L’identità personale: cosa significa?

L’identità personale

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Cosa si intende, in filosofia, con il termine “identità personale”?

Tra i vari filosofi che se ne sono occupati, possiamo citare J. Locke e D. Hume, i quali usarono questo stesso termine per definire la costruzione della memoria, ovvero la relazione che la memoria instaura tra le impressioni continuamente mutevoli oltre che tra il presente e il passato. L’Io sarebbe solo una ‘collezione’ di impressioni, continuamente mutevoli. Questa riflessione filosofica è stata sostanzialmente accolta dalla psicologia, che parla di identità e di crisi di identità in ordine alla solidità o alla fragilità di questa costruzione.

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Cosa si intende, in psicologia, con il termine “identità personale”?

Con il termine identità personale, in psicologia si intende il senso del proprio essere, continuo attraverso il tempo e distinto, come entità, da tutte le altre. In altre parole è il concetto che si ha di se stessi: un concetto che si trasforma e si evolve nel corso della vita.

Quando si forma l’identità personale?

La formazione dell’identità personale avviene nei primi anni di vita del bambino quando, con la scoperta del mondo degli oggetti (“relazione oggettuale”) e la distinzione fra questi e il proprio sé, fisico e mentale, nasce il sistema dell’Io.

Per parlare del processo di costruzione dell’identità, ivi compresa l’identità sessuale, si deve far riferimento alle fasi di sviluppo psicologico del bambino ed in particolare all‘identificazione col genitore, grazie alla quale vengono assimilati aspetti, proprietà, attributi della mamma e/o del papà, che diventano dei modelli.

La formazione del senso di identità vero e proprio, che comporta autonomia e indipendenza, ha inizio nel momento in cui l’identificazione col genitore volge al termine, cioè quando si è avuto un passaggio attraverso le fasi di separazione-individuazione nel rapporto con la figura materna (o della persona che si prende cura del bambino).

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Editore: Xenia, Collana: I tascabili
Anno edizione: 2004 Pagine: 128 p., Brossura
Autori: Giuliana Proietti - Walter La Gatta

L’identità personale è simile per tutti?

Assolutamente no, anzi, è ciò che ci differenzia dagli altri. Scrive Jung in Tipi psicologici (1921): “Sull’identità si basa l’ingenuo pregiudizio che la psicologia dell’uno sia uguale a quella dell’altro, che dappertutto valgano gli stessi motivi, che ciò che piace a me debba ovviamente piacere anche agli altri, che ciò che è immorale per me debba esserlo anche per gli altri…”.

In che modo mostriamo agli altri la nostra identità?Dimostriamo aspetti della nostra identità personale, ad esempio, attraverso ciò che scegliamo di indossare, o come interagiamo con le altre persone.

Possono esserci aspetti della nostra identità personale che scegliamo di non mostrare agli altri?

Si, certamente. Alcuni aspetti possono essere tenuti per sé, senza mostrarli agli altri, almeno volontariamente.

Come si fa a sapere di essere la stessa persona che si era da bambini? Questo implica il concetto di “persistenza”: percepiamo che il nostro sé ‘persiste’ attraverso la nostra vita nello stesso essere umano. Platone fu il primo a proporre che questo senso di persistenza ci derivi dall’avere un’anima, un’essenza senza tempo, che continua in qualche forma anche dopo la morte del nostro corpo vivente.

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Come evolve l’identità personale?

L’identità personale si sviluppa nel tempo e può evolvere, a volte drasticamente, a seconda delle esperienze di vita. Ad esempio, una persona che a 25 anni si identifica come parte di un particolare partito politico, di una particolare fede, e che si considera della classe medio-alta, potrebbe scoprire che a 65 anni è una persona molto diversa: forse non si interessa più alla politica, ha cambiato religione e vive con meno soldi rispetto a quando aveva 25 anni. Queste variazioni cambiano anche la percezione della identità personale.

Cosa accade quando si hanno problemi con il proprio senso di identità personale?

In psichiatria, il senso dell’identità personale è legato al mantenimento della coscienza dell’Io. La perdita della coscienza dell’Io determina la depersonalizzazione, intesa come frattura e vissuto di non-appartenenza rispetto ai propri eventi psichici (K. Jaspers) o senso di estraneamento (K. Schneider).

La depersonalizzazione è un’esperienza di distacco ed estraneità nei confronti della propria identità psichica, del proprio corpo, del mondo esterno, come se la naturale relazione dell’Io con questi tre aspetti della realtà si incrinasse o si rompesse. Tutti i quadri psicopatologici presentano infatti, anche se in modo diverso, un disturbo dell’identità e della coscienza dell’Io.

Dott.ssa Giuliana Proietti

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