Il problema dell’infertilità è in costante crescita anche se, nello stesso tempo, la medicina mette a punto ogni anno dei nuovi metodi e nuove cure. Dalla prima bambina nata con fecondazione artificiale in Gran Bretagna, nel 1978 ai sofisticati trattamenti moderni come la FIVET, gli embrioni crio-conservati, l’ICSI, la possibilità della donazione di ovoviti, ecc. la medicina ha indubbiamente fatto moltissimi progressi in questo campo.
Ciò nonostante, in molte coppie infertili questi trattamenti non hanno successo. Uno studio svedese si è chiesto cosa succede alla coppia che, dopo essersi sottoposta a diversi trattamenti di fecondazione assistita, si rende conto di non avere più speranza. Dopo anni e anni di attesa, speranze, disperazione, le persone riescono davvero a rassegnarsi?
Uno studio svedese, seppure non nuovissimo (2006) si rivela particolarmente interessante, perché i suoi risultati non sono quantitativi, ma qualitativi. In altre parole, i ricercatori non hanno voluto scoprire le statistiche rispetto ad una o più variabili, ma hanno cercato di comprendere i vissuti di un gruppo di donne sterili, che si erano sottoposte venti anni prima ad interventi per favorire la fertilità.
Sono state dunque ricontattate delle donne che 20 anni prima avevano cercato un aiuto per problemi di infertilità. Il campione originale consisteva in un gruppo di 151 donne che avevano subito la chirurgia tubarica in un ospedale svedese nel periodo 1980-1984. Delle 151 donne che si è cercato di ricontattare, hanno risposto solo 39 e queste sono state tutte intervistate. Delle 39 donne, 14 non avevano avuto figli e non ne avevano adottati: lo studio si è concentrato prevalentemente su queste donne.
L’approccio metodologico è stato qualitativo: si è cercato cioè di comprendere l’esperienza vissuta piuttosto che cercare di ottenere dati quantitativi, data anche l’esiguità del campione. Il mezzo per la raccolta di informazioni è stata l’intervista semi-strutturata in profondità.
L’intervistatore ha scritto le risposte fornite ad ogni domanda, che sono state poi ripetute all’intervistata per ottenere un feedback riguardo ad una comprensione almeno accettabile di quello che il soggetto aveva tentato di raccontare. Il passo successivo è stato quello di raccogliere queste storie e cercare di trarne delle conclusioni
Al momento dell’intervista, l’età media delle 14 donne era di 52 anni (range 48-60 anni). Metà di loro erano ancora sposate o conviventi con lo stesso uomo che aveva partecipato ai trattamenti contro l’infertilità, venti anni prima. L’altra metà erano divorziate o separate, e due di loro si erano risposate. Sei delle sette donne divorziate imputavano le ragioni del divorzio all’ infertilità; in ogni caso il dato è che queste donne sono state tutte lasciate dal loro compagno o marito. Tutte le donne lavoravano a tempo pieno o part-time, con l’eccezione di due donne che non lavoravano a causa di motivi di salute.
Nel guardare indietro al tempo delle indagini e delle cure mediche, la maggior parte di queste donne ha mostrato di avere ricordi molto dettagliati riguardo ai diversi interventi medici e alle discussioni avute con i loro ginecologi. Questi sono stati i temi prevalenti emersi dalle interviste:
Adozione: non è stata considerata una valida alternativa per varie ragioni, come la paura del razzismo, il coniuge contrario, i costi finanziari e le indagini psico-sociali preliminari.
Autostima: Quasi tutte le donne hanno riferito di essersi sentite inferiori alle altre donne, di aver perso la stima di sé.
Isolamento sociale: tutte affermano di aver sperimentato un isolamento sociale molto forte durante gli anni della ricerca attiva del concepimento. Questa esperienza di solitudine è persistita negli anni per la metà delle donne del campione e stava in qualche modo rivitalizzandosi ora, poiché i loro coetanei stavano diventando nonni. Improvvisamente, quel poco di vita sociale che si erano ricostruite si organizzava nuovamente intorno ai bambini, con gli amici che dovevano provvedere alla custodia dei nipotini e con l’organizzazione di eventi incentrati sulle esigenze di questi bambini.
