Gandhi: una biografia

Gandhi: una biografia


Mohandas Karamchard Gandhi, detto il Mahatma (che in sanscrito significa Grande Anima), è forse l’indiano più famoso nel mondo, come fondatore del movimento della non violenza, della resistenza passiva e della disobbedienza civile.

Il Mahatma Gandhi nacque a Portbandar in India, nello stato del Gujarat, il 2 ottobre 1869. Era di origini benestanti, visto che la sua famiglia aveva ricoperto delle cariche importanti nelle corti del Kathiawar ed il padre, Mohandas Kaba Gandhi, era stato addirittura primo ministro del principe Rajkot. La religione dei Gandhi era la Vaishnava; una setta indù con particolare devozione a Vishnù. Come era tradizione della sua casta, a 14 anni venne fatto sposare dalla sua famiglia con Kasturbai una sua coetanea, che restò sua moglie per tutta la vita. Tra i dieci e i diciassette anni frequentò la “high school” del Kathiawar, ma senza particolare profitto. Attratto dallo stile di vita della borghesia inglese, sentiva che se voleva veramente diventare qualcuno, doveva andare a studiare in Inghilterra. Salpò dunque da Bombay per Londra il 4 Settembre 1888, lasciando in India moglie e figlio. A Londra studiò giurisprudenza, ma fu durante questo soggiorno che Gandhi lesse i principali testi di induismo, ad esempio la Baghavad-Gita, che lo influenzerà profondamente. Scoprì anche la vita di Budda, Gesù, Maometto ed anche i teosofi inglesi. Dopo 3 anni in Inghilterra e la laurea di avvocato in tasca, nel 1891 rientrò in India.

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Iniziò dunque a svolgere la professione di avvocato, ma i guadagni non arrivavano e Gandhi doveva anche pagare i debiti contratti coi fratelli per permettersi il soggiorno di studio a Londra. Accolse dunque con favore, due anni dopo, l’invito di una ditta indiana che aveva bisogno di un avvocato per seguire un processo in Sud Africa, a Durban. Fu la svolta della sua vita. Arrivato lì, pur se ugualmente cittadino dell’Impero Britannico e perdipiù laureato, Gandhi si sentì trattato come appartenente ad una razza inferiore: sul treno che doveva portarlo a destinazione, benché munito di biglietto, venne allontanato dallo scompartimento di prima classe perché questo era riservato ai bianchi. A Johannesburg gli rifiutarono una stanza d’albergo.

Con stupore e rabbia si rese conto che i britannici ed i boeri dominavano le popolazioni nere ed immigrate (in quel periodo c’erano 100.000 indiani immigrati in Sud Africa) senza rispettarle nemmeno nei diritti più elementari. Spinto da un forte orgoglio, convocò una riunione con la colonia indiana d’Africa, esortando i commercianti ad essere onesti e gli altri ad avere più cura della pulizia personale e a dimenticare le differenze di casta. Si offrì lui stesso per impartire lezioni di inglese gratuitamente. Successivamente prese contatto con le Ferrovie locali, raggiungendo l’accordo che, se ben vestiti e puliti, gli indiani avrebbero potuto usufruire del servizio ferroviario anche in prima classe.

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Dopo un anno di permanenza in Sud Africa, ed ormai risolta la questione legale per cui vi si era recato, fu esortato dalla sua gente a restare ancora per almeno un mese in modo da insegnare a scrivere agli analfabeti; accettò, ma quei 30 giorni divennero 20 anni, di cui molti trascorsi in prigione. Nel maggio 1894 fondò il “Natal indian Congress” una associazione per la difesa degli interessi indiani nell’unione sudafricana: ormai gli indiani avevano capito che bisognava unirsi per vedere riconosciuti i loro diritti.

Nel 1896 tornò in India a prendere sua moglie ed i suoi figli e poi ritornò in Sud Africa, lavorando come avvocato fino 1899. In questo periodo Gandhi comincio ad insegnare una politica di resistenza passiva non violenta e di non collaborazione con il governo sud africano. L’ispirazione a questa lotta politica gli venne dallo scrittore russo Lev Tolstoi, la cui influenza su Gandhi fu molto profonda. Ma il Mahatma si sentiva anche ispirato dall’insegnamento cristiano e dallo scrittore americano del diciannovesimo secolo Henry David Thoreau, specialmente al suo saggio ‘la disobbedienza civile’. Gandhi chiamò la resistenza passiva e la disobbedienza civile con un termine in sanscrito che significa ‘verità e fermezza’, Satyagraha.

