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Anaïs Nin: una pioniera della letteratura erotica al femminile

Anaïs Nin: una pioniera della letteratura erotica al femminile

Anaïs Nin: una pioniera della letteratura erotica al femminile
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Anaïs Nin è molto conosciuta come scrittrice di letteratura erotica, ma pochi sanno che fu soprattutto una grande esploratrice dell’animo umano e che per qualche tempo praticò anche la professione di psicoanalista, dopo aver fatto la modella, la danzatrice, la scrittrice, la conferenziera. Conosciamola meglio.

Infanzia e Formazione

Anaïs Nin, nata Angela Anaïs Juana Antolina Rosa Edelmira Nin y Culmell il 21 febbraio 1903 a Neuilly-sur-Seine, era figlia di Joaquin Nin, compositore e pianista cubano di origine catalana, e di Rosa Culmell, cantante, di origine franco-danese. La Nin passò la sua infanzia in varie parti d’Europa, fino a che suo padre, quando lei aveva 11 anni, decise di abbandonare la famiglia per seguire una donna più giovane. Rosa prese allora Anaïs ed i suoi due fratelli più piccoli, Thorvald di 9 anni e Joaquin di 6, e partirono tutti per New York.

Durante il lungo viaggio, Anaïs scoprì per la prima volta la passione per la scrittura. Scriveva infatti nel diario: “Voglio descriverti, papà caro, ciò che sto vedendo durante questo stupendo viaggio. Potrò così avere l’illusione che tu sia qui con me e che tu stia guardando le cose coi miei occhi”.

In realtà suo padre era ormai definitivamente uscito dalla sua vita, salvo qualche fugace incontro successivo, che comunque non colmò la sua ossessiva ricerca di una figura paterna, che si portò dietro per tutta la vita, così come la passione per la scrittura, un’abitudine che le permetteva di annotare, con minuzia e introspezione, le sue esperienze personali, le sue emozioni e le sue riflessioni.

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L’America

Anaïs, giunta in America, lavorò come modella, studiò danza spagnola e visse con sua madre ed i suoi fratelli fino al giorno delle nozze. Il fortunato sposo era Hugo Guiler. Le nozze furono celebrate nel 1923, quando Anaïs aveva venti anni.

Con il marito la futura scrittrice rimase in America per 12 anni, prima di fare ritorno a Parigi. Fu un matrimonio pieno di infedeltà, perché Anaïs sentiva il bisogno di conquistare molti uomini, dopo aver perso l’uomo più importante della sua vita, suo padre. “Se mio padre se n’è andato … se non mi amava, dev’essere perché non ero amabile…come cortigiana avevo già assaggiato il fallimento, dovevo trovare altri modi per interessare gli uomini”.

Hugo era un bancario, ma aveva l’hobby della regia ed era, in questa attività, abbastanza apprezzato, anche se si firmava con uno pseudonimo.

Nel 1931 Anaïs pubblicò il suo primo libro: “D. H. Lawrence”, che le conferì il riconoscimento pubblico come scrittrice.

Anaïs scriveva sui treni, ai tavolini dei caffè, mentre aspettava qualcuno per un appuntamento: come un talismano, portava sempre il diario con sé, come per avere la sua vita sotto braccio.

“Questo diario è il mio kief, il mio hashish, la mia pipa d’oppio. E’ la mia droga e il mio vizio. Invece di scrivere un romanzo, mi sdraio con questo libro e una penna e indulgo in rifrazioni e diffrazioni.”

Parigi

Negli anni ’30, Anaïs Nin si trasferì a Parigi, dove divenne una figura centrale nel vivace ambiente artistico e letterario della città. Lì, conobbe e instaurò relazioni con molti scrittori e artisti influenti, tra cui Henry Miller, con il quale ebbe una lunga e intensa relazione sia personale che professionale.

