La “psicoterapia della dignità” ai pazienti terminali
Dr. Giuliana Proietti
Psicologa Psicoterapeuta Sessuologa
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Una nuova ricerca ha scoperto che la psicoterapia sui pazienti terminali non ha certo l’effetto di diminuire il loro disagio, ma può almeno migliorare l’esperienza del fine-vita.
A40/A20
Quando ai pazienti è stato chiesto cosa ne pensassero di questa “terapia della dignità” (che è una psicoterapia breve individuale), essi hanno risposto che le sedute hanno migliorato la loro qualità della vita e accresciuto il loro senso di dignità, ha rivelato Harvey Max Chochinov, dell’Università di Manitoba a Winnipeg.
Tuttavia, la finalità primaria dello studio era quella di capire se la psicoterapia fosse in grado di ridurre lo stress del paziente: la risposta ottenuta è che la terapia della dignità non ottiene questo obiettivo, come scrivono i ricercatori su The Lancet Oncology.
I ricercatori hanno coinvolto 441 pazienti con un’aspettativa di vita di sei mesi (o meno) che ricevevano cure palliative in un ospedale, in una struttura hospice, o a casa loro. Essi sono stati poi divisi in tre gruppi. Oltre il 95% dei pazienti aveva il cancro.
Seppure, come si è detto, l’intervento non ha assolutamente influito sul livello di stress provato dai pazienti,uno studio successivo ha indicato che la terapia della dignità presenta comunque alcuni vantaggi rispetto al trattamento standard delle cure palliative o delle cure centrate sul cliente.
Rispetto agli altri due interventi infatti, i pazienti che hanno ricevuto la terapia della dignità lo hanno giudicato “utile”: per loro e per i loro familiari, sostenendo che esso ha migliorato la loro qualità della vita, ha aumentato il loro senso di dignità, e cambiato il modo in cui i familiari si rapportano al parente malato (p ≤ 0,002 per tutti).
La terapia della dignità è stata significativamente migliore rispetto alla terapia centrata sul cliente per migliorare il benessere spirituale ed è stata significativamente migliore rispetto alle cure palliative standard, per alleviare il senso di tristezza o depressione (p ≤ 0,009 per entrambi).
Rispetto alle cure palliative, una maggiore proporzione di pazienti che si è sottoposta alla terapia della dignità ha riferito che il gruppo di studio era stato soddisfacente.
“Ulteriori ricerche dovranno essere fatte per esplorare gli effetti benefici della terapia della dignità”, hanno concluso i ricercatori “per svelare la complessità psicologica, spirituale ed esistenziale che riguarda un individuo di fronte alla morte, e capire quale è il miglior modo per sostenere i pazienti con una malattia avanzata o terminale, così come le loro famiglie”.
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In questa terapia, il terapeuta segue un protocollo di domande ed impegna il paziente terminale in una conversazione sugli aspetti importanti della sua vita e su ciò che vorrebbe fosse ricordato di sé dopo la sua morte. La seduta viene registrata e trascritta. La trascrizione viene quindi data al paziente, che deciderà se dovrà essere condivisa con amici e familiari.
Resta ora da capire l’effetto che queste trascrizioni possono avere sui familiari, in particolare quelli con cui il paziente aveva perso i contatti o sui bambini che perdono un genitore. “Dobbiamo trovare il modo di misurare questi aspetti altrettanto importanti, per dimostrare che stiamo facendo la differenza”, ha detto uno dei ricercatori.
Lo studio è stato finanziato con una sovvenzione del National Cancer Institute.
Dr. Giuliana Proietti
Fonte:
Talk Therapy May Help Dying Patients, MedPage Today
Immagine:
Waldemart Flaig, Wikimedia
Conferenza, Domenica 24 Maggio 2020 alle ore 18.30
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Ho vissuto per circa un mese un’esperienza da “terminale” (poi il tumore si è rivelato benigno!). Passati due o tre giorni, l’idea della morte in sé viene accettata; non c’è paura, ma addirittura una strana e breve sensazione di eccitamento (incredibile). Quello che è insopportabile è l’atteggiamento delle persone attorno: vieni trattato da appestato. E’ quello che deprime maggiormente: non vedi un sorriso, ma solo facce lugubri. Per fortuna che è durata solo un mese. Comunque da mandare in terapia sono i sani non i malati.
Davide