La Terapia di Conversione, o Terapia Riparativa

La Terapia di Conversione, o Terapia Riparativa

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Cos’è la terapia di conversione?

Secondo la British Psychological Society (BPS), la terapia di conversione – a volte chiamata “terapia riparativa” o “terapia di cura per i gay” – è una terapia che ha l’obiettivo di cambiare l’orientamento sessuale o l’identità di genere di un soggetto. In pratica, significa cercare di impedire alle persone di identificarsi in un genere diverso da quello registrato alla nascita, o di avere un orientamento omosessuale.

In cosa consiste?

La terapia di conversione può includere tecniche verbali e preghiere, ma anche forme più estreme di intervento, ivi inclusi esorcismo, violenza fisica e privazione del cibo.

Cosa ne pensa il mondo scientifico?

Nel 2012, la Pan American Health Organization (OPS) osservò che la “terapia di conversione” non aveva alcuna giustificazione medica e rappresentava una grave minaccia per la salute e i diritti umani delle persone colpite, mentre nel 2016 la World Psychiatric Association ha dichiarato che “non ci sono prove scientifiche valide che l’orientamento sessuale innato possa essere cambiato “. Nel 2020, the Independent Forensic Expert Group (IFEG) ha dichiarato che offrire la “terapia di conversione” è una forma di inganno, pubblicità ingannevole e frode.

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Quanto è diffusa la terapia di conversione?

È difficile sapere esattamente quanto sia diffusa la pratica. Non esiste una definizione legale standard e le vittime potrebbero essere riluttanti a condividere le loro esperienze. Per avere un’idea, circa il 5% delle 108.000 persone che hanno risposto al sondaggio LGBT condotto dal governo nel Regno Unito nel 2018 ha dichiarato di aver ricevuto una qualche forma di terapia di conversione, mentre il 2% ha detto di averla subita. In questo sondaggio, ad essere maggiormente colpite erano le persone appartenenti a una minoranza etnica, oppure le persone religiose.
Circa il 10% degli intervistati cristiani e il 20% dei musulmani hanno dichiarato, nel sondaggio, di essersi sottoposti, o di aver ricevuto, una terapia di conversione, rispetto al 6% di coloro che non hanno un credo religioso.

Chi svolge queste terapie?

Gli autori delle pratiche di “terapia di conversione” vengono considerati dalla comunità scientifica degli operatori ignoranti e/o incauti, che danno consigli inappropriati, seguendo le loro convinzioni personali e non la ricerca scientifica. Spesso questa terapia viene svolta all’interno di comunità religiose, che consigliano l’interessato/a e la sua famiglia a tentare questo intervento.

A chi si rivolgono queste terapie?

Le pratiche di “terapia di conversione” si rivolgono a un gruppo specifico di persone, cioè quelle che hanno un orientamento sessuale e una identità di genere differente dall’eteronormatività (convinzione che l’eterosessualità sia l’unico orientamento sessuale o norma unica per la sessualità). Tali pratiche prendono come punto di partenza la convinzione che le persone sessualmente diverse siano in qualche modo inferiori, moralmente, spiritualmente o fisicamente, rispetto agli eterosessuali, e che pertanto devono essere “convertite” alla normalità.

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Chi sono i maggiori esponenti di questa terapia?

Fra i maggiori esponenti della terapia di conversione vi sono gli statunitensi Richard A. Cohen, fondatore della International Healing Foundation nel Maryland, e Joseph Nicolosi, direttore della Thomas Aquinas Psychological Clinic di Encino, California.

Dove è stata bandita nel mondo?

Circa 16 paesi, tra cui Brasile, Canada e Germania hanno imposto divieti totali o parziali nei confronti della terapia di conversione. Circa 20 stati degli Stati Uniti hanno vietato la pratica per i minori, sebbene il divieto non interessi consulenti e organizzazioni religiose. Molti altri Stati, come ad esempio la Gran Bretagna, sta cercando di approvare delle leggi per abolire tale pratica.

Quale è la situazione italiana?

Nel 2010 in Italia è stato pubblicato un documento sottoscritto da psicologi, psichiatri, psicoterapeuti, psicoanalisti, studiosi e ricercatori nel campo della salute mentale e della formazione per condannare ogni tentativo di patologizzare l’omosessualità, affermando che “qualunque trattamento mirato a indurre il/la paziente a modificare il proprio orientamento sessuale si pone al di fuori dello spirito etico e scientifico”. Il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Psicologi (CNOP) si è espresso più volte sulla dannosità delle terapie riparative e contro la concezione dell’omosessualità come malattia.

