Abebe Bikila, il più grande maratoneta di tutti i tempi

Abebe Bikila, il più grande maratoneta di tutti i tempi


Abebe Bikila può essere considerato come il più grande maratoneta di tutti i tempi e forse fra i più grandi atleti che la storia ricordi. Dopo quasi quattro decenni il suo mito rimane integro e lo si può prendere come esempio dello sport pulito, lontano dal business odierno che spesso relega i personaggi sportivi a puri fantocci nelle mani di multinazionali e tende a bruciarli già in tenera età.

Abebe Bikila nacque nel 1932 in una cittadina chiamata Jato, a circa 130 Km da Addis Abeba. Secondo la tradizione del suo popolo, il ragazzo passò la gioventù a fare il pastore e lo studente. A dodici anni terminò la scuola, la cosiddetta “Qes”ed ebbe già modo di distinguersi nelle attività sportive che vi si svolgevano.

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Poi, nel 1952, il giovane fu reclutato nel corpo della guardia imperiale e nel 1954 si sposò con Yewibar Giorghis con la quale ebbe quattro figli. Trascorse diversi anni nella guardia imperiale prima di potersi distinguere come valente atleta; il suo momento arrivò mentre stava a guardare una parata di atleti etiopici che partecipavano alle Olimpiadi di Melbourne: guardando gli atleti che stavano indossando una uniforme con i nomi scritti sul dorso, chiese chi fossero, e quando gli fu detto che si trattava degli atleti che rappresentavano l’Etiopia alle Olimpiadi, si convinse di volerne fare parte anche lui in futuro.

Nel 1956, all’età di 24 anni, partecipò ai campionati militari nazionali. L’eroe del tempo era certo Wami Biratu, recordman nei 5000 e nei 10.000 metri. Durante la maratona, la folla allo stadio stava aspettando di veder entrare il campione che era partito bene conducendo la corsa, ma, dopo qualche chilometro, il commentatore radiofonico spiegò che era passato a condurre la testa della corsa un giovane atleta ancora sconosciuto di nome Abebe Bikila: questi arrivò distanziando ulteriormente il rivale. Era nata una stella, che in breve polverizzò i records dei 5000 e dei 10.000 metri.

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Con questi risultati impressionanti egli si qualificò per le Olimpiadi di Roma: finalmente Bikila riusciva a coronare il suo sogno di indossare la divisa con il nome a rappresentare il suo Paese.

Tra i favoriti dell’edizione romana dei Giochi c’erano il sovietico Sergej Popov, detentore del record con il tempo di 2h 15’17” e il marocchino Abdesalem Rhadi. Il nostro atleta, sconosciuto fuori dai confini nazionali, fu iscritto alla gara con il nome di Bikila Abebe, scambiando cioè il nome con il cognome. Era una calda giornata romana e la gara si tenne la sera allo scopo di scongiurare la soffocante afa estiva in una disciplina già di per sé massacrante.

Alla partenza Bikila, che prima di quella gara aveva corso solo altre due volte la distanza della maratona, si fece notare perché non calzava scarpe: era a piedi nudi, e rimase indietro insieme al gruppo, poi cominciò a risalire per assestarsi, verso il decimo chilometro, alle spalle del britannico Arthur Keily e del favorito Abdesalem Rhadi.

Al ventesimo chilometro aveva già raggiunto il marocchino e macinava metri su metri apparentemente senza sforzo; al trentesimo chilometro si produsse in un forcing a cui Rhadi non poté resistere: è una scena davvero toccante e suggestiva quella a cui assiste la gente da casa e sul posto, lungo la Via Appia antica, illuminata a giorno dai militari che se ne stanno con le fiaccole ad indicare la strada: l’ossuto atleta di colore sembra volare leggero sul percorso sconnesso e va a vincere a braccia alzate sotto l’arco di Costantino, distanziando il marocchino di 30 secondi con il tempo di 2h 15’ 16”, nuovo record del mondo.

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Quando gli fu chiesto come mai avesse corso senza scarpe, Bikila rispose: “Ho voluto che il mondo sapesse che il mio Paese, l’Etiopia, ha sempre vinto con determinazione ed eroismo.” La stampa che già vedeva la possibilità di strumentalizzare l’avvenimento inventò la storia che la federazione etiope era troppo povera per fornire scarpe ai suoi campioni, ma la verità era che l’atleta aveva ricevuto le scarpette solamente il giorno prima, e poiché le trovava scomode, aveva deciso di correre scalzo, come faceva di solito in allenamento.

L’atleta etiope divenne in breve una leggenda, la sua fama raggiunse ogni angolo del mondo; molte persone lo consideravano come una rivalsa, seppur minima, di certo mondo povero contro quello ricco che già poteva disporre di sponsor di un certo spessore.

Quattro anni dopo, nel 1964, le Olimpiadi si svolgevano a Tokio e Abebe Bikila non si presentò al meglio della forma in quanto sei settimane prima era stato operato di appendicite ed era ancora convalescente. Ma gli bastò il calore del pubblico e della stampa e l’aiuto offertogli dai connazionali Mamo e Demssie Wolde per riprendere piano piano gli allenamenti e presentarsi carico per la gara. Stavolta aveva tutti gli occhi puntati su di lui e non deluse gli ammiratori; lo smilzo atleta di Addis Abeba non correva scalzo ma incantava lo stesso tutti rifilando oltre quattro minuti di distacco al secondo arrivato, l’inglese Basily Heatley e stabilendo il nuovo record mondiale di 2h 12’ 11” .

Le interviste

 

Nel 1968 le Olimpiadi si tennero a Città del Messico e benché si fosse allenato duramente, la fortuna sembrò abbandonare definitivamente Abebe Bikila: al 15° chilometro, a causa di un infortunio fu costretto a ritirarsi consentendo al connazionale Mamo Wolde di vincere la corsa.

Nello stesso anno rimase coinvolto gravemente in un incidente stradale vicino ad Addis Abeba; si salvò per miracolo ma rimase paralizzato proprio a quelle gambe che tante soddisfazioni gli avevano dato e vane furono poi le cure dei migliori medici del mondo nei nove mesi successivi.

L’uomo non si diede per vinto e animato da un incommensurabile spirito competitivo partecipò perfino alle Olimpiadi per paraplegici tenutesi a Londra, vincendo numerose gare. Nel 1970 partecipò in Norvegia ad una gara su un percorso di 25 km trasportato da una slitta e vinse la medaglia d’oro. Poi nel 1973, all’età di 41 anni, Abebe Bikila morì per un’emorragia cerebrale.

Una folla enorme e commossa partecipò al suo funerale e a rendergli omaggio c’era anche l’imperatore Atse Haile Selassie. La sua vita era terminata, ma i ricordi rimanevano e rimangono tuttora nella mente di tutti gli sportivi del mondo che rivedono quel piccolo uomo attraversare le strade di Roma a piedi nudi…

Lanfranco Bruzzesi

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