Durante la guerra boera organizzò un corpo volontario per assistere i feriti e fu a capo di una unità della croce rossa, sostenendo gli inglesi. Dopo la guerra tornò alla sua campagna per i diritti degli indiani. Nel 1904 sull’esempio di Tolstoi fondò a Phoenix, nei pressi di Durban, una colonia agricola, dove vi trasferì la tipografia del giornale “Indian Opinion”, fondato sempre nello stesso anno. La regola della comunità era che ognuno doveva guadagnarsi la vita con il lavoro nei campi.

Nell’agosto del 1906 il governo obbligò tutti gli asiatici ad avere una carta di identità, con relative impronte digitali oltre ad altre misure di polizia che li trattavano come se fossero dei criminali. Gandhi consigliò a 3000 satyagrahi di rifiutare di farsi schedare: se multati, non dovevano pagare, se processati dovevano dichiarare di aver violato le leggi ed andare in carcere senza opporre resistenza. Facendo così in breve le prigioni furono piene e Gandhi venne arrestato ed incarcerato per 6 mesi. Gandhi non cessò di opporsi alle leggi segregazioniste e andò ancora diverse volte in prigione.

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Nel 1909 scrisse “Hind Swaraj”, libro nel quale sviluppò le teorie della lotta attraverso la non-violenza. Il 30 giugno 1914 il Governo del Sud Africa firmò un accordo con Gandhi in cui venivano riconosciuti i matrimoni indiani ed eliminate parte delle vecchie leggi razziali. Gandhi poté ritornare finalmente nella sua patria: il 9 gennaio 1915 sbarcò di nuovo a Bombay. Anche qui c’era aria di rivolta al governo britannico, soprattutto a causa della nuova legge agraria, che prevedeva il sequestro delle terre ai contadini in caso di scarso, o mancato raccolto. Gandhi divenne leader del Partito del Congresso e lanciò il suo movimento di resistenza non violenta contro la Gran Bretagna.

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Il 30 marzo 1919 ebbe inizio, a Delhi, la prima grande campagna di satyaghara su scala nazionale per protestare contro le misure restrittive che gli inglesi imponevano sulla libertà personale degli indiani (Rowlatt Acts) al fine di sopprimere i movimenti di ribellione. I seguaci del Mahatma furono invitati a firmare una dichiarazione scritta dallo stesso Gandhi, in cui si impegnavano a “disobbedire” nel caso in cui queste leggi venissero applicate. Per osservare la resistenza passiva, venne deciso di sospendere il lavoro in tutta l‘India, dedicando la giornata al digiuno e alla preghiera. Purtroppo vi furono comunque dei feroci scontri con la polizia, con decine di morti. Il 18 aprile dunque, Gandhi sospese le attività del movimento.

Nel 1920 però, visto che il governo britannico non cedeva nelle sue posizioni, sostenuto dal partito del Congresso e dai musulmani, Gandhi organizzò una campagna di non cooperazione. Gli indiani negli uffici pubblici si dimisero, le istituzioni governative furono boicottate, non si pagarono più le tasse ed i bambini indiani furono ritirati dalle scuole pubbliche. In tutta l’India, le strade furono bloccate da indiani stesi in terra, che rifiutavano di alzarsi anche se picchiati dalla polizia. Furono anche boicottati i prodotti tessili provenenti dall’Europa. Gandhi fu arrestato, subì un processo, ma i britannici lo dovettero rilasciare dopo pochi mesi.

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All’uscita di prigione il piccolo grande indiano si appellò alla coesione nazionale e reclamò l’uguaglianza sociale per gli intoccabili, che chiamava affettuosamente harijans (“bambini di Dio”). C’era molta povertà nel paese e Gandhi divenne un simbolo vivente per le sue lotte in favore dei più emarginati. Viveva una vita spirituale e ascetica fatta di preghiera, scarso cibo e meditazione. Si nutriva di verdure, succo di frutta, latte. Gli indiani lo veneravano come un santo e cominciarono a chiamarlo Mahatma. Dopo altri due anni di carcere, nel 1924, Gandhi si ritirò dalla politica attiva, ma fu presto richiamato alla lotta e alla nuova proclamazione di una nuova campagna per la disobbedienza civile, chiedendo ai suoi di rifiutarsi di pagare le tasse sul sale, che colpivano le popolazioni più povere. Migliaia di indiani seguirono Gandhi per 24 giorni, 350 chilometri, da Ahmedabad al mar d’Arabia, facendo il sale attraverso l’evaporazione dell’acqua marina, come atto simbolico anti-governativo. Era il 12 Marzo del 1930.