Sul piano legislativo, tuttavia, non vi è ancora una legge che esplicitamente vieti la terapia di conversione. Nel 2016 il senatore Lo Giudice aveva avanzato una proposta per rendere la terapia di conversione illegale, ma quest’ultima non è mai arrivata a essere discussa. Secondo il disegno di legge, chiunque avesse praticato questo tipo di percorso terapeutico poteva essere condannato a due anni di reclusione e multato dai 10 ai 50mila euro. (In Germania la multa è fissata, ad esempio, in 30.000 euro).


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Quali sono gli approcci della terapia di conversione?

Vi sono almeno tre approcci per la “terapia di conversione”.

  • PSICOTERAPIA. Si tratta di interventi basati sulla convinzione che la diversità di genere sia un prodotto di un’educazione o di una esperienza anomala. Vengono applicate la terapia psicodinamica, la comportamentale, le terapie cognitive e interpersonali. Un metodo ricorrente utilizzato è lo shock elettrico o il senso di nausea provocato mentre si è esposti a stimoli sessuali graditi dal soggetto (per causare un riflesso condizionato);
  • APPROCCIO MEDICO. In questo approccio si ritiene che la diversità sessuale sia dovuta a una intrinseca disfunzione biologica. Si punta su approcci farmaceutici, come la terapia ormonale o steroidea.
  • APPROCCIO BASATO SULLA FEDE. Interventi che agiscono partendo dal presupposto che ci sia qualcosa di intrinsecamente malvagio nei diversi orientamenti sessuali e identità di genere. Le vittime sono generalmente sottomesse ai principi di un consigliere spirituale e sottoposte a programmi per superare la loro “malattia”. Tali programmi possono includere insulti anti-gay oltre a percosse, incatenamenti e privazione di cibo. A volte questi elementi sono combinati con l’esorcismo.

Cosa produce questa terapia negli individui?

Dal momento che le persone LGBT vengono considerate come esseri umani imperfetti, inferiori, o malati, la terapia per “convertirsi” alla normalità, o per “riparare” la colpa dell’omosessualità viola il diritto alla salute, compresa la libertà di scelta della cura medica e può essere assimilata alla tortura.  Non a caso l’impatto profondo di questa terapia sugli individui include una significativa perdita di autostima, ansia, sindrome depressiva, isolamento sociale, difficoltà nell’intimità, odio per se stessi, vergogna e senso di colpa, disfunzioni sessuali, ideazione suicidaria, sintomi di disturbo post-traumatico da stress.

Di cosa devono essere informati i genitori che sottopongono i figli a queste terapie?

I genitori che sottopongono i figli a tali trattamenti devono essere informati sulla vera natura di queste pratiche e sulla loro incapacità, provata da moltissime ricerche scientifiche, di ottenere una effettiva “conversione”. Non vanno inoltre dimenticati gli importanti effetti collaterali di lungo termine sul piano psicologico di chi viene sottoposto a queste cure.

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La Terapia di Conversione funziona?

Moltissimi studi hanno ormai convinto la maggior parte della comunità scientifica che non vi è alcuna evidenza di successo terapeutico nel cercare di “curare l’omosessualità”.

Ad oggi, non vi è alcuna prova conclusiva che la terapia riparativa sia benefica per i pazienti. Le percentuali di successo rivendicate dai terapeuti riparativi variano in base al sesso e vanno dal 11% (totale cambiamento nelle femmine) al 37% (totale cambiamento nei maschi) (Spitzer, 2003). Nicolosi, Byrd, e Potts (2000) riferiscono che il 34% del loro campione ha sperimentato molti cambiamenti nell’orientamento sessuale.

Tuttavia, in alcuni studi di efficacia della terapia riparativa, come lo studio Spitzer, non è chiaro se i partecipanti fossero omosessuali o bisessuali prima di iniziare la terapia.

Inoltre, un trattamento di successo, per i terapeuti riparativi, consiste nella rinuncia alle attività omosessuali e bisessuali: il successo terapeutico viene dunque visto nell’astensione dal comportamento omosessuale e nella continua lotta alla tentazione prodotta da pensieri e sentimenti omosessuali.

Come si vede, la terapia riparativa non ha l’obiettivo, in realtà, di cambiare l’orientamento sessuale, ma semplicemente di spingere la persona a controllare il suo comportamento (e questo non solo non fa bene, ma può anche fare del male).

Dr. Giuliana Proietti


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