La psicologia positiva è sempre positiva?

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Dopo gli argomenti a favore, ecco le critiche alla psicologia positiva.

Negli ultimi due decenni, c’è stata una forte spinta a studiare vari tratti psicologici e i processi che si presume siano “positivi“, cioè capaci di creare benessere. Questa spinta ha avuto un notevole impulso durante la presidenza dell’American Psychological Association da parte dello psicologo Martin Seligman. Lo stesso Seligman infatti (1999) ha istituito formalmente il campo della psicologia positiva.

In un articolo pubblicato successivamente, sulla rivista American Psychologist (vedi Seligman & Csikszentmihalyi, 2000), Seligman sosteneva che la psicologia prima di allora era stata troppo concentrata nel cercare ciò che vi è di sbagliato nelle persone ed aveva fatto in realtà molto poco per aiutare le persone a sviluppare il loro pieno potenziale. Pertanto, il nuovo settore della psicologia positiva si proponeva di promuovere lo studio delle caratteristiche psicologiche in grado di migliorare il benessere delle persone.

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Il settore si è sviluppato in modo spettacolare da allora, con la comparsa di numerosi articoli (ad esempio, American Psychologist, Seligman & Csikszentmihalyi, 2000a; Psychological Inquiry, 2003, Vol. 14, No. 2; Review of General Psychology, Baumeister & Simonton, 2005), manuali (si veda Linley & Joseph, 2004; Ong & van Dulmen, 2007; Snyder & Lopez, 2002), libri di testo (es. Carr, 2004; Compton, 2005; Peterson, 2006), e una nuova rivista, nata nel  2006, the Journal of Positive Psychology.

Nonostante questa crescita incredibile la psicologia positiva ha subito anche numerose critiche. In particolare è stato rimproverato agli esponenti della nuova corrente di non prestare abbastanza attenzione al contesto interpersonale in cui le persone trascorrono gran parte della loro vita (Fincham & Beach, 2010; Maniaci & Reis, 2010).

Quando Seligman e Csikszentmihalyi (2000) hanno introdotto la psicologia positiva nel loro articolo, hanno dichiarato contestualmente che la nuova disciplina si sarebbe occupata principalmente di esperienze soggettive: benessere, appagamento e soddisfazione (per il passato), speranza e ottimismo (per il futuro), e  felicità (nel presente).

A livello individuale, la psicologia positiva valuta alcuni tratti di personalità, come: la capacità di amare gli altri, il coraggio, le abilità interpersonali, la sensibilità estetica, la perseveranza, il perdono, l’originalità, l’apertura mentale, la spiritualità, il talento  e la saggezza. A livello di gruppo, la disciplina si interessa delle virtù civiche e delle istituzioni che indirizzano le persone verso una migliore cittadinanza: responsabilità, altruismo, moderazione, tolleranza e etica del lavoro, ecc.

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Seligman e Csikszentmihalyi elencando i tratti che interessavano la psicologia positiva hanno implicitamente asserito che le caratteristiche elencate siano tutte “positive“. Ma esse lo sono sempre, in ogni circostanza?

Pensiamo, ad esempio, ad una donna che abbia un rapporto di coppia con una persona violenta.  Le ricerche esistenti, che in genere si basano su persone che non vivono condizioni di abuso, suggerisce che una relazione di coppia potrebbe beneficiare dei seguenti comportamenti:  (a) attribuire i comportamenti negativi del partner a cause esterne piuttosto che a cause interne (si veda Bradbury & Fincham, 1990), (b) essere ottimisti circa le future interazioni con il proprio partner (McNulty e Karney, 2002), (c) perdonare il partner (Fincham, Hall, & Beach, 2006), (d) ricordare le esperienze positive vissute nella relazione e dimenticare quelle più negative (Karney & Coombs, 2000), ed infine (e) rimanere fedeli al partner (Rusbult, 1980).

In realtà, tuttavia, tali strategie possono risultare perfino controproducenti se il partner si comporta in modo violento. La donna presa in esame potrebbe infatti ottenere migliori risultati se:  (a) attribuissegli abusi alle caratteristiche di personalità del partner piuttosto che a fonti esterne, (b) fosse scettia sugli eventuali cambiamenti futuri del partner  (c) evitasse di perdonare gli abusi che subisce, (D) si ricordasse sempre degli abusi subiti (e) si sentisse meno impegnata nel rapporto di coppia.

