Bruno Bettelheim: lo strano caso del Dr. B

Bruno Bettelheim: lo strano caso del Dr. B


Bruno Bettelheim, classe 1903, fu uno psichiatra e psicoanalista statunitense di origine austriaca.

A pochi anni dalla sua morte, nel 1990, la reputazione di Bruno Bettelheim, il venerato sopravvissuto dei campi di sterminio, il capo della famosa Sonia Shankman Orthogenic School, per bambini problematici, presso l’Università di Chicago, il formidabile educatore e autore  di numerosi best sellers internazionali,  cadde inesorabilmente nel fango.

Fu così che Bruno Bettelheim, per quaranta anni considerato dal grande pubblico come uno dei più importanti e influenti psicoanalisti, un erede della psicoanalisi viennese, un allievo degli allievi di Freud, divenne improvvisamente un ciarlatano e un impostore.

Per comprendere il perché di un cambiamento così radicale e improvviso nella percezione di un uomo in precedenza tanto famoso e ammirato dobbiamo partire dalla sua biografia ufficiale, quella dei libri di testo di psicologia, per poi dare voce ai suoi detrattori.

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La biografia ufficiale

Bettelheim nacque a Vienna, dove svolse gli studi universitari e si laureò nel 1938. Era il tempo del grande successo di Sigmund Freud e della psicoanalisi ma poi, purtroppo, anche del Nazismo. Il destino di Bettelheim seguì la sorte di molti dei suoi correligionari ed infatti nel 1938 fu fatto prigioniero e portato nei campi di concentramento di Dachau e Buchenwald.

Nel 1939, in circostanze che non sono ancora del tutto chiare, lo psicoanalista riuscì a fuggire negli Stati Uniti, dove cinque anni dopo ottenne la cittadinanza americana.

Nel 1941 Bettelheim sposò, in seconde nozze, Trude Weinfeld, un’insegnante di cui si era innamorato prima di essere fatto prigioniero, e la coppia ebbe tre figli. Tranne che per i primi due anni, trascorsi presso il Rockford College nell’Illinois, lo psicoanalista lavorò all’Università di Chicago dove, nel 1963, ottenne anche una cattedra di psicologia e psichiatria. Presso la stessa Università si occupò di psicologia dell’età evolutiva e, in particolare, di autismo infantile, dirigendo per oltre trent’anni la Orthogenic School, Istituto residenziale per bambini psicotici dell’Università di Chicago.

Nel 1944 divenne il Direttore dell’Istituto e in libri come “Love Is Not Enough” (1950) e Truants from Life (1955), Bettelheim descrisse i sistemi educativi della scuola e la filosofia terapeutica, da lui stesso elaborata.

Queste teorie sono spiegate, con aggiunta di casi clinici, in “The Empty Fortress: Infantile Autism and the Birth of the Self” (La fortezza vuota. L’autismo infantile e la nascita del sé – 1967). Egli vedeva il comportamento dei bambini psicotici e autistici come il risultato di genitori troppo apprensivi in alcuni stadi delicati dello sviluppo psichico. I bambini, che tendono naturalmente a ritenersi responsabili di ciò che preoccupa i loro genitori, finiscono per ritirarsi in un mondo fantastico, allo scopo di prevenire un comportamento distruttivo e autodistruttivo.

Bettelheim paragonava questa deumanizzazione distruttiva del bambino a quanto aveva potuto osservare nei comportamenti tenuti dai nazisti nei campi di concentramento sui prigionieri. A seguito delle sue esperienze di detenzione, descritte nel libro The Informed Heart (Il cuore vigile, autonomia individuale e società di massa – 1960),  aveva elaborato un metodo di trattamento che consisteva nell’accettazione incondizionata di tutti i comportamenti spontanei del bambino, da parte del personale della scuola.

Sin dall’inizio la sua impostazione teorica e clinica fu criticata: ad esempio non veniva accettata la teoria di Bettelheim per cui bambini autistici  e bambini che presentano disturbi emotivi dovessero essere considerati  allo stesso modo.

