Tutto ciò che non interessava a Freud: la coscienza e l’ipercoscienza

Questo mese è uscito, in lingua francese, un nuovo libro che sembra davvero molto interessante e speriamo pertanto che venga pubblicato presto in italiano. Si chiama Tout ce qui n’interessait pas Freud : L’éveil à la conscience et à ses mystérieux pouvoirs  (Tutto ciò che non interessava Freud: il risveglio della coscienza e dei suoi misteriosi poteri).
Intanto ve ne diamo un’ampia anteprima.

Il saggio è un viaggio affascinante verso i confini della medicina, della psicologia e della spiritualità e contiene una prefazione dello psicologo David Servan-Schreiber.

Philip Presles, l’autore, è un medico francese che si definisce più interessato all’essere umano che alla malattia. Economista, studioso di etica, scrittore, umanista, Presles si è specializzato nel campo della prevenzione, dell’economia sanitaria, dell’etica della salute. Ha fondato e dirige il Moncey Institute e prepara ogni anno per Le Nouvel Observateur un supplemento per la classifica di ospedali e cliniche.

Il libro offre una riflessione guidata sui dati scientifici più recenti per chiarire uno dei più antichi misteri: cosa è la coscienza negli esseri umani? Per l’autore del libro si tratta di uno strumento di potere creativo quasi illimitato: la nostra arma principale per compiere integralmente il nostro destino. La coscienza è la capacità di essere consapevoli di noi stessi e di saperci proiettare altrove, nel tempo e nella fantasia: questa è la definizione più efficace che sente di darne Presles, dopo 20 anni di riflessioni, letture, studi, incontri.

Le persone consapevoli diventano in grado di avere una storia, di immaginare un destino, di proiettare sé stesse verso mete più o meno lontane, di mettersi in discussione, di prendere decisioni, dopo aver analizzato le diverse scelte possibili. Una persona consapevole è anche una persona che conosce i propri limiti, fino a saper ridere di sé stessa.

Prima di Freud, la “psiche” veniva identificata con la “coscienza”. Freud affermò invece che la maggior parte della vita mentale si svolgeva fuori della coscienza e che ciò che andava studiato e approfondito era piuttosto l’inconscio, di cui il conscio non era che la sua parziale, visibile, manifestazione.

Presles propone dunque una scelta chiara al lettore: qui non ci interessiamo di inconscio, ma di tutto quello che non interessava a Freud, cioè la coscienza.

La coscienza si forma con i nostri primi ricordi, ma anche grazie a momenti di vita intensi e profondi, come ad esempio quando si comprende di dover un giorno morire, intorno ai 5-6 anni. E’ come una nuova nascita. Ma ci sono anche altre esperienze significative, che possono far scoprire all’essere umano la propria coscienza. Preslan racconta nel libro di una sua esperienza personale molto difficile: quando la sua famiglia si trasferì in Senegal, lui aveva 10 anni. Fu deciso, dopo qualche tempo vissuto ai tropici, che Philippe dovesse tornare da solo in Francia, per continuare gli studi superiori nel collegio militare. Volando da Dakar a Parigi il bambino rifletteva sul fatto che per un intero anno sarebbe stato lontano dalla sua famiglia, dalla madre, dai fratelli, dal padre. Per la prima volta nella sua vita, Philippe si sentì realmente solo: fu esattamente in quel momento che si rese conto di avere una coscienza e che essa era l’essenza della sua vita.

Da adolescente, Presles si appassionò alle grandi questioni fondamentali per l’essere umano e decidese di voler fare il medico, per comprendere meglio il mistero della vita.

Durante il terzo anno di medicina, un altro intenso momento di consapevolezza, o di iper-consapevolezza, come poi la definì in seguito. Un giorno, mentre era completamente perso nei suoi pensieri e si stava dedicando maldestramente ad un lavoro fai-da-te, prese una fortissima scossa elettrica, che gli impediva di respirare o di gridare. Le sue braccia rimanevano incrociate contro il corpo e non riusciva a liberarsi dei fili elettrici che lo stavano uccidendo.

In quel momento Philippe sentì, nel silenzio, una voce che gli parlava con calma e gli diveca: “ti è impossibile staccarti dai fili: così morirai. Le tue gambe però funzionano ancora”. Facendo dunque un semplice passo in avanti, tanto da staccarsi dai fili elettrici, riuscì a salvarsi la vita.

“Se non fossi stato in grado di parlare con me stesso – ricorda oggi l’autore – se non fossi riuscito a capire la situazione e  a fare ciò che serviva per salvare la pelle …”

Dopo questo episodio Presles ha cominciato a studiare l’esperienza di situazioni estreme di coscienza, che non erano mai state oggetto di ricerca scientifica, ad eccezione di una: quella delle persone sopravvissute al coma. Oltre a questa però ci sono molte altre situazioni estreme. Per studiarle e comprenderle meglio, il medico francese ha condotto molte interviste a persone che avevano avuto incidenti d’auto, che avevano combattuto nella guerra del Vietnam, avevano subito un annegamento o una profonda depressione.

Presles ha intervistato inoltre molti campioni, per parlare dei momenti dei loro risultati sportivi ed anche molti artisti, per scoprire i segreti delle loro performances sul palco. Non sono stati trascurate neanche le esperienze dei grandi monaci e dei fedeli buddisti, sulla esperienza della preghiera e della meditazione. Presles definisce queste incredibili potenzialità della coscienza umana in situazioni estreme “ipercoscienza” (assolutamente nulla di soprannaturale, semplicemente un momento in cui tutto si svolge al rallentatore e, dal dialogo con la propria coscienza, si ricevono informazioni che possono aiutarci a salvare la nostra vita, come è capitato a lui).