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In altre parole, i così detti processi positivi, a volte possono rivelarsi dannosi per il benessere, mentre i processi ritenuti negativi potrebbero in alcuni casi essere risolutivi. Come sosteneva anche Lewin (1935)  il comportamento non dipende esclusivamente dalle caratteristiche psicologiche delle persone, ma è invece determinato dalla relazione fra le caratteristiche personali e le caratteristiche dell’ambiente sociale in cui si vive.

Esaminiamo, ad esempio, alcuni comportamenti che la psicologia positiva ritiene essenziali per il benessere personale.

Il Perdono

Seligman e Csikszentmihalyi (2000b) hanno identificato nel perdono un tratto positivo di personalità. In effetti, diversi studi indicano che le persone più disponibili al perdono mostrano i segni di una migliore salute fisica e psicologica (si veda ad esempio, Berry, Worthington, O’Connor, Parrott, e Wade, 2005; Brown, 2003; Lawler et al, 2003, 2005;. Toussaint, Williams, Musick, E Everson, 2001; Witvliet, Ludwig, e Vander Laan, 2001). Witvliet et al. (2001), per esempio, hanno mostrato che il perdono ha effetti benefici sulla pressione arteriosa sistolica, diastolica e arteriosa.

Allo stesso modo, usando un campione nazionale di adulti statunitensi, Toussaint et al. (2001) hanno dimostrato che il perdono è correlato negativamente con il disagio psicologico e positivamente con la soddisfazione di vita. Altri lavori indicano che il perdono è associato ad una migliore salute (per esempio, Fincham, Beach, & Davila, 2007; McCullough et al, 1998;. Paleari, Regalia, e Fincham, 2005). Fincham et al. (2007), per esempio, hanno mostrato che il perdono delle mogli era positivamente associato con i miglioramenti nella comunicazione di coppia, 12 mesi dopo.

Altri studi tuttavia suggeriscono che il perdono non sempre sia così vantaggioso (Gordon, Burton, & Porter, 2004; McNulty, 2010, 2011). McNulty (2010) ha recentemente dimostrato che le persone meno indulgenti nei confronti del partner violento riscontrano un declino nella frequenza con cui il partner perpetra le sue aggressioni fisiche e psicologiche, mentre le persone più indulgenti verso il partner sperimentano  livelli stabili o in crescita di aggressione psicologica e fisica.

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Quindi, in base a quanto si è detto, possiamo considerare il perdono come psicologia positiva o come psicologia negativa?

Probabilmente occorrerebbe cominciare a pensare al perdono come qualcosa che può avere effetti positivi o negativi, a seconda delle caratteristiche del contesto in cui si verifica. McNulty (2008) studiando 72 coppie di coniugi ha scoperto che il perdono  ha permesso di mantenere la soddisfazione coniugale tra i coniugi felicemente sposati, ma nei rapporti più conflittuali o in casi di violenza domestica, il perdono veniva associato con una diminuzione più rapida della soddisfazione tra le persone sposate con partner violenti (si veda Luchies, Finkel, McNulty, e Kumashiro (2010). I partner più propensi verso il perdono in questo caso tendevano a perdere la stima e il rispetto di sé stessi.

Naturalmente, va detto che lo studio del perdono è relativamente nuovo nel campo della ricerca psicologica e poi non è nemmeno ancora chiaro cosa si intenda effettivamente per perdono.

Ad esempio, si discute se il perdono sia semplicemente l’assenza di sentimenti negativi (ad esempio, McCullough, Fincham, e Tsang, 2003) o anche la presenza di sentimenti positivi (ad esempio, Fincham, Beach, e Davila, 2004). Inoltre, mentre la maggior parte degli psicologi concordano sul fatto che il perdono non implichi la riconciliazione, alcune stime indicano che ben il 20% delle persone credono che il perdono implichi una riconciliazione  (Kearns & Fincham, 2004).

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Ottimismo

Uno dei costrutti fondamentali della psicologia positiva  è l’ottimismo (Carver e Scheier, 2002; Seligman & Csikszentmihalyi, 2000b), definito come una  aspettativa generalizzata per  risultati futuri desiderabili (Carver, Scheier, Segerstrom, 2010). In effetti, l’ottimismo e le aspettative per i risultati desiderabili sono stati associati positivamente con il benessere individuale in numerosi studi (ad esempio, Aspinwall & Richter, 1999; Brissette, Scheier, & Carver, 2002; Scheier & Carver, 1985; Taylor, Lichtman, & Wood, 1984; per una rassegna, vedi Carver, Scheier, e Segerstrom, 2010).

