Freud e la Grande Guerra

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Nel Luglio 1914 Sigmund Freud pensava più alle dimissioni di Carl Gustav Jung che all’imminente conflitto mondiale (“Finalmente ci siamo sbarazzati di Jung, quel pazzo irragionevole e i suoi accoliti” scrisse a Karl Abraham il giorno 26 del mese).

Poi, il precipitare degli eventi: l’Austria, a seguito dell’assassinio dell’Arciduca Francesco Ferdinando, avvenuto il 28 Giugno, dichiarò guerra alla Serbia. Le potenze occidentali (Francia ed Inghilterra per prime) si opposero a questa sorta di punizione esemplare che l’impero austro-ungarico voleva infliggere alla Serbia.

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Freud era al tempo un conservatore: ebbe modo di affermare più volte il suo sentirsi veramente e profondamente “austriaco”, ben lontano dunque dalle posizioni pacifiste.

L’unico rammarico che aveva era che l’amatissima Inghilterra (della quale ammirava la cultura e la scienza), avesse scelto di stare dalla parte “sbagliata” del conflitto internazionale. (Ciò nonostante, quell’anno mandò sua figlia Anna in Inghilterra, senza mostrarsi particolarmente preoccupato)

In una lettera a Ferenczi del 9 Novembre 1914 (Freud Collection), lo psicoanalista scrisse: “La voce della psicoanalisi nel mondo viene coperta dal tuono dei cannoni”.

Le cose infatti volgevano sempre più al peggio: molti psicoanalisti lasciavano il loro lavoro e si arruolavano nell’esercito, altri semplicemente lasciavano le città di residenza, così come buona parte dei pazienti dello studio Freud.

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Freud era troppo anziano per andare in guerra, ma non i suoi figli maschi (Oliver, Ernst e MartiFreud e figlin), che vennero infatti tutti chiamati alle armi. I primi due combatterono sin dall’inizio e per tutta la durata della guerra, mentre Martin fu richiamato in un secondo momento (poi fu dato per disperso, mentre era prigioniero in Italia; in seguito fu liberato, nell’Ottobre 1919).

Ciò che avvenne durante la guerra non mancò di provocare in Freud riflessioni profonde. In un saggio, scritto fra Marzo ed Aprile del 1915, Considerazioni attuali sulla guerra e la morte, Freud paragona il comportamento della società del tempo al comportamento tipico delle società primitive: l’azione vietata ai singoli diventa lecita quando si fa collettiva.

Si tratta cioè di una vera e propria deroga al divieto di uccidere. Nell’inconscio permane infatti, nonostante ogni impostazione etica, un’aggressività mortale, in quanto l’essere umano non elabora sufficientemente i vissuti di morte: si limita a rimuoverli o a negarli, ma essi riappaiono dall’esterno sotto forma di minaccia.

Ciò che sembrava turbare Freud più di ogni altra cosa tuttavia era che la scienza, nel conflitto, sembrava aver perduto la sua imparzialità.

Gli umanisti, gli storici, gli antropologi e gli intellettuali in genere si erano infatti messi al servizio dei loro Paesi e usavano la loro scienza come arma di lotta contro il nemico.

Gli antropologi dicevano ad esempio che il nemico era inferiore e degenerato, gli psichiatri diagnosticavano malattie mentali ai capi degli Stati nemici.

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In una lettera ad Abraham del 15 maggio 1915, Freud scrisse che il suo lavoro stava “prendendo forma”. La forzata inattività lo aveva infatti spinto a scrivere molti saggi, fra cui Le Pulsioni e loro destini, Repressione, Inconscio, un supplemento metapsicologico alla teoria dei sogni, Lutto e Melanconia.

“I primi quattro saranno pubblicati nella serie Zeitschrift attualmente in corso; terrò il resto per me. Se la guerra durerà abbastanza a lungo, spero di essere in grado di mettere insieme una dozzina di saggi simili e di pubblicarli in tempi più tranquilli” scrisse Freud.

Ciò che andava elaborando era la metapsicologia, un compendio di tutto il pensiero freudiano, che lo psicoanalista vedeva come una sorta di testamento.

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Freud pubblicò anche “Pensieri per il « Times » sulla guerra e la morte” (1915): un saggio approfondito sulla violenza, l’odio, e l’illusione della bontà originaria, che fornì poi una prospettiva per la futura concettualizzazione della pulsione di morte. Oltre che nello scrivere, Freud si tenne impegnato con delle conferenze, tenute all’Università di Vienna, che costituirono la base per la futura Introduzione alla psicoanalisi (1916-1917).

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Alla fine della guerra, Freud era divenuto un pacifista: un percorso intellettuale non indifferente. Secondo lui la guerra non aveva fatto che mettere in evidenza quello che gli psicoanalisti sapevano già sull’aggressività umana.

La guerra era durata quattro anni ed aveva causato circa 10 milioni di vittime, anche per l’uso di nuove tecnologie, come le automobili e i gas tossici, lanciafiamme, guerra sottomarina, bombardamenti sui civili.

L’armistizio dell’11 novembre 1918 portò a Freud (e sicuramente non solo a lui….) un notevole sollievo: tutto poteva ricominciare.

Dr. Giuliana Proietti

Fonti:Answer.com
Peter Gay Freud e la guerre
Donn, Freud e Jung, Leonardo
Silvia Vegetti Finzi, Storia della psicoanalisi, Mondadori

Nelle immagini: Freud con i figli Oliver ed Ernest



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