Il comportamento di aiuto in un bambino di tre anni
Anche se i bambini piccoli sono disponibili ad aiutare gli altri, si potrebbe pensare che l’aiuto che hanno da offrire sia piuttosto semplice: si chiede loro di fare qualcosa e loro la fanno. In verità, un nuovo studio rivela un notevole livello di sofisticazione nel comportamento di aiuto di un bambino di tre anni. Il bambino infatti è capace di tenere conto dell’obiettivo che si vuole raggiungere, e se pensa di saper fare meglio di voi nel raggiungere l’obiettivo, è capace di prestare aiuto a suo modo: una capacità che i ricercatori chiamano “aiuto paternalistico”.
A33/A13
Lo studio iniziale ha riguardato diciannove bambini di tre anni, che avevano coppie di oggetti a portata di mano: un oggetto integro (ad esempio una tazza), un altro danneggiato (ad esempio, una tazza con un foro nella parte inferiore). Lo sperimentatore indicava l’oggetto danneggiato della coppia (es. “Mi puoi passare quella tazza in modo che io possa versarci un po’ d’acqua?”), per capire se il bambino avrebbe ignorato la richiesta specifica, passando all’interlocutore l’oggetto equivalente integro.
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PSICOLOGIA - PSICOTERAPIA - SESSUOLOGIA
Alia Martin e Kristina Olson della Yale University hanno scoperto che i bambini passano l’oggetto richiesto il 97,4 per cento delle volte se la richiesta dello sperimentatore riguarda l’oggetto integro della coppia. Nel test critico, questo valore scende al 31,6 per cento se lo sperimentatore richiede l’oggetto danneggiato. Detto in altro modo, quasi il 70 per cento delle volte che uno sperimentatore richiedeva specificamente uno strumento danneggiato, i bambini ignoravano ciò che veniva loro richiesto e invece fornivano l’oggetto integro equivalente (spesso spiegando spontaneamente le loro azioni).
E se i bambini preferissero gli oggetti integri e per questo consegnassero questi, a prescindere dalle circostanze? Per verificarlo, è stato condotto un secondo studio con un numero maggiore di bambini di più di tre anni a cui lo sperimentatore chiedeva di gettare oggetti integri o danneggiati nel cestino della spazzatura (piuttosto che utilizzarli per uno scopo specifico). In questo caso, i bambini tendevano a gettare via qualsiasi oggetto veniva loro richiesto, integro o no.
Uno studio finale ha fornito una dimostrazione ancora più impressionante sul comportamento di aiuto di un bambino di tre anni. Questa volta, lo sperimentatore a volte chiedeva gli oggetti per usi non convenzionali, come ad esempio una tazza per ritagliare un cerchio nella plastilina (nel qual caso il foro nella sua parte inferiore non aveva importanza). Come nel caso precedente, i bambini solitamente ignorano le richieste di oggetti danneggiati per usi convenzionali, fornendo una valida alternativa. Ma se veniva richiesto un oggetto danneggiato che però era perfettamente utile per svolgere un compito non convenzionale, essi lo passavano senza problemi. I bambini sembrano essere in grado di pensare in modo sofisticato circa l’obiettivo finale dell’adulto e se l’oggetto che viene loro richiesto sia utile per realizzare questo obiettivo.
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“I nostri risultati dimostrano che nei primi anni di vita i bambini hanno già una conoscenza molto avanzata del comportamento di aiuto” Martin e Olson hanno concluso. “Sanno distinguere tra obiettivi immediati e finali e sanno selezionare l’azione appropriata anche quando si richiede loro una richiesta diversa.”
Fonte
Martin, A., and Olson, K. (2013). When Kids Know Better: Paternalistic Helping in 3-Year-Old Children. Developmental Psychology DOI: 10.1037/a0031715
Dr. Christian Jarrett
Traduzione a cura di psicolinea.it
Versione originale dell’articolo:
It’s possible to be patronised by a helpful three-year-old, BPS
Immagine:
Pixabay
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Il Dr. Christian Jarrett è psicologo ed autore di The Rough Guide To Psychology (2011) ed attualmente sta scrivendo Great Myths of the Brain (Wiley-Blackwell), che dovrebbe essere completato nel 2013. Ha scritto per The Times, The Guardian, New Scientist, BBC Focus, Psychologies, Wired UK, Outdoor Fitness, etc. Christian scrive anche per la British Psychological Society nel magazine The Psychologist, e Research Digest blog.