Brissette et al. (2002), per esempio, hanno scoperto che l’ottimismo è correlato ad una diminuzione dello stress e della depressione. Inoltre, numerosi studi sottolineano il legame fra benessere ed ottimismo (Downey, Freitas, Michaelis, & Khouri, 1998; McNulty & Karney, 2002; Srivastava, McGonigal, Richards, Butler, & Gross, 2006).

Tuttavia, altri studi indicano che l’ottimismo e le aspettative per i risultati desiderabili possono avere in alcuni casi conseguenze dannose (Gibson & Sanbonmatsu, 2004; Isaacowitz & Seligman, 2002; Norem, 2001; Shepperd & McNulty, 2002).

Gibson e Sanbonmatsu (2004), per esempio, in tre studi hanno dimostrato che gli ottimisti hanno minori probabilità di liberarsi dalla dipendenza del gioco d’azzardo, anche dopo aver sperimentato delle perdite.  Inoltre,  Isaacowitz e Seligman (2002) hanno rilevato che l’ottimismo è associato con una depressione maggiore in un campione di partecipanti anziani.

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Molti autori hanno messo in rilievo che le interpretazioni ottimistiche circa il proprio comportamento negativo possono compromettere la spinta ad auto-migliorarsi (si vedano ad esempio, Crocker, Major, & Steele, 1998; Major & Schmader, 1998; Steele, Spencer, & Aronson, 2002).

Ulteriori, diversi studi sulle relazioni di coppia suggeriscono che le donne che  attribuiscono le cause dei comportamenti violenti del partner a fattori esterni piuttosto che a fattori di personalità dei loro partner (cioè le più ottimiste) corrono il rischio di sperimentare abusi psicologici o fisici (Katz, Arias, Beach, Brody, e Roman, 1995; Pape & Arias, 2000; Truman- Schram, Cann, Calhoun, e Vanwallendael, 2000).

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La gentilezza

Gli psicologi positivi hanno anche esaltato i vantaggi della gentilezza (Duckworth, Steen, e Seligman, 2005; Kauffman, 2006; Peterson, 2006; Seligman, Steen, Parco, e Peterson, 2005). In accordo con questa visione, numerosi studi hanno fornito elementi di prova per le prestazioni intrapersonali ed interpersonali dovute alla gentilezza (ad esempio, Buchanan e Bardi, 2010; Otake, Shimai, Tanaka-Matsumi, Otsui, e Frederickson, 2006;Pasch e Bradbury, 1998; Tkach, 2006; per una rassegna, vedi Post, 2005).

Buchanan e Bardi (2010), ad esempio, hanno dimostrato che, rispetto ai partecipanti di un gruppo di controllo, i partecipanti assegnati in modo casuale a compiere atti di gentilezza ogni giorno per 10 giorni erano più soddisfatti della loro vita.

Allo stesso modo, gli studi sulle relazioni intime dimostrano che essere gentili con il partner in un momento di personale necessità è associato con una maggiore soddisfazione nel rapporto (Ad esempio, Pasch e Bradbury, 1998).  Leary et al. (2007) hanno riferito che le persone che hanno segnalato una tendenza ad essere auto-compassionevoli, e si trattano con rispetto anche dopo aver commesso degli errori, riportano meno emozioni negative rispetto alle persone che sono meno auto-compassionevoli.

Tuttavia, diversi studi suggeriscono che la gentilezza può avere implicazioni dannose. Alcuni studi ad esempio indicano che la cattiveria può in taluni casi essere ottimale in determinate relazioni  (Cohan & Bradbury, 1997; Gottman & Krokoff, 1989; Heavey, Layne, e Christensen, 1993; Karney & Bradbury, 1997), come ad esempio nelle discussioni in cui è necessario risolvere un problema.   Batson, Batson, et al. (1995) hanno dimostrato che le motivazioni altruistiche possono compromettere il benessere collettivo in alcune circostanze.

Ad esempio, si è visto che i partecipanti assegnati casualmente a provare empatia per un membro di un gruppo, tendono a favorire tale soggetto a scapito del gruppo. Inoltre, Batson, Klein, Highberger e Shaw (1995) hanno dimostrato che le motivazioni altruistiche possono portare le persone a violare i propri principi morali a scapito degli altri.

