Psicologi: salvatori o impostori?

Un articolo con l’omonimo titolo del nostro post, apparso su L’Express a firma di Rick Wicking, non poteva non attrarre la nostra attenzione e siamo dunque qui a darvene conto, con un’ampia sintesi del pezzo. Eccolo:

Un francese su dieci ha seguito una psicoterapia, spesso sul divano. Ma ci sono tante altre tecniche: comportamentali, umanistiche, sedute di gruppo o virtuali… La gamma continua a crescere: questo mondo, un tempo riservato ai “nevrotici” e agli intellettuali, ora è aperto a tutti, per qualsiasi tipo di sofferenza: dal disagio relazionale ai problemi di cuore.

Più di 5 milioni di francesi sono già entrati nello studio di un terapeuta, per curiosità o per necessità, su consiglio di un medico o di un amico. Oggi, ognuno cerca il suo strizzacervelli, il quale si trova senza difficoltà, in quanto l’offerta è cresciuta, con professionisti che sfruttano le nuove tecnologie e cercano di adattare meglio la loro offerta ai pazienti.

Ma chi sono quei francesi – il 9,5% della popolazione, secondo un sondaggio dell’Istituto Nazionale per l’Educazione la Prevenzione e la Salute (INPES) – che “hanno già seguito una psicoterapia”? Nel libro Psychothérapie et société (Armand Colin), due ricercatori, Xavier Briffault e Beatrice Lamboy, cercano di tracciare il profilo di una donna, fra i 35 e i 44 anni, che vive nella zona di Parigi. Ma ci sono anche persone con più di 65 anni. Le ragioni per iniziare una terapia ruotano attorno a quattro temi principali, che determineranno, in parte, il metodo di trattamento: depressione, “eventi della vita” (morte, fallimento, difficoltà …), disagio in campo professionale e, infine, il desiderio di conoscersi meglio.

Le sedute si svolgono una volta alla settimana e terminano prima di un anno (60% dei casi), anche se nel 15% dei casi, si estendono oltre i tre anni. Infine, il 58% degli intervistati dall’ INPES, dichiara che i suoi problemi sono “diminuiti”, dopo la terapia. Altri affermano anche che sono “scomparsi” (26% dei casi). Un dato abbastanza positivo dunque.

Il tipo di sostegno è molto vario: psicoterapia psicoanalitica per il maggior numero dei casi (30%), seguita da terapie umanistiche, terapia cognitivo comportamentale (CBT) o le terapie interpersonali (15%). Per non parlare delle consultazioni via Internet, autorizzate in Francia dal mese di ottobre 2010 e le terapie virtuali, con video o visualizzazioni 3D. A questi dati occorre aggiungere il 20% di “non so” e il 30% di chi ha frequentato approcci diversi.

“La psicoanalisi si basa ancora sulle stesse premesse di un secolo fa”, riconosce Jean Cottraux, psichiatra e fervente difensore della terapia cognitivo comportamentale ed autore di Choisir une psychothérapie efficace (Odile Jacob). Il professor Jean Cottraux aggiunge che Freud avrebbe “inventato” i suoi casi di isteria. In altre parole, si potrebbe parlare, come dice spiritosamente, di “Sigmund Frode”. Risposta di Jacques André, uno degli eredi del pensiero di Freud: “La lotta contro la psicoanalisi era presente già all’inizio del movimento psicoanalitico e, 120 anni dopo, la sua durata nel tempo parla da sola, lontano dall’imperialismo della Terapia Cognitivo Comportamentale e dalla natura rilassante delle teorie dello sviluppo personale “.

