La svirilità – Articolo del Prof. Giorgio Rifelli
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Il Sildenafil (Viagra) è stato inserito fra le 100 scoperte più importanti del XX secolo. Viene ad essere così confermato il valore della attuale ricerca farmacologica, ma non possiamo ignorare che segnala anche il preoccupante aumento della impotenza erettile. Ciascuna cultura, infatti, produce le sue malattie e quindi ciascuna cultura produce le sue terapie.
D’altra parte il ‘900 non ha prodotto solo l’aumento rilevante del deficit erettile e quindi il Viagra. Il ‘900 è stato un secolo iconoclasta che ha abbattuto ideologie e certezze non sempre riuscendo nella ricostruzione e fra le sue vittime riconosciamo anche la sessualità che proprio in quel secolo è nata come concetto, si è emancipata dalla norma riproduttiva, ma non ha trovato poi riferimenti capaci di superare la crisi.
Si sono così evidenziati e prodotti comportamenti sessuali disadattivi e patologici. Fra i più noti e sempre più frequenti ricordiamo l’eiaculazione precoce che ha cominciato ad essere considerata segno di malattia nei primi anni del secolo (in quegli anni Amantea introdusse l’uso delle pomate anenstetiche da applicare al glande prima del coito); l’anorgasmia femminile di cui si è iniziato a ragionare seriamente solo dopo il 1920 e per la quale sono state tentate terapie ormonali ed escogitate diverse varianti di trattamenti psicoterapeutici; la patologia del desiderio comparsa nello scenario clinico dopo gli anni ottanta e per la quale non abbiamo ancora individuato soddisfacenti interventi curativi.
Nel XX secolo abbiamo dunque assistito ad un progressivo deterioramento della attività sessuale al quale si è risposto con terapie sempre più specifiche e spesso efficaci. Terapie di natura chirurgica, farmacologica, ed anche psicologica; proprio alla psicologia infatti si devono le cosiddette nuove terapie sessuali entusiasticamente proposte negli anni settanta e successivamente migliorate e riconosciute come un valido aiuto nelle diverse disfunzioni sessuali. Tuttavia l’insieme dei presidi terapeutici non ha impedito la crisi in atto e, come dicevamo, sono ancora incapaci di fronteggiare l’abbandono della vita sessuale che la assenza di desiderio sta provocando.
Parliamo quindi di svirilità un neologismo in cui all’esse privativa viene affidato il compito di rappresentare la compromissione dell’essere virile che si esprime anche e tangibilmente nel deficit erettile, luogo simbolico della virilità.
Il fallo infallibile, rappresentante del maschio dominatore, è sull’orlo di una disfatta storica e culturale e si identifica sempre più con un fallo fallato. Curioso destino di un organo privilegiato dall’elaborazione simbolico-culturale che per secoli ha guidato l’osservazione scientifica contribuendo a mantenere false conoscenze, ad alimentare il mito della virilità e a rappresentare il potere maschile, il penis power.
Non si può qui non ricordare come la nostra cultura per oltre due millenni ha regolato i rapporti uomo-donna e tutto ciò che essi comportano (affetti, vita sessuale, gerarchie familiari e sociali) all’insegna del genitale unico, del penis power. Le radici della supremazia maschile sostenuta anche dall’interpretazione dell’anatomia genitale sono infatti lontane: la medicina greca riteneva che esistesse un unico genitale normale – quello maschile – al quale doveva riferirsi il genitale femminile che per ragioni di errato sviluppo era incompiuto e “invaginato” dentro il corpo.
Non si vogliono oggi negare l’esistenza di analogie e parallelismi: il fatto stesso che genitali maschili e femminili si differenzino dalle stesse strutture embriologiche comporta una qualche uguaglianza, ma la interpretazione culturalmente determinata che gli uni siano una copia malriuscita degli altri, ha travalicato il semplice dato anatomico dominando anche il sapere medico almeno fino al ‘700 quando in anatomia si è cominciato ad abbandonare il principio del genitale unico per affermare l’esistenza di due genitali iscrivendosi nel processo culturale che ha dato inizio al riconoscimento della diversità, concetto che tuttavia richiederà altri due secoli per essere definito e consolidato.