Rispetto ai partecipanti di controllo, i partecipanti motivati a provare empatia per un bambino malato, apparentemente in lista d’attesa per ricevere farmaci che avrebbero migliorato sostanzialmente la qualità della sua vita, hanno cercato in una ricerca di far passare questo caso avanti a quello di altri bambini in lista d’attesa per ricevere il farmaco, anche se si rendevano conto che il loro comportamento non era corretto.

Concludendo, l’ assunto chiave della psicologia positiva è che certi tratti psicologici e processi costituiscono una psicologia positiva, che dovrebbe essere promossa per realizzare un funzionamento ottimale. In contrasto con questo assunto, si potrebbe dire che i tratti psicologici e i processi non sono intrinsecamente positivi o negativi, ma che anzi, le loro implicazioni riguardo al benessere dipendono dalle circostanze in cui essi si presentano.

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Va detto che, grazie al movimento della psicologia positiva, molti ricercatori stanno studiando dei tratti psicologici e dei processi che in passato non avevano ricevuto la giusta attenzione. Inoltre, studiare come le persone possano raggiungere un migliore benessere è un obiettivo assolutamente importante.

Probabilmente ciò che non funziona è il modo di approcciare i problemi: gli psicologi “positivi”  dovrebbero andare oltre l’esame dei tratti di personalità e dei processi che promuovono il benessere, per studiare i fattori che determinano il benessere: quando, in quale misura. In mancanza di questo la psicologia positiva mostrerà di avere una comprensione incompleta della natura psicologica, che potrebbe avere conseguenze anche dannose.

Ad esempio, numerosi psicologi positivi hanno sostenuto che le conoscenze acquisite dalla ricerca sulla psicologia positiva psicologia dovrebbero essere utilizzate per le terapie e per la prevenzione (si veda, per esempio, Bono & McCullough, 2006; Duckworth et al,. 2005; Frisch, 2006; Ingram & Snyder, 2006; Karwoski, Garratt, e Ilardi, 2006; Seligman, 2002; Seligman & Csikszentmihalyi, 2000b; Sin & Lyubomirsky, 2009).

Sebbene le caratteristiche e i processi studiati dagli psicologi positivi possano essere di beneficio ad alcune persone, non dobbiamo dimenticare che esse possono riguardare delle eccezioni piuttosto che la regola. Gable e Haidt (2005), per esempio, sostengono che “la psicologia positiva dovrebbe andare oltre la descrizione dei  tratti principali (l’ottimismo, l’umorismo, il perdono,  la curiosità, ecc.) e cominciare a guardare più da vicino alle complesse interazioni, che studiano la maggior parte delle scuole psicologiche “.

Lo sviluppo di una comprensione completa di come si possa promuovere il benessere richiede una ricerca che fornisca risultati non solo nel breve termine, ma anche nel lungo-termine.

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Anche se alcuni psicologi positivi hanno utilizzato metodi longitudinali per valutare l’efficacia di vari interventi psicologici positivi per la promozione
del benessere, la maggior parte di questi studi ha esaminato implicazioni solo a breve termine  e di conseguenza non è ancora chiaro se i benefici osservati sono immediati, ma poi cambiano nel tempo, o se essi possono addirittura diventare dannosi per alcune persone.

Come affermano molti critici della psicologia positiva (si veda ad esempio, Lazarus, 2003), questi psicologi dovrebbero andare oltre lo studio dei tratti psicologici e dei processi che considerano positivi. Sebbene la maggior parte dei filosofi della scienza concordino sul fatto che i valori siano una parte inestricabile del  processo scientifico (vedi Kincaid, Dupre ‘, e Wylie, 2007), utilizzando valori per formulare delle ipotesi si corre il rischio di inquinare i risultati ottenuti.

Infatti, dato che gli effetti imprevisti hanno molte meno probabilità di essere pubblicati rispetto ai risultati previsti (Mahoney, 1977), si pubblicano solo ricerche con i risultati attesi. La critica più importante nei confronti della psicologia positiva dunque è che occorrerebbe andare oltre i tratti positivi e i tratti negativi, e studiare di più il contesto: anche la psicologia non è mai positiva o negativa, è semplicemente psicologia.

Dr. Giuliana Proietti

 

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Fonte:

Adattato da : McNulty, J. K., & Fincham, F. D. (2011, July 25). Beyond Positive Psychology?: Toward a Contextual View of Psychological Processes and Well-Being. American Psychologist. Advance online publication. doi: 10.1037/a0024572

 

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