La psicologia umanistica

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Sigmund Freud era profondamente pessimista riguardo alla natura umana: riteneva infatti che essa fosse governata da oscure forze intrapsichiche, che solo a fatica (e mai completamente) l’essere umano avrebbe potuto pienamente governare.

La scuola comportamentista, nata in America, sviluppò un modello alternativo alla psicoanalisi, che però non era più ottimista: gli esseri umani venivano infatti visti in questo caso come soggetti passivi, che venivano plasmati dagli stimoli, positivi e negativi, che ricevevano dall’ambiente. Un po’ come fossero delle macchine, o dei robots.

La psicologia umanistica,conosciuta anche con l’appellativo di “Terza Forza” (alternativa cioè alle due correnti psicologiche allora imperanti, la psicoanalisi e il comportamentismo) si sviluppò negli anni Sessanta e Settanta, negli Stati Uniti, principalmente ad opera di due psicologi: Abraham Maslow e Carl Rogers.

Essi ritenevano che la principale spinta presente nell’essere umano fosse il bisogno di crescita personale,  di auto-affermazione, di auto-stima. Rispetto al passato dunque, questa nuova corrente sembrava apportare delle grandi novità e sicuramente mostrava una visione della condizione umana  meno negativa  e più improntata all’ottimismo, alla possibilità di auto-miglioramento.

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La definizione di “psicologia umanistica”, fu coniata nel 1962 da un gruppo di psicologi, guidati da Abraham Maslow: il programma del movimento prevedeva di “studiare le dinamiche emozionali e le caratteristiche comportamentali di un’esistenza umana piena e vitale“.

Maslow (1908-1970) era stato un bambino infelice e si era dedicato alla lettura  per fuggire i suoi sentimenti di solitudine e di inferiorità, dati dall’essere nato in una famiglia ebrea non unita e molto conflittuale.

I suoi modelli dunque non furono mai i suoi genitori, ma in seguito lo divennero due studiosi, Max Wertheimer, il padre della psicologia della Gestalt e l’antropologa Ruth Benedict, persone da Maslow stimatissime e considerate dei modelli viventi di auto-realizzazione.

Studiando il comportamento di questi suoi modelli, così come le biografie di altre persone, che secondo Maslow erano riuscite pienamente a realizzare se stesse, il suo obiettivo divenne quello di cercare di migliorare la personalità degli individui, dando loro fiducia nella possibilità di diventare migliori, da tutti i punti di vista.

Al Brooklyn College, dove lavorava Maslow, imperava però a quei tempi la psicologia comportamentista ed i suoi tentativi di “umanizzare” la psicologia lo portarono ad essere ostracizzato dai colleghi, malgrado l’apprezzamento degli studenti.

Dal 1951 al 1967 Maslow sviluppò e rifinì la sua teoria quasi in regime di isolamento, quando nel 1967 fu eletto presidente dell’APA, l’associazione degli psicologi americani. Maslow divenne allora una celebrità, un eroe del movimento della controcultura, divenendo un guru per molti giovani.

Ultimo aggiornamento: Giu 17, 2020 @ 23:54

Il manifesto della “Associazione di Psicologia Umanistica” metteva in evidenza il valore che veniva attribuito alla dignità della persona e allo sviluppo delle sue potenzialità, attraverso l’auto-realizzazione, la creatività, le scelte consapevoli.

La persona doveva essere dunque considerata nella sua interezza, occupandosi delle sue esperienze di vita e delle sue emozioni. A questo manifesto aderirono in seguito anche altre correnti psicoterapeutiche (gestalt, bioenergetica, analisi transazionale) e psicologi molto importanti nella storia della psicologia moderna, quali Jacob Levi Moreno, Erich Fromm, Fritz Perls, Alexander Lowen, Rollo May, Roberto Assagioli, Viktor Frankl.

