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Alcuni ricercatori della Johns Hopkins Medicine hanno impiantato chirurgicamente un dispositivo simile al pacemaker nel cervello di un paziente, nelle sue prime fasi della malattia di Alzheimer. Il dispositivo fornisce una stimolazione cerebrale profonda e viene utilizzato da migliaia di persone che soffrono della malattia di Parkinson; si spera che esso possa essere di aiuto per il potenziamento della memoria e l’inversione del declino cognitivo anche nei pazienti con Alzheimer.
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Come parte di uno studio preliminare di sicurezza nel 2010, dispositivi di questo tipo sono stati impiantati in sei pazienti con malattia di Alzheimer in Canada. I ricercatori hanno osservato che i pazienti con forme lievi del disturbo hanno mostrato aumenti significativi nel metabolismo del glucosio, un indicatore dell’attività neuronale, per un periodo di 13 mesi (al contrario di un gruppo di controllo di malati di Alzheimer).
I farmaci progettati per ridurre l’accumulo di placche beta-amiloidi hanno fallito e portato dunque alla necessità di cercare strade alternative; questa volta si tratta di un approccio molto diverso, di tipo meccanico, una strada completamente nuova, tutta da esplorare.
Autori:
Dr. Giuliana Proietti - Dr. Walter La Gatta
Circa 40 pazienti riceveranno l’impianto di stimolazione cerebrale profonda nel prossimo anno presso la Johns Hopkins e in altre quattro altre istituzioni del Nord America (Università di Toronto, Università di Pennsylvania, Università della Florida e nel Banner Health System a Phoenix, in Arizona. Altre sperimentazioni si stanno facendo presso la società Functional Neuromodulation Ltd. che produce il dispositivo medico); saranno accettati per la sperimentazione solo pazienti il cui decadimento cognitivo è abbastanza mite e possono dunque decidere volontariamente di partecipare all’esperimento.
Mentre il dispositivo è ancora in via di sperimentazione per i malati di Alzheimer, più di 80.000 persone con malattie neurodegenerative come il morbo di Parkinson sono stati sottoposti alla procedura negli ultimi 15 anni e sembra che essi abbiano meno tremori e necessitino di ridotte dosi di farmaci. Altri ricercatori stanno testando la stimolazione cerebrale profonda per controllare la depressione e il disturbo ossessivo-compulsivo resistente ad altre terapie.
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L’intervento chirurgico comporta l’esecuzione di fori nel cranio per impiantare i fili nel fornice su entrambi i lati del cervello. Il fornice è un percorso naturale del cervello che può essere usato per inviare informazioni all’ippocampo, la parte del cervello dove inizia l’apprendimento e si creano i ricordi e dove sembrano sorgere i primi sintomi del morbo di Alzheimer. I cavi sono collegati ad uno “stimolatore”, che genera minuscoli impulsi elettrici nel cervello, 130 volte al secondo. I pazienti non sentono dolore, assicurano i ricercatori.
Per l’esperimento, a metà dei pazienti lo stimolatore verrà attivato dopo due settimane dall’impianto, mentre all’altra metà verrà attivato dopo un anno. Non si sa ancora se la cosa funzionerà, come e quanto.
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Per il momento sappiamo solo che entro il 2050, a meno che non si trovi una cura ad hoc, il numero di persone di 65 anni e più di età con malattia di Alzheimer potrebbe potenzialmente triplicare. Speriamo dunque che questo percorso di ricerca sia fruttuoso.
Dr. Walter La Gatta
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Fonte:
In US first, Johns Hopkins surgeons implant brain ‘pacemaker’ for Alzheimer’s disease, Eurekalert
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Psicologo Psicoterapeuta Sessuologo
Delegato Regionale del Centro Italiano di Sessuologia per le Regioni Marche e Umbria
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