Freud a lezione da Signorelli per studiare la memoria
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Nel 1897, ad Orvieto, piccola cittadina umbra, Sigmund Freud ebbe una rivelazione. Nella cattedrale della città, davanti alla rappresentazione del giudizio universale del pittore rinascimentale Luca Signorelli, lo psicoanalista, che aveva allora 41 anni, sentiva di aver trovato “la più grande” rappresentazione del tema che avesse mai visto, fino ad allora. L’affresco, intenso e violento, portava con sé una strana energia sessuale, e per questo restò scolpito nella sua mente. Tuttavia, alla sua partenza, con sua immensa frustrazione, Freud non riuscì a ricordare il nome dell’artista.
Di questo viaggio di Freud a Orvieto ne parla Nicholas Fox Weber, uno scrittore americano, nel suo nuovo libro, Freud’s Trip to Orvieto), Bellevue Literary Press.
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In 48 brevi capitoli, Weber ripercorre l’esperienza di Freud nel dimenticare il nome del’artista. Con sua grande meraviglia infatti, Freud poteva ricordare benissimo alcuni dettagli dell’affresco, perfettamente scolpiti nella sua mente, ma non l’autore del dipinto. Il padre della psicoanalisi non poteva spiegarsi la ragione di questa memoria selettiva e su di essa fece molte riflessioni.
In un primo momento pensò che l’opera fosse di Sandro Botticelli o di Giovanni Antonio Boltraffio, ma poi capì che stava semplicemente confondendo i cognomi. L’episodio divenne un momento chiave nella sua carriera, tanto che ne parlò nel suo “Meccanismo psichico della dimenticanza” (1898), a proposito dei nomina propria. Lo psicologo viennese attraverso questo esempio spiegava i meccanismi attraverso i quali la mente, pur ricordando perfettamente immagini e sensazioni di opere d’arte, può dimenticare i nomi propri degli artisti che le hanno prodotte.
Al posto del Signorelli si presentarono infatti alla mente di Freud delle formazioni sostitutive e cioè quelle dei pittori Botticelli e Boltraffio, che rappresentano uno spostamento dal termine rimosso. Quando il nome mancante ‘Signorelli’ gli venne comunicato da altri, Freud lo riconobbe e poté così ricostruire, a posteriori, gli spostamenti che avevano portato sino al nome di Boltraffio. In questo processo i nomi sono trattati in modo analogo alle lettere di una frase trasformata in rebus: non solo le parole che si associano fra loro, ma pezzi, frammenti di parola, che rimandano dall’una all’altra lungo un reticolo nelle cui intersezioni trapela il contenuto rimosso, strettamente connesso a vissuti fondamentali come la sessualità e la morte.
L’interesse iniziale di Weber non era quello di scrivere un saggio su Freud. Al contrario, voleva parlare di sé stesso e delle sue esperienze personali. ,”A 16 anni ero molto attratto da una amica di mia madre molto giovane e seducente”, racconta Weber per spiegare la genesi del libro. “Lei riusciva a farmi sentire consapevole di ciò che significava essere un uomo quando ero ancora nella pubertà”. In un cocktail party organizzato dai suoi genitori nel 1964, l’autore ricorda di aver osservato questa donna avviarsi verso i Karpes – degli amici di famiglia psicoanalisti, che sembravano molto diversi da tutti gli altri, e iniziare una conversazione con loro. Questo per raccontare a che cosa associa la psicoanalisi nelle sue memorie.
Il libro di Weber è dunque un’occasione per disegnare una galleria di ritratti eleganti, che combina liberamente la storia dell’arte con i ricordi personali e la psicoanalisi. Weber sostiene nel libro che Freud era così colpito dal lavoro di Signorelli in quanto sentiva che, come ebreo, “apparteneva ai dannati”, coloro cioè che, come nella rappresentazione del Signorelli del Giudizio Universale, dopo morti sarebbero stati gettati all’inferno.
Il libro non è stato pubblicato in italiano, ma è reperibile in inglese.
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Fonte:
The Art Newspaper
Immagine:
Giudizio Universale del Signorelli, Wikipedia


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