Tornando al racconto autobiografico, lo shock sella scossa elettrica non fu senza conseguenze per il nostro autore. L’estate successiva iniziò a soffrire di attacchi di panico. Non poteva più, ad esempio,  volare senza sentirsi soffocare, senza sentire la sensazione di una possibile morte imminente. Dopo il primo attacco, un medico gli dette un farmaco, spiegandogli che non era nulla. Più tardi, altri medici gli prescrissero altri trattamenti, fra cui il magnesio, ma senza risultati. Philippe decise dunque di smettere con quelle inutili cure e di andare in Guyana a fare il tirocinio medico, sperando di ritrovare nell’aria dei tropici un po’ di serenità.

La pace non gli arrivò dai tropici, ma della foresta. A due giorni di viaggio da Cayenne, isolato nella fitta foresta pluviale, addormentato nella sua amaca, lontano da tutto, circondato dai suoni di rane, uccelli e insetti, l’autore si accorse che questa natura nella sua forma più pura era la sua migliore terapia.

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Tornato, non senza attacchi di panico durante il volo, in Francia, per 4 anni iniziò una terapia psicoanalitica. Questa gli servì moltissimo, ricorda ironicamente l’autore, per capire tutto sulle sue dinamiche interiori, sui concetti di rimozione, resistenza, transfert ecc.. Ma tutto continuava come prima. Decise così di rivolgersi alla psicoterapia cognitivo comportamentale che, come si sa, si concentra esclusivamente sui sintomi e su come gestirli attraverso il rilassamento. Guarì in poche sedute, riuscendo di nuovo a leggere e a dormire in aereo, come quando era più giovane. Tutto questo ha contribuito a risvegliare il suo interesse per la coscienza e da qui la lettura attenta e curiosa di articoli e libri, dalle neuroscienze alla psicologia.

La coscienza è un prodotto biologico, ricorda Presles, è il risultato della nostra attività cerebrale. Ciò non di meno, rimane una materia misteriosa e affascinante, esattamente come lo era per Pascal, quando scriveva: “Quale chimera è dunque l’uomo? Quale novità, quale mostro, quale caos, quale contraddizione, quale prodigio!

Per Presles la scoperta più importante da lui fatta sulla coscienza è stata quella di capire le potenzialità, le energie, che ci vengono da lì e che ci permettono di trasformare il nostro ambiente, così come la nostra personalità: decisione dopo decisione, atto dopo atto, costruiamo così la nostra identità di base. In modo coerente o incoerente, nelle proprie azioni e nelle proprie scelte, tutti costruiscono il loro particolare modo di essere. Questo è il motivo per cui ogni persona è unica (e fragile, visto che l’identità personale non è sempre così stabile).

La coscienza, questa capacità unica che ci permette di pensare alla coscienza stessa, è uno strumento molto versatile. Per esempio, possiamo trovare tutti i giusti motivi per agire in una direzione e, se necessario, siamo anche in grado di trovare argomenti per agire in senso opposto… La capacità del nostro cervello di giustificare qualsiasi cosa è semplicemente fantastica, come diceva Erich Fromm: “L’uomo, infatti, è una delle forze della natura più malleabile: può essere utilizzato praticamente per qualsiasi scopo e può essere portato a odiare o collaborare, a rispettare o a resistere, ad amare per soffrire o per essere felice. “

Nel libro si parla dunque di come imparara a costruirsi una identità più forte, come si riesce a trovare il senso della propria vita, a diventare ciò che vogliamo essere. A tale scopo, è essenziale l’auto-osservazione, la riflessione sui propri desideri, l’attenzione a come viviamo i grandi dilemmi della coscienza, come costruiamo la nostra identità, quali sono le insidie che la nostra coscienza ci presenta.

La coscienza infatti, spesso ci rende infelici. Essa porta con sé la maledizione della lucidità e questo non è sempre un bene, perché essere felici richiede un delicato equilibrio, tra raziocinio e la leggerezza del vivere: in altre parole, si chiama saggezza.

La coscienza ci porta il meglio della vita, ma anche il peggio. Gli animali, quando commettono un suicidio, lo fanno collettivamente. Solo l’uomo può decidere che è meglio impiccarsi che continuare a vivere… Per sostenere la lucidità dolorosa portata dalla coscienza, il nostro cervello tende a reinventare la realtà: questo processo psichico ci fa dimenticare che siamo mortali e ci predispone dunque a qualsiasi comportamento, alla giustificazione di tutto, anche del male.

La coscienza è quindi la nostra segreta coppia di ali invisibili, che ci permette di volare più lontano e più in alto, ma che allo stesso tempo può farci sbilanciare ed anche cadere. Ma se è la coscienza ad imporsi sulla nostra volontà,  non siamo sempre obbligati a subire, possiamo imparare a gestirla. Per questo,  capire come funziona la nostra coscienza è esattamente come imparare a volare.

Si tratta in sostanza di comprendere che la ricerca su sé stessi è spesso infinita quanto inutile, per cui si avrebbe molto da guadagnare, se imparassimo a sostituire il famoso “conosci te stesso” attribuito a Eraclito con un più pragmatico “costruisci te stesso, e diventa ciò che ti piace. “

Dr. Giuliana Proietti, psicoterapeuta, Ancona

Fonte:

Tout ce qui n’intéressait pas Freud: Un livre bouleversant, Santé Medicine
Introduzione al libro (francese)
Les secrets de notre conscience, Le Point

Link:

Intervista all’autore (in francese)

Immagine:copertina del libro

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