Senso di perdita: Il loro personale senso di perdita è diventato quello della loro intera famiglia, di potenziali nonni che non erano diventati tali e che di questo si erano dispiaciuti.
Questioni di interesse: Altri problemi familiati hanno riguardato questioni di interesse: non avendo eredi diretti, molti parenti mostravano interesse sulla gestione dei soldi e l’eredità.
Sessualità: come ben documentato anche in altri studi (Diamond et al., 1999; Möller, 2001), tutte le donne del campione hanno affermato che la loro vita sessuale e il loro desiderio sessuale erano stati molto influenzati, in senso negativo, dalla loro infertilità. Nove donne su quattordici hanno rivelato che, con la notizia della sterilità incurabile il loro desiderio sessuale era immediatamente scomparso. Per alcune, questa è stata una fonte di preoccupazione, ma altre hanno accettato la cosa senza problemi. Due di loro hanno poi ritrovato il desiderio sessuale: una con un nuovo compagno, un’altra con il proprio marito.
Il ricordo dei trattamenti contro l’infertilità: Per tutte, la mancanza di figli è diventato il tema centrale della storia della loro vita. Queste donne hanno trascorso una media di 8 anni (range 4-12 anni) della loro vita attivamente coinvolte nelle indagini mediche e nel trattamento dell’infertilità. Alcune ricordano di aver avuto la notizia della sterilità incurabile dal proprio ginecologo, in modo ‘brutale’ . Questo ha provocato sulle prime un sentimento di ‘odio’ nei confronti del medico, ma a posteriori questo sentimento si è trasformato addirittura in gratitudine, in quanto ricevere una notizia in modo così diretto le aveva aiutate ad andare avanti con la loro vita e in qualche modo ad accettare meglio la loro condizione di coppia sterile.
Interesse verso gli altri: Tutte hanno riferito che la mancanza di figli le aveva spinte a prendersi cura di qualcuno, più spesso un bambino di altre persone. Durante le fasi attive del trattamento dell’infertilità non vi era invece alcun interesse per i bambini degli altri, che anzi venivano allontanati.
Animali: Cani e gatti sono stati i sostituti dei figli non avuti. Molte hanno parlato dei loro cani come dei loro ‘bambini’. Sentono che la cura prestata all’animale le ha aiutate a superare l’egocentrismo e l’eccessiva cura di sé stesse.
Nuovi obiettivi di vita: Gli obiettivi si sono spostati sul viaggiare (molte hanno fatto dei viaggi avventurosi in tutto il mondo) e sulle attività legate al lavoro (corsi di formazione, lavoro straordinario, ecc.).Tutte, tranne tre, avevano trovato stili di vita di cui erano piuttosto soddisfatte mentre in tre casi su quattordici la loro storia di vita si focalizzava ancora sulla dolorosa identità di donna sterile e dunque di persona fallita.
Giuliana Proietti
Fonte: Wirtberg, A. Möller, L. Hogström, S-E. Tronstad, A. Lalos, Life 20 years after unsuccessful infertility treatment, Oxford Journals
Psicolinea.it © 2010
Mix
Psicolinea ti consiglia anche...
Una ricerca pubblicata on line sul Journal of Prot...
Il marito chiacchierato - Consulenza online son...
Perché gli uccelli divorziano? La cinciallegra ...
Gent.le Dott.ssa, il mio matrimonio è finito. Mio ...
Amnesia Globale Transitoria Più di 50 anni dopo...
Da domani, sabato 3 marzo, in molte città italiane...
A lei piacerebbe anche altro... Consulenza online ...
C'è una cosa di mio marito che mi preoccupa molto ...

Dr. Giuliana Proietti
Psicoterapeuta Sessuologa
TERAPIE INDIVIDUALI E DI COPPIA
ONLINE
Per appuntamenti:
347 0375949 (anche whatsapp)
mail: g.proietti@psicolinea.it
Visita anche:
www.giulianaproietti.it