L’uso del placebo in medicina generale

Un nuovo studio ha dimostrato che i pazienti possono essere condizionati a rispondere ad un placebo, assunto al posto di un vero farmaco, allo scopo di ridurre il consumo del farmaco stesso. Con questa ricerca gli studiosi non si proponevano di sostituire tout court il placebo al farmaco, ma di associarlo ad esso, in modo di ridurre gradualmente l’utilizzo di sostanze attive. Gli studi pilota indicano che il paziente avrebbe ancora tutto il beneficio terapeutico, ma con dosi inferiori di farmaco e dunque con meno effetti collaterali.

Sappiamo che la nostra fiducia nella efficacia di un trattamento, già di per sé, può indurre cambiamenti fisiologici reali e misurabili. Studi sugli antidolorifici hanno mostrato che i pazienti sottoposti ad una terapia a base di placebo mostrano un aumento dei livelli di β-endorfina, un antidolorifico naturale, nel liquido cerebrospinale. I trattamenti con placebo si sono mostrati utili anche per stimolare il rilascio di dopamina nel cervello dei pazienti affetti da Parkinson. E’ stato inoltre dimostrato che le stesse regioni del cervello si attivano sia durante l’effetto del Prozac quanto del trattamento con un placebo.

Nel numero di questo mese di Trends in Pharmacological Sciences, Bettina Doering e Winifred Rief propongono l’uso del placebo in medicina generale, allo scopo di ridurre i dosaggi e gli effetti collaterali dei trattamenti di lungo periodo.

Il PCDR (questo nuovo trattamento con utilizzo del placebo) sfrutta un curioso fenomeno descritto da Martina Amanzio e Fabrizio Benedetti nel 1999. Questi ricercatori dimostrarono l’esistenza di due tipi diversi di risposta al placebo:  nel primo tipo di risposta  – definita “non-farmacologica” – la persona si sente meglio perché semplicemente  si aspetta un miglioramento dopo l’assunzione del farmaco. Questa risposta, di “fiduciosa aspettativa”, permette il rilascio di sostanze oppiacee da parte del corpo stesso, che sono degli antidolorifici naturali .

Non è questo tipo di risposta ad essere utilizzato nel trattamento con il placebo, ma piuttosto il condizionamento di secondo tipo, denominato  “condizionamento farmacologico”, un fenomeno più complesso che si ritiene possa  operare a livello inconscio. Si tratta infatti di una forma di condizionamento classico, un po ‘ come il famoso esperimento di Pavlov, in cui i cani cominciano a salivare al suono di una campanella che annuncia il cibo.

Il PCDR utilizza la stessa tecnica: associare due stimoli per indurre una risposta fisiologica.

Durante il procedimento PCDR avremo dunque, inizialmente,una somministrazione di dosi standard di un farmaco attivo il quale, naturalmente, induce un cambiamento biochimico nel corpo. La forma fisica del farmaco – pastiglia o iniezione,  gusto particolare, ecc. – non è  importante, ma è importante che il corpo impari, nel corso del tempo, ad associare questa forma fisica con la biochimica indotta dal farmaco stesso.

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In questo modo la forma fisica del farmaco diventa l’equivalente della campanella di Pavlov: anche quando il farmaco attivo viene diminuito nelle dosi dalla pastiglia, o dall’iniezione, la risposta fisiologica rimane inalterata.

A differenza del condizionamento non-farmacologico, che stimola il rilascio dei oppiacei naturali, le reazioni biochimiche farmacologicamente condizionate sono molto specifiche, perché i biochimici attivati ​​sono identici a quelle indotti dal farmaco attivo. Quindi, in teoria, una vasta gamma di malattie potrebbe rispondere a questi trattamenti PCDR.

Unico problema, che riguarda l’etica: se poi il paziente sta male, o muore, prendendo il placebo anziché il farmaco, di chi è la responsabilità? 🙄

Dr. Giuliana Proietti

Fonte:

Pavlov and placebos could reduce the side-effects of drug treatments, The Guardian

Immagine:

Shapiro, Wikimedia
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