Pier Paolo Pasolini: un outsider
Pier Paolo Pasolini nacque a Bologna, il 5 Marzo del 1922, da Carlo Alberto Pasolini, tenente di fanteria, e Susanna Colussi, maestra elementare. Pier Paolo era il primo figlio della coppia. “Mio padre discendeva da un’antica famiglia nobile della Romagna– raccontò Pasolini – mia madre, al contrario, viene da una famiglia di contadini friulani che si sono a poco a poco innalzati, col tempo, alla condizione piccolo-borghese. Dalla parte di mio nonno materno erano del ramo della distilleria. La madre di mia madre era piemontese, ciò non le impedì affatto di avere egualmente legami con la Sicilia e la regione di Roma“.
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Nel 1925, a Belluno, nacque il fratello Guido. Durante l’infanzia e l’adolescenza di Pier Paolo, la famiglia Pasolini si trasferì in diverse città italiane, a causa del lavoro del padre. Prima andarono a Parma, poi a Belluno, quindi a Conegliano, Cremona, Reggio Emilia. Ma l’estate si tornava a Casarsa, «… vecchio borgo… grigio e immerso nella più sorda penombra di pioggia, popolato a stento da antiquate figure di contadini e intronato dal suono senza tempo della campana».
Il rapporto con il padre, definito ‘antagonista e tirannico’ era pessimo, mentre ottimo era quello con la madre, sulla quale, diceva Pasolini, “tutta la mia vita era imperniata”.
Nel 1939 il futuro scrittore e regista s’iscrisse alla Facoltà di Lettere dell’Università di Bologna e tre anni dopo (1942) pubblicò a sue spese un volumetto di poesie, Poesie a Casarsa, in dialetto friulano. L’uso del dialetto rappresentava per Pasolini, durante il periodo fascista, una forma di espressione libera, incontrollabile da nessuna forma di potere e da nessun tentativo di egemonizzazione culturale delle masse, questione che interessò lo scrittore per tutta la sua vita.
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Durante la guerra, il tenente Carlo Alberto Pasolini fu fatto prigioniero dagli inglesi, in Africa. L’8 Settembre Pier Paolo scappò dall’esercito, “ossessionato dall’idea di finire uncinato; ché così finivano nel Litorale Adriatico i giovani renitenti alla leva o dichiaratamente antifascisti” e raggiunse l’amata Casarsa, dove era anche la madre.
Qui trascorse qualche mese, precisamente a Versuta, al di là del Tagliamento, luogo meno esposto ai bombardamenti alleati e agli assedi tedeschi. Nel 1944 uscì il volume Stroligut (significa ‘piccolo stregone’ o ‘indovino’ in dialetto friulano), cui seguì a breve Di cà de l’aga (‘al di qua dell’acqua’, intendendo la sponda destra del Tagliamento). Con alcuni amici fondò, nel febbraio del 1945, l’Academiuta di Lenga Furlana per la salvaguardia del dialetto.
Nel febbraio del 1945 il primo grande dolore per la famiglia Pasolini: la morte del secondogenito, Guido, di soli venti anni, partigiano nella divisione Osoppo, legata al Partito d’azione. Questa perdita causò un dolore immenso alla madre, che si legò ancor di più a Pier Paolo. Lo stesso anno lo scrittore si laureò in lettere con una tesi sull’ Antologia della lirica pascoliana (introduzione e commenti) e cominciò ad insegnare lettere in una scuola media di Valvassone, in provincia di Udine. Poco dopo tornò il padre dalla prigionia in Kenia: era «malato, avvelenato dalla sconfitta del fascismo,… distrutto, feroce, tiranno senza più potere».
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Nel 1945 uscì il primo volume scritto in italiano, Poesie, ma continuava la ricerca sulla lingua friulana con I diarii e I pianti, pubblicati l’anno successivo per le edizioni dell’Academiuta. I versi scritti fra il 43 e il 49 furono poi raccolti nel volume L’usignolo della chiesa cattolica (1958) e ne La meglio gioventù.
Nel 1947 Pasolini si avvicinò allo studio di Marx ed aderì al Partito Comunista Italiano, dal quale si aspettava la possibilità di «trasformare la preistoria in storia, la natura in coscienza». Oltre a scrivere per il settimanale del partito “Lotta e lavoro” fu segretario della sezione di San Giovanni di Casarsa. Non era molto amato dai compagni friulani, che lo consideravano un intellettuale borghese.
Nel 1949 fu allontanato dall’insegnamento per corruzione di minorenne e questo gli costò anche l’espulsione dal PCI, oltre che un momentaneo allontanamento dalla madre, che però durò poco, tanto che insieme decisero di partire per Roma e ricostruirsi una nuova vita.
A Roma Pasolini trovò lavori precari: fece il generico a Cinecittà, il correttore di bozze, il venditore di libri nelle bancarelle rionali. «Per due anni fui un disoccupato disperato, di quelli che finiscono suicidi; poi trovai da insegnare in una scuola privata a Ciampino per ventisettemila lire al mese». I Pasolini trovarono casa a Ponte Mammolo, sulla Tiburtina, «in una casa restata definitivamente senza tetto», nella quale nel 51 furono raggiunti anche dal padre di Pier Paolo.
Così Pasolini conobbe i borgatari romani e l’amico Sergio Citti, suo «vivente lessico romanesco», ma anche gli ambienti intellettuali romani. In particolare conobbe Penna, Bassani, Caprono, Gadda e Bertolucci.