La convinzione che esistesse un unico, normale e compiuto genitale è uno di quei trabocchetti in cui è stata intrappolata l’osservazione scientifica, ma non senza ragione, le conoscenze anatomiche che la sostengono oltre a male interpretare le analogie si pongono come trasposizione scientifica di un vissuto infantile: esiste un unico genitale ed è quello che si vede, l’uomo e quindi i bambini maschi ne sono dotati, le donne non avendo nulla di visibile, non possiedono genitali.
La presenza o l’assenza dei genitali esterni è stata determinante nel formare il primo sapere sessuale e quindi nel dare forma all’identità maschile e femminile. Su tale presenza-assenza una cultura altrettanto bambina ha potuto costruire il mito della virilità: del fallo-unico agente della riproduzione, del fallo-grande quale rappresentante della forza e del potere, del fallo-amuleto dal valore apotropaico e terapeutico. Ma il fallo ha anche un altro attributo che è quello di provocare piacere (potere erotogeno). Si ricordi ad esempio la diffusa convinzione che sia la donna a dover essere iniziata ai piaceri del sesso dalle abilità amatorie del partner, mentre si afferma, e lo si scriveva anche nei testi di divulgazione medica, che non esistono donne frigide, ma uomini incapaci. Non solo ma possiamo notare che è in nome dei poteri erotogeni del fallo che l’eiaculazione precoce è diventato sintomo: fino a quando le donne oneste non avevano diritto al piacere, ma solo alla fecondazione, la rapidità del coito era considerata una abilità in quanto espressione di passione, eccitabilità, efficacia, quando però sono state legittimate le richieste sessuali della donna onesta, l’uomo, per poter mantenere il suo ruolo dominante, si è visto costretto a soddisfarne le esigenze e non pochi hanno così scoperto la propria inadeguatezza.
La svirilità nasce da una crisi culturale che ha messo in discussione il modello androcentrico come riferimento normativo. Modello che nell’ambito dell’attività sessuale si compendiava nella triade erezione-eiaculazione-riproduzione identificandosi con l’ideologia efficientista del fare (homo faber) e ponendo in secondo piano i valori dell’essere (homo ludens) secondo il principio per il quale sono perché faccio e non faccio perché sono.
Molte possono essere le ragioni della crisi, ma siamo così immersi in questo processo che stentiamo a riconoscerne la causa o le cause principali, possiamo solo sottolineare gli eventi più significativi:
a) la progressiva compromissione del valore riproduttivo della sessualità che si è preteso sostituire con i valori erotico relazionali i quali però non hanno trovato ancora una adeguata realizzazione. Nel modello che rappresenta l’ideale femminile infatti troviamo ancora la maternità, che pur ridimensionata rappresenta il residuo più rappresentativo della sessualità, mentre dobbiamo riconoscere che il piacere non ha assunto un determinante valore identificativo. Imitando l’efficienza maschile la donna si è fatta più libera e attiva, ma la presenza di comportamenti che un tempo sarebbero stati giudicati intemperanti e trasgressivi viene dimensionata dal facile e frequente abbandono come testimonia la sempre più frequente compromissione del desiderio e quindi della conseguente attività sessuale.
Facilmente a questo si obietta ricordando la grande quantità di notizie e argomentazioni di cui è oggetto la sessualità nei nostri media e dell’impressione di una realtà sociale particolarmente erotizzata, ma si deve notare che la rivalutazione del gioco e del piacere è stata facilmente fagocitata dal sistema economico e opportunamente strumentalizzata per cui le uniche manifestazioni sessuali che hanno subito un incremento sono quelle che si prestano ad uno sfruttamento commerciale: prostituzione, pornografia, turismo sessuale, club per coppie scambiste, dark club, pedofilia, ecc.
b) il graduale abbandono delle posizioni subalterne rivestite dalla donna, le sue conquiste nel campo del lavoro e del sociale hanno diversamente dimensionato la femminilità. Mentre la donna è indirizzata all’acquisizione di una identità (acculturata, libera, autonoma, moderatamente materna, non asservita al matrimonio o ai figli, ecc.) data come certa, l’uomo deve confrontarsi con una identità maschile in disarmo, risultandone disorientato: perseguitato da un anacronistico ideale di efficienza sperimenta più facilmente la impotenza del suo ruolo e del suo sesso e si rifugia spesso in atteggiamenti infantili e dipendenti dove non trova spazio l’attività sessuale – quindi la necessità di dimostrarsi capace – quando non esplode in forme di violenza.