Henry Miller aveva quaranta anni e scriveva romanzi, ma non aveva ancora raggiunto il successo. Così scrive la Nin di lui nel Diario:

“Ho conosciuto Henry Miller. E’ venuto a colazione con Richard Osborn, un avvocato che avevo dovuto consultare a proposito del contratto per il mio libro su D. H. Lawrence. Mi è piaciuto subito, non appena l’ho visto scendere dalla macchina e mi è venuto incontro sulla porta dove lo stavo aspettando. La sua scrittura è ardita, virile, animale, magnifica. E’ un uomo la cui vita inebria, pensai. E’ come me. Era caldo, allegro, disteso, naturale. Sarebbe passato inosservato in una folla. Era snello, magro, non molto alto. Ha occhi azzurri, freddi e attenti, ma la sua bocca rivela emotiva vulnerabilità”.

Con Miller la Nin intrecciò una relazione che sfociò in un triangolo amoroso quando giunse a Parigi la moglie di Miller, June.

La Nin scrisse di lei : “era la donna più bella che avessi mai visto“.

Di questa storia si parla nel primo diario, quello fra il 1931 ed il 1934, anche se in un primo momento furono tolte tutte le vicende più scabrose. Il suo secondo diario, che va dal 1934 al 1939, si apre invece con l’arrivo dell’autrice nella Grande Mela, dove Otto Rank l’aveva chiamata per aiutarlo nel suo lavoro di psicoanalista.

La Nin, a Parigi, si era infatti sottoposta ad una analisi con Otto Rank, uno fra i primi discepoli di Freud, con il quale aveva poi intrapreso una relazione. La carriera di psicoanalista fu brevissima, perché Anaïs sentiva di confondersi troppo con le sofferenze dei pazienti e questo non le piaceva.

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Seconda guerra mondiale

Tornò in Francia, ma poco dopo scoppiò la seconda guerra mondiale ed Anaïs Nin fu costretta a ripartire per New York, questa volta non per amore dei viaggi e dell’avventura, ma in fuga, con immenso senso di smarrimento. Gli anni Quaranta a New York non furono inizialmente facili per la scrittrice e di essi possiamo sapere leggendo il suo terzo diario, che si conclude nel 1944, quando la Nin pubblicò Sotto una campana di vetro.

Letteratura erotica

Era ormai una scrittrice nota ed ammirata negli Stati Uniti. In quegli anni le capitò un fatto piuttosto strano: un collezionista di libri aveva offerto ad Henry Miller cento dollari al mese per scrivere racconti erotici. Miller aveva accettato per bisogno di denaro e, allegramente, inventava storie piccanti sulle quali rideva insieme ad Anaïs.

Dopo un po’ però ne ebbe abbastanza, per cui propose all’amica di scrivere anche lei qualcosa.

Anaïs cominciò, ma il collezionista le fece sapere: “Va bene. Ma lasci perdere la poesia e le descrizioni di tutto quello che non è sesso. Si concentri sul sesso.”

Così – racconta la scrittrice – incominciai a scrivere ironicamente, divenendo così improbabile, bizzarra ed esagerata, che pensai che il vecchio si sarebbe accorto che stavo facendo una caricatura della sessualità. Ma non ci fu nessuna protesta.

Passava i giorni in biblioteca a studiare il Kama Sutra, ascoltava le avventure più spinte degli amici.

“Meno poesia,” diceva la voce al telefono, “Sia specifica”.

Anaïs si rivolgeva agli amici per trovare spunti, ma più erano condannati ad insistere solo sulla sensualità, più creavano poesia.

Racconta la Nin a questo proposito che scrivere pornografia era diventata una strada verso la santità invece che verso la dissolutezza. Gli amici Harvey Breit, Robert Duncan, George Barker, Caresse Crosby, si sedevano in cerchio, cercando di immaginare storie per questo vecchio, e detestandolo, perché impediva loro di operare una fusione tra sessualità e sentimento, sensualità ed emozione.

Un giorno Anaïs scrisse al collezionista:

“Caro collezionista, noi la odiamo. II sesso perde ogni potere quando diventa esplicito, meccanico, ripetuto, quando diventa un’ossessione meccanicistica. Diventa una noia. Lei ci ha insegnato più di chiunque altro quanto sia sbagliato non mescolarlo all’emozione, all’appetito, al desiderio, alla lussuria, al caso, ai capricci, ai legami personali, a relazioni più profonde che ne cambiano il colore, il sapore, i ritmi, l’intensità.