Nel 1954 abbandonò l’insegnamento e si stabilì, con la madre, a Monteverde Vecchio. In questo periodo uscì il suo primo importante volume di poesie dialettali: La meglio gioventù, ed iniziò a collaborare con alcune riviste: ‘Il contemporaneo’, ‘Paragone’ e ‘Vie nuove’.
Nel 1955 uscì ‘Ragazzi di vita’, pubblicato da Garzanti, in cui l’autore raccontava una vicenda ambientata in una borgata, con personaggi del sottoproletariato romano che si esprimevano in dialetto. Il libro ottenne un vasto successo, sia di critica che di lettori, ma fu considerato osceno, tanto che il Presidente del Consiglio Tambroni promosse un’azione giudiziaria contro Pasolini ed il suo editore, Livio Garzanti.
Gli imputati furono assolti perché ‘il fatto non costituiva reato’ ed il libro tornò, dopo un anno di assenza, nelle librerie. Pasolini divenne però, anche per la sua omosessualità, il mostro da sbattere in prima pagina: addirittura fu accusato di rapina a mano armata nei confronti di un benzinaio di S. Felice Circeo (1961).
Come intellettuale di sinistra e come omosessuale, venne aggredito più volte anche da gruppi neofascisti; subì 33 processi nella sua vita e questo sicuramente contribuì a farne un outsider, un intellettuale emarginato che poteva permettersi di criticare ciò che voleva, dal suo luogo di osservazione ‘fuori della città, oltre il capolinea’.
Nel 1957, insieme a Sergio Citti, collaborò al film di Fellini, “Le notti di Cabiria”, stendendone i dialoghi nella parlata romana, cui seguì ‘Una vita violenta‘ nel 1959. L’amore per il cinema era sbocciato.
Nel 1960 dette alle stampe Il sogno di una cosa (romanzo scritto tra il ’48 e il ’49), ma si dedicò soprattutto alla stesura di numerose sceneggiature e alla regia di films, come “Accattone” (1961) “Mamma Roma” (1962).
Di questo periodo sono i suoi viaggi in India con Moravia e la Morante (da cui L’odore dell’India – 1962) e poi in Sudan e Kenia, in Ghana, Nigeria, Guinea, Israele e Giordania (da cui “Sopralluoghi in Palestina“). Nel 1963 l’episodio “La ricotta” (inserito nel film a più mani “RoGoPaG”), venne sequestrato e Pasolini fu imputato per reato di vilipendio alla religione dello Stato.
Venne poi “Il Vangelo secondo Matteo” (1964), da molti considerato il suo capolavoro, “Uccellacci ed uccellini” (1966) interpretato da Totò, “La terra vista dalla luna” (1967) e “Che cosa sono le nuvole?” (1968).
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Nel 1968 suscitò non poco scalpore il suo clamoroso intervento Il Pci ai giovani!!, con cui attaccava il gruppo dirigente del Pci e difendeva i poliziotti d’origine proletaria contro gli studenti, figli di borghesi e piccolo-borghesi che si erano scontrati a Villa Giulia.Nel frattempo uscivano in libreria altri volumi di poesie, quali Le ceneri di Gramsci, La religione del mio tempo, Poesie in forma di rosa.
I film successivi, “Edipo re” (1967), “Teorema” (1968), “Porcile” (1969) “Medea” (1970), “Il Decameron” (1971), “I racconti di Canterbury” (1972), “Il fiore delle Mille e una notte” (1972) furono considerarati lavori poetici ma anche molto provocatori, non molto comprensibili al grande pubblico ed a parte della critica, che li considerò semplicemente pornografici.
Nel 1973 cominciò la sua collaborazione al “Corriere della sera”, con interventi polemici contro il potere, identificato nel ‘Palazzo’. Questi editoriali furono raccolti negli “Scritti corsari“, pubblicati da Garzanti.
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La mattina del 2 novembre 1975, sul litorale romano ad Ostia, in un campo incolto in via dell’idroscalo, fu scoperto il cadavere di Pasolini, riconosciuto dall’amico Ninetto Davoli. Nella notte fu fermato Giuseppe Pelosi, detto “Pino la rana” alla guida di una Giulietta 2000, dello stesso Pasolini. Il ragazzo raccontò la sua versione: l’incontro con lo scrittore presso la Stazione Termini, la cena in un ristorante, il dopo-cena all’idroscalo, l’ approccio sessuale di Pasolini, il rifiuto di Pelosi e la sua reazione. Pelosi venne incriminato come unico assassino dello scrittore, malgrado le molte evidenze di un possibile agguato ad opera di più persone.
Pasolini aveva scritto contro il mondo borghese, il capitalismo e il neocapitalismo, la società di massa e il consumismo, il villaggio globale, la televisione, l’omologazione, la rivoluzione antropologica, il Palazzo… Sicuramente cominciava a dare troppo fastidio.
A chi? Ancora non si sa.
Postumi uscirono il film “Salò o le 120 giornate di Sodoma” (1975), e numerose raccolte di suoi scritti, come le Lettere luterane, (1976) con articoli pubblicati sul «Corriere della Sera» e su «Il Mondo» l’anno precedente, una scelta di testi della rubrica di corrispondenze con i lettori tenute, da ’60 al ’65, su «Vie nuove» contenuta nel volume Le belle bandiere (1977) e tante altre opere che videro la luce dopo la morte.
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Con la morte, Pasolini, scomodo ed emarginato in vita, si trasformò in uno dei più grandi intellettuali italiani del novecento, così come lo ricordiamo e lo sentiamo alquanto ipocritamente commemorare oggi, anche da chi non lo comprese, lo perseguitò, e forse lo uccise.
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