Ritenendo che l’ansia fosse un elemento importante per la nascita della psicosi del bambino, Bettelheim trattò i bambini con disturbi comportamentali della Scuola Orthogenica costruendo per loro un ambiente rassicurante, materiale ed affettivo, che considerava il primo passo necessario, prima di mettere in atto qualsiasi tentativo di comprendere le cause della psicosi. Un ambiente sano e delle esperienze di vita in grado di ridurre l’isolamento emotivo del bambino potevano essere la chiave per ottenere un corretto sviluppo psicofisico.

Tra i suoi libri tradotti in italiano, che sono ancora dei best sellers, ricordiamo: L’amore non basta (1950); La fortezza vuota (1976); I figli del sogno (1977); Il mondo incantato (1977); Sopravvivere (1981); Imparare a leggere (1989); La Vienna di Freud (1990).

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Frasi celebri

Bettelheim viene molto citato anche per le sue frasi celebri. Famosa quella del “mai dire mai”: nessuno dovrebbe dire “non farò mai quella cosa”. Il nostro comportamento infatti è dettato più dalle circostanze che dalla nostra personalità. Dopo l’esperienza dei campi di concentramento, lo psicologo austriaco arrivò a concludere che i comportamenti più imprevedibili possono manifestarsi quando le circostanze diventano eccezionali.

E’ l’ambiente che determina il comportamento: di conseguenza, se un ambiente organizzato può distruggere una personalità, deve essere possibile ricostruire l’essere umano a partire da un ambiente completamente positivo.

Libri

Il suo maggiore successo editoriale è “Il mondo incantato”, un’opera nella quale l’autore descrive le più belle e conosciute favole per bambini: da Hänsel e Gretel a Cappuccetto Rosso, da Biancaneve alla Bella Addormentata nel Bosco. Le fiabe, secondo Bettelheim, catturano l’attenzione dei bambini, li divertono, suscitano il loro interesse e stimolano la loro attenzione: è questo dunque il migliore mezzo che hanno gli educatori per comunicare con i bambini, per trasmettere loro dei messaggi positivi.

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Il suo biografo, Richard Pollack

Richard Pollack, anch’egli di origine ebraica, nel 1997 pubblicò un libro sullo psicologo viennese, dal titolo The Creation of Dr. B. (stranamente non ancora pubblicato in italiano). La motivazione che portò Pollack a scrivere una biografia al veleno su Bettelheim, circostanziata e lunga quasi 500 pagine,  dipese da un fatto strettamente personale che riguardava Stephen Pollack, suo fratello.

Questo ragazzo fu internato nella scuola di Bettelheim, con la diagnosi di autismo, per cinque anni.  Un giorno, all’età di quattordici anni, durante una vacanza da scuola, Stephen ebbe un incidente domestico, (che coinvolse anche Richard), nel quale morì.

Quando, da adulto, Richard chiese a Bettelheim di parlare del caso di suo fratello, si sentì rispondere queste parole:

La madre, i genitori, la famiglia, voi tutti ne siete i responsabili.”

Lo psicoanalista, infatti, era convinto che Stephen si fosse volontariamente suicidato.

Tra l’altro, Bettelheim definì il padre del suo assistito, il Signor Pollack senior, come un inetto, utilizzando il termine yiddish ”schlemiel”, e la madre come una “falsa martire”, che aveva la colpa di aver rifiutato questo figlio alla nascita. Come si può capire questo colloquio sconvolse profondamente la vita di Richard, che trascorse anni e anni a documentarsi e ad indagare.

Secondo Pollak, Bettelheim aveva raccontato di se stesso non tutto quello che aveva effettivamente fatto nella realtà, ma quello che avrebbe desiderato fare: incontrare Freud, portare dei bambini autistici a casa sua, prendere degli attestati dall’Università di Vienna, combattere per liberare Vienna dai nazisti, resistere ai maltrattamenti dei nazisti nei campi di concentramento ed essere salvato da questi attraverso la mediazione, niente meno, di Eleanor Roosevelt, la moglie del Presidente degli Stati Uniti d’America.

Dopo essere emigrato negli Stati Uniti infatti, secondo Pollack, Bettelheim falsificò numerosi documenti accademici e fece della sua vita un mito.

Si vantava di aver conosciuto Freud e di aver frequentato la sua più ristretta cerchia, di aver lavorato su bambini autistici a Vienna, di aver intervistato 1.500 prigionieri nei campi di concentramento ecc. Portando avanti le sue indagini anche in biblioteche e archivi di Vienna, Amsterdam, Dachau, Buchenwald e negli Stati Uniti d’America, intervistando più di 100 persone, tra parenti ed altri che avevano dei rapporti con lui, confrontando i libri e gli articoli dello psicoanalista, Pollack racconta la sapiente creazione del mito del Dr. B. (come i collaboratori e gli studenti chiamavano il Dr. Bettelheim).