Lei non sa cosa si perde con il suo esame al microscopio dell’attività sessuale, con l’esclusione degli aspetti che sono il carburante che la infiamma. Componenti intellettuali, fantasiose, romantiche, emotive. Questo è quel che conferisce al sesso la sua struttura sorprendente, le sue trasformazioni sottili, i suoi elementi afrodisiaci. Lei sta rimpicciolendo il mondo delle sue sensazioni. Lo sta facendo appassire, morir di fame, ne sta prosciugando il sangue. Se lei nutrisse la sua vita sessuale con tutte le emozioni e le avventure che l’amore inietta nella sessualità, sarebbe l’uomo più potente del mondo. La fonte del potere sessuale è la curiosità, la passione.

Lei sta lì a guardare questa fiammella morire d’asfissia. Il sesso non prospera nella monotonia. Senza sentimento, invenzioni, stati d’animo, non ci sono sorprese a letto. Il sesso deve essere innaffiato di lacrime, di risate, di parole, di promesse, di scenate, di gelosia, di tutte le spezie della paura, di viaggi all’estero, di facce nuove, di romanzi, di racconti, di sogni, di fantasia, di musica, di danza, di oppio, di vino.

Quanto perde con questo periscopio sulla punta del pisello, quando invece potrebbe godersi un harem di meraviglie tutte diverse e mai ripetute! Non due peli uguali. Ma lei non ci permetterà di sprecar parole sui peli; neanche due odori, ma se ci dilunghiamo su questo argomento, lei si mette a gridare: Lasciate perdere la poesia. Neanche due pelli con lo stesso incarnato, e mai la stessa luce, la stessa temperatura, le stesse ombre, mai gli stessi gesti; perché un amante, quando è infiammato d’amore vero, può esprimere i toni più sottili di secoli di arte amatoria. Quante sfumature, quanti cambiamenti d’età, variazioni di maturità e innocenza, perversità e arte…

Siamo rimasti seduti per ore a chiederci che aspetto lei abbia. Se ha reso i sensi indifferenti alla seta, alla luce, al colore, all’odore, al carattere, al temperamento, a questo punto dev’essere completamente avvizzito. Ci sono tanti sensi minori, che si buttano come tanti affluenti nel fiume del sesso, arricchendolo. Solo il battito unito del sesso e del cuore può creare l’estasi.”

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Altre relazioni, altri Diari

Oltre alla sua relazione con Henry Miller, la Nin fu sposata con Hugh Parker Guiler, un banchiere e artista, per gran parte della sua vita. Tuttavia, mantenne anche una relazione parallela con Rupert Pole, un attore più giovane, con il quale visse a Los Angeles negli ultimi anni della sua vita. La complessità delle sue relazioni personali e il suo rifiuto delle convenzioni sociali si riflettono spesso nelle sue pagine di diario. Nel quarto, che va dal 1944 al 1947, la scrittrice parla di personaggi come Dalì, Gore Vidal, Martha Graham e Andé Breton, ma anche dell’ottusità, del grigiore delle persone che incontrava, che non sapevano cosa fosse la gioia, la serenità, la musica, che erano fatte d’acciaio e cemento, o ridotte a cavallo da soma.

Tra il 1947 ed il 1955 la Nin visse tra New York ed il Messico e sperimentò anche l’LSD, che però non la entusiasmò; questo è il periodo descritto nel quinto diario. L’ultimo diario, il sesto, dura fino al 1966, quando avvenne la prima pubblicazione di questa dettagliatissima storia di vita e fu un grande successo editoriale per la Nin (che aveva allora 63 anni!)

Per rispettare la privacy delle tante persone citate però, ciò che fu pubblicato era solo una minima parte dell’opera completa dei diari, che consta in realtà di 150 volumi, 35.000 pagine, custoditi attualmente allo Special Collections Department della UCLA (e curate dall’Anaïs Nin Trust).

I diari sono ricchi di dialoghi, osservazioni, interventi critici e commenti, sulle persone, la politica, la letteratura, i viaggi, oltre che sulle sue vicende personali. Il mondo attraverso gli scritti di Anaïs è un mondo ricco di fascino e di meraviglia: anche le piccole cose, le persone più insignificanti vengono descritte con amore e profondità, ma soprattutto con curiosità.