In realtà dunque, la psicoanalisi potrebbe anche non essere più la terapia di elezione, ma essa continua a cristallizzare tutte le fantasie. Nella mente del pubblico, la pratica del divano è davvero misteriosa, spesso incomprensibile, sempre interminabile. Una seduta psicoanalitica consiste nella rievocazione di ciò che si è vissuto durante l’infanzia. La richiesta deve venire dal paziente e non essere il risultato di una pressione familiare. Impegnarsi a riflettere su aspetti pcoo conosciuti del proprio sé è un’avventura personale che richiede tempo, molto tempo, afferma Jacques André, il quale ricorda che la psicoanalisi si oppone a quello che lui definisce il “presentismo della nostra epoca”.

In alternativa alla psicoanalisi vi è la breve e pragmatica terapia cognitivo comportamentale, nata negli anni Cinquanta negli Stati Uniti per gli aspetti “comportamentali”, cui si sono aggiunti, negli anni Settanta, gli approcci “cognitivi”. L’approccio è focalizzato sul sintomo: soffri di agorafobia, attacchi di panico, bulimia? Bene, di questo, e di solo questo, parleremo… Non c’è bisogno di raccontare tutta la tua vita!

Nel 2004, un rapporto Inserm concluse che la Terapia Cognitivo Comportamentale raggiunge risultati più sicuri, nei confronti del trattamento psicoanalitico. Freud nel mondo scientifico è del resto da tempo sotto attacco: basti pensare al libro di Michel Onfray Le Crépuscule d’une idole (Grasset). Ma in realtà, la guerra non si svolge più solo in questi due campi. Il campo di battaglia è stato ampliato e ci si destreggia tra sviluppo personale, lavoro di gruppo, psicologia positiva, MBCT (o terapia della piena coscienza, basata sulla meditazione, il lavoro sulla respirazione e le emozioni corporali).

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Come dice Yasmine Lienard, autrice di Pour une sagesse moderne (Ed. Odile Jacob) : “Con le terapie cognitivo-comportamentali, abbiamo dapprima cercato di correggere il comportamento dei pazienti, e poi in un secondo tempo, di modificare il contenuto dei loro pensieri. Ora si tratta di aiutarli ad accettarsi, con le loro paure e le loro ansie. L’idea, rivoluzionaria nella nostra società, è che tutti devono confrontarsi con la loro umana fragilità”.

E qui sta la novità: sempre più professionisti evitano di fare riferimento a una determinata scuola: a questo approccio dogmatico preferiscono tecniche di sincretismo, utilizzando vari strumenti terapeutici.

Il primo di questi strumenti è naturalmente il divano, ma questo è usato solo dagli psicoanalisti. Quanto al costo, il paziente paga in contanti o con un assegno, per ogni seduta o mensilmente. Tra un terapeuta e l’altro possono variare il tipo di sala d’attesa, i quadri sui muri, i libri, la durata degli appuntamenti, la distanza fisica tra terapeuta e paziente, il darsi o meno la mano.

Quindi, tutto si gioca nel “saper fare”, nell’incontro tra due persone, nel rapporto speciale che esse stabiliscono, per il tempo della seduta. E’ inoltre fondamentale il “contratto terapeutico” stabilito durante il contatto iniziale: esso va rispettato scrupolosamente, tanto dal paziente, quanto dallo psicologo.

Ciò che fa un buon terapeuta è l’attenzione verso il paziente, l’empatia, la cura, l’ascolto. Si potrebbe aggiungere a questo la capacità di scegliere il “momento giusto” in cui il paziente è disponibile, pronto ad ascoltare. Comprese le cose spiacevoli, tra cui la parola “fine”.

Per il paziente, il “momento giusto” è infatti essenziale, non solo per iniziare la terapia, ma anche per terminarla. E’ altresì necessario sapere ciò che si desidera: modificare o accettare sé stessi; capire o sentire; migliorarsi o essere migliori. In psicoterapia, il lavoro spesso inizia prima della prima seduta. E continua dopo l’ultima.

Dr. Giuliana Proietti, psicoterapeuta, Ancona

Fonte:

Psys: sauveurs ou imposteurs? L’Express

Immagine:

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