Bettelheim rifiutò di essere intervistato dal giornalista per questa biografia, ma Pollack poté intervistare due dei tre figli di Bettelheim, alcuni colleghi, i suoi editori, studenti ed amici: molti di loro hanno concordato sul fatto che ‘you couldn’t believe anything he said.” cioè era un bugiardo, non si poteva credere ad una sola parola di tutto quello che diceva.

Nella Orthogenic School, che diresse per trent’anni, il Dr. B. si vantava di aver curato ‘centinaia’ di bambini autistici riuscendo ad ottenerne la guarigione nell’85% dei casi. Pollack dimostra con dovizia di particolari che le cose non andarono esattamente così.

Clinica della Timidezza

Ecco cosa come Pollack (qui in ampia sintesi) descrive la biografia di Bruno Bettelheim:

Nipote e figlio di ricchi commercianti ebrei di legname, dopo la morte del padre, causata dalla sifilide, B.B. fu costretto ad interrompere i suoi studi di letteratura e storia dell’arte per dedicarsi al mestiere di famiglia.

La madre era una donna fredda e anaffettiva.

Bruno aveva allora solo 23 anni: la morte del padre fu un grave colpo per lui, in quanto gli impedì di riuscire ad integrarsi pienamente nell’élite intellettuale che frequentava a Vienna.

Si laureò con 12 anni di studi fuori corso, in Storia, studiando soprattutto come autodidatta. Prima di essere arrestato dai Nazisti, nel 1938, stava completando un dottorato in estetica (una branca della filosofia) che non fu mai portato a termine.

Catturato dai nazisti nel 1938, fu deportato a Dachau e poi Buchenwald, dove fu rilasciato nella primavera del 1939 grazie a tangenti pagate dalla madre e da parenti della moglie, emigrati negli Stati Uniti.

Entrando nel porto di New York, avrebbe detto: “si apre una nuova vita per me” ed infatti è lì che, secondo Pollack, sfruttando gli sconvolgimenti prodotti dalla Seconda guerra mondiale, Bettelheim riuscì a ricostruire la sua storia, e perfino a renderla un mito.

Bettelheim non era un uomo particolarmente attraente, ma era estremamente abile nell’uso del linguaggio, considerato seducente da molte donne e invidiato da molti uomini.

In America lo psicoanalista avrebbe trascorso la sua vita sviluppando teorie senza fondamento, affermando risultati non verificabili, attraverso il plagio di altri autori.

Secondo Pollak, oltre ad inventarsi titoli accademici che non aveva, oltre a citare un tirocinio per diventare analista che non aveva mai frequentato, Bruno Bettelheim era arrivato perfino a sostenere che Freud (che non aveva mai conosciuto) avesse detto un giorno di lui: “questa è esattamente la persona giusta di cui abbiamo bisogno per far crescere e sviluppare la psicoanalisi”.

In America, a quel tempo, nessuno avrebbe messo in dubbio quanto diceva uno psicoanalista ebreo-viennese scappato dai campi di concentramento; con il suo accento viennese, i continui riferimenti a Freud, la sua abitudine di interpretare i sogni dei suoi allievi, i loro ricordi, ecc… Chi poteva dubitare del Dr. B.?

Dosando sottilmente seduzione e provocazione, grazie al mondo mediatico che subiva il suo fascino e il suo talento di ‘fine dicitore’, svicolando abilmente dalle critiche del mondo scientifico, che comunque non raggiungevano il grande pubblico, Bettelheim aveva gettato l’anatema sui gruppi vulnerabili, come gli ebrei sotto il nazismo, sui prigionieri dei campi di concentramento, sulle madri dei bambini autistici, sui giovani pacifisti.

I bambini che Bettelheim aveva definito ‘psicotici‘ erano dei bambini con disturbi del comportamento, o provenienti da ambienti sociali e familiari disagiati. Di bambini autistici veri e propri, secondo le ricerche di Pollack, in quell’istituto diretto dal Dr. B., ve ne furono veramente pochi.