c) dopo gli anni settanta si sono andate diffondendo idee e realizzati comportamenti che nel loro insieme hanno messo in opera una pacifica ma non per questo indolore, rivoluzione sessuale: la contraccezione ha conquistato la piena legittimità; la verginità femminile ha perso valore e significato; i rapporti prematrimoniali sono diventati sempre più possibili e frequenti; le diverse tecniche erotiche (rapporti orali, anali, posture particolari, uso di vibratori, ecc..) sono state proposte come alternative normali, possibili se non doverose; i rapporti fra adolescenti si sono incrementati del 100%; l’omosessualità – cancellata nel 1973 come malattia – si è andata affermando come caratteristica della persona e non più come perversione (analoga accoglienza sembra essere negli ultimi tempi riservata al transessualismo); il divorzio e l’aborto sono stati oggetto di una liberalizzazione legale; la convivenza si è affiancata al matrimonio e la sua legittimità vuole essere allargata alle unioni omosessuali; lo sviluppo tecnologico ha favorito scambi (v. internet) e seduzioni (sesso virtuale) ancora imprevedibili nei loro effetti; il divenire società multietnica ha ulteriormente compromesso la certezza dei valori e dei modelli comportamentali propri della tradizione, ecc. ecc.
La crisi del fare ha probabilmente molteplici cause, ma di certo non può essere recuperata cercando di rianimare il modello androcentrico. Quando si dice che nel nostro paese ci sono 3 milioni di impotenti di cui solo 400.000 ricorrono alle cure disponibili, non possiamo affrontare la situazione solo incentivando la campagna promozionale affinché tutti i restanti due milioni e seicentomila si rivolgano al medico. Se ci sono due milioni e seicentomila uomini rassegnati alla loro impotenza o addirittura affezionati ad essa e comunque che non fanno nulla o quasi per uscirne, occorre chiedersi perché. Altrettanto possiamo dire per l’anorgasmia femminile che da un lato si riconosce essere presente nel 50% della popolazione femminile e dall’altro non fa registrare una corrispondente percentuale di domanda d’aiuto: nella nostra esperienza clinica su cento pazienti solo venti sono donne prevalentemente sofferenti di vaginismo.
Gran parte degli strumenti terapeutici di cui possiamo disporre sono nati e vengono applicati in osservanza del modello androcentrico, con essi si cerca di invertire la rotta della crisi partendo dal fallo fallato per recuperare il fallo infallibile. Tale operazione tuttavia non riscuote il successo sperato. Intervenire con medicine e tecniche di cura che hanno come riferimento il modello androcentrico non sembra soddisfare oltre l’80% degli impotenti e il divario fra impotenti rassegnati/affezionati e impotenti che si curano sembra essere dovuto proprio ad un errore di strategia terapeutica.
Forse occorre identificare altri valori e richiami normativi, forse dobbiamo abbandonare l’obbligo della prestazione efficiente per scoprire il piacere dello scambio, forse dobbiamo costruire un universo simbolico dove la dominante sia rappresentata dalla possibilità di essere e non dall’obbligo del fare. Forse, uomini e donne, dobbiamo rinunciare al penis power posseduto o invidiato riconoscendo più realisticamente il power penis e quindi la necessità di ridefinire nella consapevolezza dei propri limiti e nella accoglienza dell’altro i modelli valoriali che possano guidare la formazione dell’identità e favorire il vivere sessuale.
Prof. Giorgio Rifelli
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Giorgio Rifelli è medico, specializzato in Dermatologia-Venereologia ed in Psicologia Medica. E’ Responsabile del Servizio di Sessuologia Clinica presso il Dipartimento di Psicologia dell’Università di Bologna; Segretario Generale del Centro Italiano di Sessuologia, Membro del Comitato Scientifico dell’Associazione Italiana Consulenti Coniugali e Familiari (A.I.C.C. e F.); Direttore della sezione di Bologna della Scuola di Sessuologia per l’Educazione, la Consulenza e la Psicoterapia sessuale del Centro Italiano di Sessuologia; Consigliere nazionale della Federazione Italiana di Sessuologia Scientifica. Dall’Anno Accademico 1996-97 è Docente a contratto di Psicologia e Psicopatologia del Comportamento Sessuale presso la Facoltà di Psicologia, Università di Bologna.
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