Una vita intensa e profondamente vissuta, quella della Nin, che a questo proposito diceva: “La vita ordinaria non mi interessa. Cerco solo i grandi momenti… Voglio essere una scrittrice che ricorda agli altri che questi momenti esistono”.

Nel 1973 la Nin ricevette una laurea ad honorem dal Philadelphia College of Art; nel 1974 fu eletta al National Institute of Arts and Letters.

Morte

Anaïs Nin morì di cancro il 14 gennaio 1977 a Los Angeles, California, assistita da Rupert Pole.

Postumo uscì la raccolta di racconti erotici Il Delta di Venere.

Dopo la sua morte, i suoi diari continuarono a essere pubblicati, rivelando ulteriori dettagli della sua vita e del suo pensiero.

Perché la ricordiamo

La Nin è ricordata non solo come una pioniera della letteratura erotica, ma anche come una delle prime autrici a esplorare la psiche femminile in modo così dettagliato e aperto.

La sua opera ha avuto una grande influenza su generazioni successive di scrittori e lettori, grazie alla sua capacità di unire l’introspezione personale con una prosa ricca e poetica.

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In presenza riceve a Ancona Fabriano Civitanova Marche e Terni.

  • Delegata del Centro Italiano di Sessuologia per la Regione Umbria
  • Membro del Comitato Scientifico della Federazione Italiana di Sessuologia.

Oltre al lavoro clinico, ha dedicato la sua carriera professionale alla divulgazione del sapere psicologico e sessuologico nei diversi siti che cura online, nei libri pubblicati, e nelle iniziative pubbliche che organizza e a cui partecipa.

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  • 14 Giu 2024
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Madre Teresa: una fama meritata?

Madre Teresa: una fama meritata?

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In uno studio di Serge Larivée e Genevieve Chenard dell’Università di Montreal e di Carole Sénéchal dell’Università di Ottawa, il mito di altruismo e di generosità che circonda Madre Teresa appare completamente fuori luogo. Il documento, pubblicato su Studies in Religion/Sciences religieuses è un’analisi degli scritti pubblicati su Madre Teresa, a cominciare da quelli del giornalista e scrittore Christopher Hitchens, autore del libro The Missionary Position: Mother Teresa in Theory and Practice, il libro-rivelazione sulla figura della missionaria.

La conclusione dei ricercatori è che la sacra immagine di Madre Teresa non regge all’analisi dei fatti: a loro parere si tratta di un mito costruito a tavolino e la sua beatificazione semplicemente l’effetto di una efficace campagna di relazioni con i media.

Il professor Larivée, che ha guidato la ricerca, racconta come è nata l’idea di condurre lo studio: “Mentre cercava di documentarsi sul fenomeno dell’altruismo per un seminario sull’etica, uno di noi ha ‘inciampato’ sulla vita e l’opera di una delle donne più celebri della Chiesa cattolica e ora parte del nostro immaginario collettivo: Madre Teresa, il cui vero nome era Agnes Gonxha. La descrizione era così entusiasta che ha suscitato la nostra curiosità e ci ha spinto a ulteriori ricerche”.

I tre ricercatori hanno raccolto 502 documenti sulla vita e l’opera di Madre Teresa. Dopo aver eliminato 195 doppioni, essi hanno consultato 287 documenti per condurre le loro analisi, cioè il 96% della letteratura esistente sulla fondatrice dell’Ordine delle Missionarie della Carità (OMC).

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Nell’articolo, Serge Larivée e i suoi colleghi citano anche una serie di episodi di cui il Vaticano non ha tenuto conto nel processo di beatificazione di Madre Teresa, come ad esempio “il suo modo piuttosto discutibile di curare i malati, i suoi contatti politici discutibili, la gestione sospetta delle enormi somme di denaro ricevute, e le sue opinioni troppo dogmatiche per quanto riguarda, in particolare, l’aborto, la contraccezione e il divorzio”.

Al momento della sua morte, Madre Teresa aveva aperto 517 missioni di accoglienza per i poveri e i malati in più di 100 Paesi. Le missioni sono state descritte come “case per i morenti” da parte dei medici in visita ad alcuni di questi edifici a Calcutta. Due terzi delle persone che arrivavano in queste missioni speravano di trovare un medico che li curasse, mentre l’altro terzo andava lì semplicemente a morire, senza ricevere cure adeguate.

