiglia si affollavano in altre due camere da letto, illuminate solo da candele.
Nei ricordi della sorella Anna, Sigmund era il classico primogenito privilegiato, un giovane tiranno in famiglia. Addirittura, ricorda Anna, le proibiva di leggere Balzac e Dumas perché non li riteneva adatti a una signorina di buona famiglia.
Anna ricorda anche che le piaceva prendere lezioni di piano, ma poiché il fratello non tollerava queste esercitazioni, che lo disturbavano nella sua concentrazione, le lezioni di piano in casa Freud cessarono immediatamente, per ordine della solita Amalia. (Anche se nella Vienna del tempo era cosa abituale che le ragazze della media borghesia prendessero a casa delle lezioni di pianoforte).
Questa situazione generò, inevitabilmente, risentimenti inespressi e rivalità tra fratelli.
Ciò nonostante, Freud non mostrò mai a sua madre più di quello che richiedeva il dovere filiale e raramente ne parlava. Sapeva di essere il figlio prediletto della madre, ma sapeva anche che in cambio Amalia si aspettava da lui piena soddisfazione per le sue richieste e la sottomissione al ruolo che gli era stato assegnato alla nascita.
Non a caso Freud scrive:> “Una madre può trasferire su suo figlio l’ambizione che è stata costretta a reprimere in se stessa e può aspettarsi da lui la soddisfazione di tutto ciò che le è rimasto del suo complesso di mascolinità” (Freud, “Conferenza XXXIII, Femminilità”, nuove lezioni introduttive sulla psicoanalisi, Vol. XXII [1934-36]).
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Nessuno in famiglia invidiava, ad esempio, Dolfi, la sorella di Freud non sposata che si curava della madre anziana, definita dal nipote Martin “un tornado” (Martin Freud, Sigmund Freud: Man and Father, Vanguard, 1958).
Quando Amalia morì, all’età di novantacinque anni, Freud non sperimentò altro se non “un aumento della libertà personale” e il sollievo di non essere morto prima di lei, che era una delle sue grandi apprensioni (“Lettera a Ernest Jones”, citata il 30 agosto 1930, in E. Jones,La vita e l’opera di Sigmund Freud).
La nipote Sophie racconta a questo proposito che questi pranzi domenicali di Sigmund con la madre gli procuravano poi dei grandi mal di stomaco (e verrebbe da chiedersi se non fossero, anche questi psicosomatici!).
Dice ancora Freud: “Se un uomo è stato il cocco indiscusso della sua mamma, per tutta la vita egli manterrà questo senso di trionfo… Del resto questa è la relazione perfetta, quella che contiene in sé la minore quantità di ambivalenza, di tutte le relazioni umane”.
Giuliana Proietti


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