L’artista e la sua musa

Ho trovato, sul Guardian, alcune interessanti osservazioni sull’artista e la sua musa, scritte da Germaine Greer, una delle più importanti voci femministe nel panorama internazionale.

La Greer parte, nelle sue considerazioni, dal famoso quadro di di Lucian Freud, Sue Tilley, per parlare del rapporto fra l’artista e la sua musa.

Come si sa, la Tilley ha posato per Freud (artista che fra l’altro è nipote di Sigmund Freud, figlio del figlio Ernest) un paio di giorni alla settimana, nel 1995, per un periodo complessivo di nove mesi.

La Greer dunque, partendo da questo fatto di attualità, sostanzialmente si chiede cosa significhi, in cosa consista, per un pittore, avere una musa ispiratrice.

Una musa, dice la Greer, è tutto, meno che una semplice modella: è la parte femminile dell’artista maschio, con la quale egli deve avere rapporti, se desidera concepire un nuovo lavoro. E’ l’anima del suo animus, lo yin del suo yang, tranne che per il fatto che è lei, la musa, a penetrare il suo artista, in una completa inversione dei ruoli di genere, ed è lui, l’artista, a portare avanti la gestazione, a partorire il suo lavoro, dall’utero della mente.

Andrea del Sarto, pittore italiano nato nel 1486, era sposato con la sua musa, Lucrezia, i cui lineamenti sono molto simili a tutte le figure di donna che lui ha disegnato. Da allora, artisti come Rubens, Bonnard, Renoir, Charles Blackman e Brett Whiteley hanno dipinto le loro mogli più e più volte, ma queste donne erano più dei soggetti da dipingere che delle muse ispiratrici.

Kitaj e Sandra fisherA sinistra: Kitaj e sandra Fisher 1983

Una musa ispiratrice del ventesimo secolo fu, ad esempio, Sandra Fisher, moglie di RB Kitaj; non per il ruolo da lei svolto durante la sua vita, bensì per quello che rappresentò nella vita intellettuale di Kitaj, dopo la sua prematura scomparsa. Solo allora l’artista potè riconoscerla come fonte della sua ispirazione, espressione della divinità, come furono Beatrice per Dante e Laura per il Petrarca.

La musa ispiratrice non può essere penetrata: non è quello il suo ruolo. E’ lei che deve penetrare, ma non il corpo: solo la mente dell’artista. La compagna di vita di Gustav Klimt, Emilie Flöge, la giovane sorella di sua cognata, quasi certamente morì vergine. Klimt scelse Flöge, che aveva 12 anni meno di lui, e ne fece una sua amante virtuale. I rapporti sessuali furono infatti cercati dall’artista unicamente con donne di una classe sociale diversa dalla sua (ed infatti sembra che avesse avuto 14 figli). Quando Klimt morì, i figli ricevettero solo una piccola somma della sua fortuna, che fu invece divisa fra
Flöge e la famiglia Klimt. Vediamo i lineamenti di Emilie nella maschera bianca, disegnata al centro della pittura del 1913, La vergine, custodita nella Národní Gallery di Praga.

Monique Bourgeois fu invece la musa di Matisse, che lo curò a partire dal 1941, quando l’artista si ammalò di cancro. La Bourgeois divenne sua modella ed infermiera. Nel 1943, dopo che i due erano stati separati dalle vicissitudini della guerra, la Bourgeois entrò in convento e non incontrò più Matisse fino al 1946, quando lo cercò per chiedergli di dipingere la Cappella del Rosario, il suo ultimo e grandissimo lavoro completo.

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Ma la uber-muse del ventesimo secolo è stata sicuramente Elena Ivanovna Diakonova, conosciuta come Gala, che prima ispirò il poeta Paul Eluard e poi Salvador Dalí, con il quale visse dal 1929 fino alla sua morte, nel 1982. Anche in questo caso la relazione fra i due non era di tipo sessuale. Ciò nonostante la dipendenza di Dalì dalla sua musa fu assoluta: con la perdita di lei, la sua creatività eccezionale si dissolse nel nulla.

Fonte: Adattamento di un articolo tratto da The Guardian, Aut. Germane Greer

Dott.ssa Giuliana Proietti

Immagine
Wikimedia

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