I medici hanno osservato condizioni igieniche non idonee, così come una carenza di effettive cure, scarsità di cibo e mancato uso di antidolorifici. Il problema non era la mancanza di denaro della Fondazione creata da Madre Teresa, che aveva raccolto centinaia di milioni di dollari, ma piuttosto una particolare concezione della sofferenza e della morte. Viene citata la risposta che Madre Teresa dette al giornalista Christopher Hitchens: “C’è qualcosa di bello nel vedere i poveri accettare il loro destino, soffrire come nella Passione di Cristo. il mondo guadagna molto dalla loro sofferenza”  Tuttavia, ricordano i ricercatori, quando Madre Teresa chiese le cure palliative, le ricevette in un moderno ospedale americano.

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Madre Teresa è stata generosa con le sue preghiere, ma piuttosto avara con i milioni della sua fondazione quando si trattava di lenire la sofferenza dell’umanità. Durante numerose inondazioni in India o in seguito alla esplosione di una fabbrica di pesticidi a Bhopal, la suora offrì numerose preghiere e medaglioni della Vergine Maria, ma non  aiuti diretti, o aiuti economici. D’altra parte, non mostrò di avere scrupoli nell’accettare la Legion d’Onore e una borsa di studio dal dittatore Duvalier ad Haiti. Milioni di dollari sono stati trasferiti sui conti della MCO, anche se la maggior parte di questi conti sono stati tenuti segreti, dice ancora Larivée. “Data la gestione parsimoniosa delle opere di Madre Teresa, ci si potrebbe chiedere dove siano finiti i milioni di dollari per i più poveri tra i poveri”.

Nonostante questi fatti inquietanti, come ha fatto Madre Teresa a costruire un’immagine di santità e di bontà infinita? Secondo i tre ricercatori, l’incontro che Madre Teresa ebbe a Londra, nel 1968, con Malcolm Muggeridge, un giornalista anti-aborto della BBC  che condivideva i suoi stessi valori cattolici conservatori, è stato fondamentale. Muggeridge decise di promuovere l’opera di Madre Teresa, aprendole la strada dei mezzi di comunicazione di massa. Il giornalista scrisse un libro su Madre Teresa, Something Beautiful for God e le dedicò un documentario.

In seguito, Madre Teresa viaggiò in tutto il mondo e ricevette numerosi premi, tra cui il Premio Nobel per la Pace. Nel suo discorso di accettazione, parlando delle donne bosniache stuprate dai serbi che volevano abortire, Madre Teresa disse: «La pace oggi è minacciata dall’aborto, che è una guerra diretta, un’uccisione compiuta dalla stessa madre. Anche il bambino non ancora nato è nelle mani di Dio. L’aborto è il peggior male e il peggior distruttore della pace. Noi non ci saremmo se i nostri genitori non ci avessero voluto. I nostri bambini li abbiamo desiderati e li amiamo. Ma che ne è degli altri milioni? Molti si preoccupano dei bambini dell’India e dell’Africa, che muoiono di fame e malattie, ma milioni muoiono per espressa volontà delle madri. L’aborto distrugge la pace: se una madre può uccidere il proprio bambino, che cosa impedisce a me di uccidere voi e a voi di uccidere me? Niente».

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Dopo la sua morte, il Vaticano decise di rinunciare al consueto periodo di cinque anni di attesa per aprire il processo di beatificazione. Il miracolo attribuito a Madre Teresa fu la guarigione di una donna, Monica Besra, che era stata colpita da un intenso dolore addominale. La donna testimoniò di essere guarita dopo aver ricevuto un medaglione benedetto da Madre Teresa, che fu appoggiato sul suo addome. I medici la pensavano diversamente: la cisti ovarica e la tubercolosi di cui soffriva la donna furono guariti dai farmaci che le avevano somministrato. Il Vaticano, tuttavia, concluse che si trattava di un miracolo.

La popolarità di Madre Teresa era tale che la missionaria era ormai diventata intoccabile per la popolazione, che la considerava già una santa. “Che cosa c’è di meglio della beatificazione seguita dalla canonizzazione di questo modello per rivitalizzare la Chiesa e ispirare i fedeli, soprattutto in un momento in cui le chiese sono vuote e l’autorità romana è in declino?” Larivé e colleghi si chiedono.