Cominciò poi il boicottaggio dei tessuti stranieri; i negozianti non vendevano più agli inglesi i beni più necessari, i funzionari statali si dimettevano in massa, i tribunali erano deserti. Gli inglesi cercarono dapprima di reagire facendo caricare i dimostranti dalla polizia e arrestare gli oppositori. Gandhi fu arrestato nuovamente e la direzione della campagna fu assunta dalla moglie, ma venne arrestata anche lei; succedettero a quest’ultima molti altri capi, ma vennero tutti arrestati ed in poco tempo le prigioni furono di nuovo piene. Il 25 gennaio 1931 Gandhi ed altri membri dell’esecutivo del congresso vennero liberati e al termine di una serie di colloqui tra il Viceré e Gandhi, nel febbraio-marzo 1931 fu raggiunto un accordo definito “patto Irwin-Gandhi” per cui il Governo britannico modificava le leggi sul monopolio del sale, liberava i detenuti politici e revocava le ordinanze speciali ed i procedimenti pendenti; il Congresso in cambio accettava di partecipare alla Conferenza di Londra per determinare le linee guida della nuova Costituzione.

Nel 1932, Gandhi ricominciò la disobbedienza civile contro gli inglesi. Arrestato due volte, il Mahatma fece diversi scioperi della fame con la decisione di proseguirli ad oltranza: se fosse morto vi sarebbe stata la rivoluzione in India e questo argomento spaventava moltissimo gli Inglesi. Si batteva questa volta per migliorare lo stato degli indù intoccabili, sebbene lui appartenesse alla casta dei mercanti Vaishya. Nel 1934 si ritirò nuovamente dalla politica, preferendo lasciarla ai giovani leaders del Congresso, ma fu ugualmente imprigionato diverse volte, durante le quali fece molti scioperi della fame. Nel partito fu sostituito da Jawaharlal Nehru. Gandhi viaggiò in questo periodo in India, chiedendo la cancellazione dell’intoccabilità. In quell’anno subì anche il primo dei cinque tentativi di omicidio. Nelle elezioni del 193, il Congresso ottenne la maggioranza nel Parlamento indiano: da allora la marcia verso l’autonomia e l’indipendenza era divenuta ineluttabile.

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All’inizio della Seconda Guerra Mondiale, Gandhi decise di non sostenere l’Inghilterra se questa non avesse garantito all’India l’indipendenza. Il governo britannico reagì con l’arresto di oltre 60.000 oppositori e dello stesso Mahatma, che però fu rilasciato dopo due anni, per problemi di salute. Nel 1942 lanciò il famoso slogan “lasciate l’India”, invitando i britannici ad andarsene e rilanciando il movimento per la disobbedienza civile. Lui ed altri dirigenti del Congresso furono arrestati. Sua moglie Kasturbai morì durante la prigionia.

Il 15 agosto 1947 gli inglesi accordarono l’indipendenza, ma il Paese si divise in due su richiesta della lega musulmana. Nacque il Pakistan, i cui confini però erano indefiniti. Scoppiarono numerosi tumulti, vi furono quasi un milione di morti e sei milioni di profughi, specialmente nella città di Calcutta. Per cercare di riportare la pace, il Mahatma fece nuovi scioperi della fame. Dodici giorni dopo la fine dell’ultimo, a Delhi, dove si era recato perché le violenze degli estremisti indù erano lì molto più accese, mentre stava andando a pregare, la sera del 30 Gennaio 1948 un giovane estremista indù lo seguì e lo uccise con colpi di pistola a ripetizione. La sua morte fu considerata una catastrofe internazionale. Più di due milioni di indiani assistettero ai suoi funerali. I suoi insegnamenti furono poi applicati, con successo, da Martin Luther King, Jr. e in Sud Africa da Nelson Mandela.

Giuliana Proietti

 

Dr. Giuliana Proietti

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