La soddisfazione per la vita dipende dal periodo in cui si nasce

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È ormai ampiamente accettato il fatto che il livello di funzionamento cognitivo di una persona sia fortemente influenzato dalle caratteristiche presenti nell’ambiente in cui vive, che cambiano nel tempo.

Il dato è stato confermato da diverse ricerche, che hanno messo a confronto i punteggi totalizzati nelle varie abilità cognitive da diversi soggetti, rivelando che spesso le differenze nel livello di intelligenza appaiono diverse non solo fra età e età (ad esempio un sessantenne messo a confronto con un ventenne) ma anche fra coorti di coetanei, nati in diversi anni di nascita (ad esempio sessantenni nati nel 1920 confrontati con sessantenni nati nel 1930).

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Lo vediamo del resto con i bambini delle nuove generazioni, che ormai da tempo risultano molto più intelligenti di quelli delle generazioni precedenti, in quanto dispongono di molte più informazioni, conoscono la tecnologia, navigano su Internet, parlano le lingue straniere e così via.

Questi risultati ci potrebbero far domandare se le differenze fra persone coetanee nate in differenti periodi storici riguardino solo le funzioni cognitive o, ad esempio, anche il livello di soddisfazione che esse provano nei confronti della vita.

Un nuovo studio recentemente pubblicato su Psychological Science e condotto presso la Florida University, ha utilizzato due studi longitudinali condotti su larga scala (il NIH’s Baltimore Longitudinal Study of Aging – BLSA e il CDC’s National Health and Nutrition Examination Survey – NHANES), per studiare i dati di benessere percepito da diverse migliaia di persone con più di 30 anni.

Si è così scoperto che, sulla totalità dei dati, le sensazioni di maggiore benessere percepito seguono in genere un andamento a U, nel senso che raggiungono i livelli più elevati dapprima nell’età giovanile e poi nella età anziana, a prescindere dallo stato di salute, dal sesso, dall’appartenenza etnica e dal livello di istruzione.

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Analizzando però i medesimi dati sulla base della data di nascita dei soggetti studiati, si osserva come anche i livelli di felicità cambino nettamente fra persone nate in questo o quell’altro anno di nascita. Ad esempio, le persone nate all’inizio del XX secolo, specialmente coloro che sono state giovani durante il periodo della Grande Depressione (1930-1945) mostrano un livello di felicità minore rispetto a quello misurato alla stessa età in generazioni cresciute successivamente, in periodi storici più prosperi.

La maggiore ricchezza economica del periodo post bellico ad esempio, ha permesso a intere generazioni di giovani buone opportunità di auto-realizzazione (facile accesso allo studio e al mondo del lavoro, possibilità di autonomia dovute ad un reddito personale, discreto status socio-economico, ecc.)

I ricercatori dunque invitano a prendere in considerazione il fatto che i giovani d’oggi probabilmente condivideranno in futuro la sorte di coloro che furono giovani durante il periodo della Grande Depressione. E’ probabile, stando a questa ricerca, che i trentenni di oggi, nella loro età matura, proveranno un livello di soddisfazione per la vita assai inferiore rispetto a quello provato alla stessa età dalle generazioni precedenti (ad esempio la nostra), proprio a causa della mancanza di opportunità sperimentata negli anni della loro giovinezza.

Clinica della Timidezza

Tutti oggi siamo in grado di osservare come la difficile crisi economica che stiamo attraversando impedisca a molti ragazzi di avere pieno accesso all’istruzione (per ragioni economiche) o di poter entrare nel mondo del lavoro (a causa degli alti tassi di disoccupazione giovanile). Il problema da considerare è che la situazione contingente è probabilmente destinata a mantenere i suoi effetti anche negli anni futuri, quando la crisi sarà ormai superata da molto tempo, ma che manterrà le persone che oggi sono giovani in uno stato di malessere e di insoddisfazione dovuto a questa sorta di “imprinting” negativo.

Speriamo anzitutto che non sia così, cerchiamo di pensare positivo: viene tuttavia da riflettere sul fatto che almeno coloro che sono stati giovani negli anni Quaranta da anziani abbiano potuto mitigare il loro malessere e il senso di insoddisfazione tipico della loro generazione attraverso la fruizione dei servizi resi dallo stato sociale che abbiamo conosciuto negli ultimi cinquanta anni: pensione, cure mediche, servizi sociali garantiti. Tutto questo certamente non basta per dare la felicità, ma sicuramente aiuta, specie quando si è in là con gli anni e non si può più contare solo sulle proprie forze.

Cosa potrebbe accadere invece a chi è giovane oggi, se da vecchio, oltre che triste e insoddisfatto (come questi dati lasciano prefigurare) non potrà nemmeno godere della sicurezza offerta da uno stato sociale che garantisca i servizi minimi, come ad esempio la pensione?

Ecco perché una politica seria non dovrebbe limitarsi a risolvere solo i problemi dell’oggi, del qui ed ora, ma avere una visione più lungimirante su quello che sarà il mondo di domani. Mi sembra troppo facile e perfino cinico limitarsi a registrare, in modo quasi notarile, che una intera generazione è ormai semplicemente “perduta”…

Dr. Giuliana Proietti

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Immagine: David Castillo Dominici, Free Digital Photos

Pubblicato anche su Huffington Post

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