Nonostante il modo “discutibile” con il quale Madre Teresa si prendeva cura dei malati , glorificando la loro sofferenza, invece che alleviarla, Serge Larivée e i suoi colleghi sottolineano l’effetto positivo del mito di Madre Teresa: “Se l’immagine straordinaria di Madre Teresa trasportata nell’immaginario collettivo ha incoraggiato iniziative umanitarie che sono veramente a favore di coloro che vivono in estrema povertà, non possiamo che gioirne. E ‘ probabile che lei abbia ispirato molti operatori umanitari, le cui azioni hanno veramente alleviato le sofferenze dei poveri e affrontato le cause della povertà e dell’isolamento, senza essere esaltati dal mezzi di comunicazione. Tuttavia, la copertura mediatica di Madre Teresa avrebbe potuto essere un po’ più rigorosa “.

Fonte:

Mother Teresa: Anything but a saint… Eurekalert

A mio parere sbagliata è l’idea che vi possano essere delle persone completamente buone o completamente cattive e Madre Teresa non fa eccezione. Fu sicuramente una grande donna, probabilmente non fu una Santa. La cosa cambia completamente la storia?

Dr. Giuliana Proietti

Intervento del 14-09-2024 su Sessualità e Terza Età
Dr. Giuliana Proietti

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Link:

Madre Teresa di Calcutta. Ciò che di oscuro non è mai stato detto, ArticoloTre

Immagine:

Madre Teresa, Wikimedia

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Giuliana Proietti
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  • 4 Mar 2013
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Bruno Bettelheim: lo strano caso del Dr. B

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Bruno Bettelheim: lo strano caso del Dr. B


Bruno Bettelheim, classe 1903, fu uno psichiatra e psicoanalista statunitense di origine austriaca.

A pochi anni dalla sua morte, nel 1990, la reputazione di Bruno Bettelheim, il venerato sopravvissuto dei campi di sterminio, il capo della famosa Sonia Shankman Orthogenic School, per bambini problematici, presso l’Università di Chicago, il formidabile educatore e autore di numerosi best sellers internazionali,  cadde inesorabilmente nel fango.

Fu così che Bruno Bettelheim, per quaranta anni considerato dal grande pubblico come uno dei più importanti e influenti psicoanalisti, un erede della psicoanalisi viennese, un allievo degli allievi di Freud, divenne improvvisamente un ciarlatano e un impostore.

Per comprendere il perché di un cambiamento così radicale e improvviso nella percezione di un uomo in precedenza tanto famoso e ammirato dobbiamo partire dalla sua biografia ufficiale, quella dei libri di testo di psicologia, per poi dare voce ai suoi detrattori.

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La biografia ufficiale

Bettelheim nacque a Vienna, dove svolse gli studi universitari e si laureò nel 1938. Era il tempo del grande successo di Sigmund Freud e della psicoanalisi ma poi, purtroppo, anche del Nazismo. Il destino di Bettelheim seguì la sorte di molti dei suoi correligionari ed infatti nel 1938 fu fatto prigioniero e portato nei campi di concentramento di Dachau e Buchenwald.

Nel 1939, in circostanze che non sono ancora del tutto chiare, lo psicoanalista riuscì a fuggire negli Stati Uniti, dove cinque anni dopo ottenne la cittadinanza americana.

Nel 1941 Bettelheim sposò, in seconde nozze, Trude Weinfeld, un’insegnante di cui si era innamorato prima di essere fatto prigioniero, e la coppia ebbe tre figli. Tranne che per i primi due anni, trascorsi presso il Rockford College nell’Illinois, lo psicoanalista lavorò all’Università di Chicago dove, nel 1963, ottenne anche una cattedra di psicologia e psichiatria. Presso la stessa Università si occupò di psicologia dell’età evolutiva e, in particolare, di autismo infantile, dirigendo per oltre trent’anni la Orthogenic School, Istituto residenziale per bambini psicotici dell’Università di Chicago.

Nel 1944 divenne il Direttore dell’Istituto e in libri come “Love Is Not Enough” (1950) e Truants from Life (1955), Bettelheim descrisse i sistemi educativi della scuola e la filosofia terapeutica, da lui stesso elaborata.