Scuole psicoterapeutiche e psicologi molto diversi fra loro, ma che avevano in comune l’attenzione data alla persona e una visione ottimistica dell’intervento psicoterapeutico riguardo allo sviluppo delle potenzialità dell’essere umano.

Gli aspetti della psicologia umanistica più legati alla psicoterapia, presero le mosse in primis dal lavoro di Carl Rogers (1902-1987), il quale già nel 1951, con il libro “La terapia centrata sul cliente”, aveva spiegato il suo pensiero: il disturbo mentale, nelle sue varie forme, rappresenta una distorsione dello sforzo che l’individuo compie per attuare le proprie potenzialità.

La Terapia non direttiva dunque, messa a punto dallo stesso Rogers, doveva tenere conto del bisogno di auto-realizzazione dell’individuo, doveva astenersi dall’interpretazione e dal giudizio e limitarsi ad accogliere ed accompagnare il cliente (e non il paziente) in un percorso che creasse le condizioni necessarie per favorire la sua crescita personale.

Leggi anche:  La psicologia positiva nel contesto della psicologia umanistica

L’individuo “sano”, in questa prospettiva, era colui che raggiungeva la sua “autorealizzazione”, il pieno sviluppo delle proprie potenzialità, colui che diventava realmente ciò che poteva diventare, e non semplicemente chi riusciva ad adattarsi al suo ambiente.

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Per Rogers le persone psicologicamente sane o pienamente funzionali erano persone capaci di avere apertura mentale verso le nuove esperienze, di vivere pienamente ogni loro momento, di ascoltare il proprio istinto oltre che la voce della ragione e le opinioni degli altri, erano amanti della libertà, sia nel pensiero che nell’azione, erano creative e desiderose di migliorarsi continuamente.

Le persone pienamente efficienti venivano descritte da Rogers come soggetti actualizing invece che actualized (realizzanti, anziché realizzati) mettendo così in evidenza che lo sviluppo del sé non doveva mai considerarsi concluso, ma essere sempre un “lavoro in corso”. Questa enfasi sulla spontaneità, flessibilità e continuo impegno nel crescere come persona si trova nel libro: On Becoming a Person (1961).

L’approccio terapeutico rogersiano si basa su alcune caratteristiche del terapeuta, che deve porsi nei confronti del cliente (e non “paziente”) in modo autentico, trasparente, senza nascondersi dietro il proprio ruolo o le regole del setting (chiaro riferimento alla psicoanalisi) ed inoltre deve essere empatico, capace di ascoltare e di comprendere il punto di vista dell’altro, mostrando nei suoi confronti una totale fiducia.

Nelle parole di Rogers:

« Gli individui hanno in se stessi ampie risorse per auto-comprendersi e per modificare il loro concetto di sé, gli atteggiamenti di base e gli orientamenti comportamentali. Queste risorse possono emergere quando può essere fornito un clima definibile di atteggiamenti psicologici facilitanti »

Molti potrebbero riconoscere nel pensiero di Rogers dei concetti tipici dalle filosofie orientali. In effetti, Rogers ebbe l’opportunità di soggiornare in Cina per alcuni mesi, nel 1922, per partecipare ad una conferenza internazionale organizzata dalla Federazione Mondiale degli Studenti Cristiani.

Questo soggiorno gli permise di confrontare la cultura occidentale con quella orientale ed influenzò profondamente il suo pensiero e le scelte successive della sua vita.

Nel 1944, dopo varie esperienze professionali, Rogers tornò a Chicago, sua città natale, dove fondò il primo Counseling Center, nel quale veniva applicata la sua “terapia non direttiva” e si faceva ricerca clinica.

Nel 1957 ottenne la cattedra di Psicologia e Psichiatria all’Università del Wisconsin, dove ebbe modo di sperimentare il suo metodo su pazienti psicotici, ottenendo ottimi risultati.

Nel 1964 tuttavia Rogers abbandonò l’insegnamento e si trasferì in California, presso l’Western Behavioural Science Institute di La Jolla.