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Bettelheim era, dalle testimonianze raccolte, una sorta di sovrano assoluto del suo Istituto, dove i soli neri ammessi erano i domestici. Quanto ai collaboratori, per Pollack il Dr. B faceva di tutto per destabilizzare il loro equilibrio psicologico, per meglio manipolarli. Era, sembra, un direttore autoritario, aggressivo e persino violento con i bambini che non gli obbedivano; alla sbandierata assenza di regole di autorità, si opponeva nel privato uno stile direttivo molto acceso che prevedeva come sanzioni al mancato rispetto delle regole perfino l’umiliazione e la violenza fisica.

Un metodo di punizione era ad esempio far spogliare un paziente ed imporgli di farsi la doccia di fronte ad altre persone.
Ciò nonostante, rileva Pollack, Bettelheim riuscì a diventare un punto di riferimento: le sue teorie portarono una generazione di genitori ed operatori a colpevolizzare i genitori dei bambini autistici e a considerare ‘autistici’ anche bambini che vivevano semplicemente nel disagio, millantando poi un numero incredibile di ‘guarigioni’.

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Nel 1943 nell’articolo ”Individual and Mass Behavior in Extreme Situations,” Bettelheim se l’era presa con i prigionieri ebrei, i quali, a suo dire, combattevano l’un l’altro, come dei bambini, fantasticando e perfino emulando gli esempi dati dai Nazisti e comportandosi come degli strumenti in mano alla Gestapo. Questo documento attrasse, a suo tempo, l’attenzione critica di Meyer Schapiro, Dwight Macdonald, Dwight D. Eisenhower, Theodor Adorno e Max Horkheimer.

Secondo il biografo, le idee di Bettelheim, del tutto personali, sono state camuffate come il risultato di ricerche scientifiche condotte sul campo, su 1.500 prigionieri in cinque differenti baracche.

Altri dubbi di Richard Pollack:

  • Se Bettelheim aveva vissuto solamente in due baracche e per un tempo limitato, come aveva potuto condurre tutte le interviste che sosteneva di aver fatto ai suoi compagni di prigionia?
  • Patsy, la prima moglie, che Bettelheim aveva definito “autistica”. In seguito la storia della prima moglie autistica fu abbellita, spiegando che Patsy era solo una dei tanti ragazzi autistici che B. curava a Vienna, al proprio domicilio. Non era vero nulla, confuta Pollack: come poté dunque lavorare, per tanti anni, presso l’Istituto Ortogenico?
  • Come fece a pubblicare ”The Uses of Enchantment‘ (in italiano “il mondo incantato”), visto che era un libro in gran parte ricopiato da un testo del 1963, dal titolo ”A Psychiatric Study of Fairy Tales: Their Origin, Meaning and Usefulness,” di Julius Heuscher?

La morte

Nella biografia ufficiale si evita di parlare della morte dello psicoanalista, che avvenne pochi mesi dopo la morte della moglie, il 12 marzo 1990. Bettelheim, già sofferente di diversi problemi di salute (aveva 86 anni), si ubriacò di whisky e assunse una grande quantità di psicofarmaci per trovare il coraggio di suicidarsi per asfissia, chiudendosi la testa in un sacchetto di plastica. Per i suoi detrattori, fra cui ovviamente Pollack, questo suicidio rimane la prova dell’esistenza di un secondo Dr. B., sconosciuto ai più.


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Conclusioni

Concludendo, il Dr. B. potrebbe essere stato un personaggio molto diverso da quello che viene descritto nelle biografie ufficiali e davvero pericoloso per le sue idee personali, con scarsi connotati scientifici.

Da quello che scrive Pollack non sembrerebbe essere stato neanche un esempio di saggezza e di onestà, ma del resto indagando nella vita di molte persone di successo potremmo trovare gli stessi scheletri nell’armadio, a partire dallo stesso Freud.

Dr. Giuliana Proietti

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2 commenti

  1. Per il mio esame di maturità, devo trattare il significato educativo delle fiabe secondo Bettelheim, quanto viene descritto nel mio libro di testo non riporta nulla, di questo profilo “oscuro” del Dr.B. Considerando queste nuove informazioni, devo forse rivalutare il valore pedagogico che descrive nelle fiabe?
    Grazie dell’attenzione.

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