Nel 1969 fondò, insieme ad altri colleghi, il Center for the Study of the Person e, successivamente, il Carl Rogers Institute of Peace, per lo studio e la risoluzione dei conflitti.

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Il successo della psicoterapia umanistica in America va spiegato in termini storici. Il periodo in cui si mossero Rogers e Maslow fu un periodo molto doloroso per l’America: nel 1941 infatti i Giapponesi lanciarono un massiccio ed improvviso attacco aereo. che portò gravi perdite alla flotta americana ancorata a Pearl Harbour, convincendo così gli Stati Uniti ad entrare in guerra.

Dopo la fine della guerra, l’America si trovò ad affrontare il problema dei numerosi veterani, che avevano difficoltà a reintegrarsi nella società civile e per questo vi fu una grande domanda di interventi psicologici e di tecniche che potessero essere apprese rapidamente, per formare nuovi psicologi.

La psicoanalisi richiedeva una laurea in medicina e diversi anni di formazione, mentre le teorie di Rogers apparivano molto semplici e si prestavano ad un utilizzo immediato. Da qui la loro enorme diffusione; in seguito, le stesse tecniche furono largamente utilizzate anche nel mondo del lavoro, soprattutto per la formazione dei managers.

Il lavoro di Rogers fu dunque, sin da subito, considerato fondamentale per la psicoterapia e il counseling (Kirschenbaum e Jourdan 2005, Patterson e Joseph 2007) e questo gli permise di divenire presidente dell’APA (American Psychological Association) nel 1946-47.

Il movimento della psicologia umanistica ha potuto contare anche su una rivista, che viene tutt’ora pubblicata: il Journal of Humanistic Psychology, che iniziò le pubblicazioni nel 1961, ma ciò nonostante si può dire che essa non sia mai divenuta una vera scuola.

“Fu un grande esperimento, ma un esperimento fallimentare in quanto non esiste una scuola di pensiero umanistico, nessuna teoria che possa essere riconosciuta come una filosofia della scienza”, è stato osservato (si veda Cunningham, 1985).

Rogers stesso era d’accordo con questa analisi: “La psicologia umanistica non ha avuto un impatto significativo sulle principali correnti psicologiche. Siamo considerati come una scuola di secondaria importanza”. (Cunningham, 1985)

In effetti, è stato osservato che  la psicologia umanistica ha prodotto complessivamente poche pubblicazioni, poche ricerche, pochi corsi universitari e scuole di formazione (Aasnstoos, 1994).

Molti studiosi ritengono oggi che, considerando l’enorme interesse suscitato da Rogers e Maslow negli anni sessanta e settanta, del loro pensiero rimane ben poco nella moderna psicologia (Elkins, 2009).

Questo è potuto accadere perché la psicologia umanistica si è soprattutto basata sul lavoro di psicologi clinici e non di accademici: per questo sono state limitate le loro possibilità di fare ricerche o pubblicazioni, così come poco curata è stata la formazione di una nuova generazione di psicologi umanisti.

Inoltre, non va dimenticato che la psicologia umanistica è stato soprattutto un movimento di protesta, il cui obiettivo principale era quello di affermare la “terza via” psicologica, contrapponendosi allo stra-potere della psicoanalisi e del comportamentismo: una lotta che al giorno d’oggi non interessa più nessuno, dal momento che i due movimenti allora imperanti hanno perso importanza in ambito scientifico, lacerati da divisioni interne e da una revisione critica delle loro teorie.

Quaranta anni dopo però, sulle ceneri della psicologia umanistica, è nata la psicologia positiva (Nicholson 2007). Ma questa è un’altra storia.

Dr. Giuliana Proietti

Giuliana Proietti psicologa


Fonti:

Duane P. Schultz, Sydney Ellen Schultz A history of modern psychology, Wadsworth, 2011
Wikipedia (Rogers, Maslow, psicologia umanistica)


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