Queste teorie sono spiegate, con aggiunta di casi clinici, in “The Empty Fortress: Infantile Autism and the Birth of the Self” (La fortezza vuota. L’autismo infantile e la nascita del sé – 1967). Egli vedeva il comportamento dei bambini psicotici e autistici come il risultato di genitori troppo apprensivi in alcuni stadi delicati dello sviluppo psichico. I bambini, che tendono naturalmente a ritenersi responsabili di ciò che preoccupa i loro genitori, finiscono per ritirarsi in un mondo fantastico, allo scopo di prevenire un comportamento distruttivo e autodistruttivo.

Bettelheim paragonava questa deumanizzazione distruttiva del bambino a quanto aveva potuto osservare nei comportamenti tenuti dai nazisti nei campi di concentramento sui prigionieri. A seguito delle sue esperienze di detenzione, descritte nel libro The Informed Heart (Il cuore vigile, autonomia individuale e società di massa – 1960),  aveva elaborato un metodo di trattamento che consisteva nell’accettazione incondizionata di tutti i comportamenti spontanei del bambino, da parte del personale della scuola.

Sin dall’inizio la sua impostazione teorica e clinica fu criticata: ad esempio non veniva accettata la teoria di Bettelheim per cui bambini autistici  e bambini che presentano disturbi emotivi dovessero essere considerati  allo stesso modo.

Ritenendo che l’ansia fosse un elemento importante per la nascita della psicosi del bambino, Bettelheim trattò i bambini con disturbi comportamentali della Scuola Orthogenica costruendo per loro un ambiente rassicurante, materiale ed affettivo, che considerava il primo passo necessario, prima di mettere in atto qualsiasi tentativo di comprendere le cause della psicosi. Un ambiente sano e delle esperienze di vita in grado di ridurre l’isolamento emotivo del bambino potevano essere la chiave per ottenere un corretto sviluppo psicofisico.

Tra i suoi libri tradotti in italiano, che sono ancora dei best sellers, ricordiamo: L’amore non basta (1950); La fortezza vuota (1976); I figli del sogno (1977); Il mondo incantato (1977); Sopravvivere (1981); Imparare a leggere (1989); La Vienna di Freud (1990).

Relazione La sessualità femminile fra sapere e potere

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Convegno Diventare Donne
18 Marzo 2023, Castelferretti Ancona
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Frasi celebri

Bettelheim viene molto citato anche per le sue frasi celebri. Famosa quella del “mai dire mai”: nessuno dovrebbe dire “non farò mai quella cosa”. Il nostro comportamento infatti è dettato più dalle circostanze che dalla nostra personalità. Dopo l’esperienza dei campi di concentramento, lo psicologo austriaco arrivò a concludere che i comportamenti più imprevedibili possono manifestarsi quando le circostanze diventano eccezionali.

E’ l’ambiente che determina il comportamento: di conseguenza, se un ambiente organizzato può distruggere una personalità, deve essere possibile ricostruire l’essere umano a partire da un ambiente completamente positivo.

Libri

Il suo maggiore successo editoriale è “Il mondo incantato”, un’opera nella quale l’autore descrive le più belle e conosciute favole per bambini: da Hänsel e Gretel a Cappuccetto Rosso, da Biancaneve alla Bella Addormentata nel Bosco. Le fiabe, secondo Bettelheim, catturano l’attenzione dei bambini, li divertono, suscitano il loro interesse e stimolano la loro attenzione: è questo dunque il migliore mezzo che hanno gli educatori per comunicare con i bambini, per trasmettere loro dei messaggi positivi.

Relazione fra sesso e cibo

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Il suo biografo, Richard Pollack

Richard Pollack, anch’egli di origine ebraica, nel 1997 pubblicò un libro sullo psicologo viennese, dal titolo The Creation of Dr. B. (stranamente non ancora pubblicato in italiano). La motivazione che portò Pollack a scrivere una biografia al veleno su Bettelheim, circostanziata e lunga quasi 500 pagine,  dipese da un fatto strettamente personale che riguardava Stephen Pollack, suo fratello.

Questo ragazzo fu internato nella scuola di Bettelheim, con la diagnosi di autismo, per cinque anni.  Un giorno, all’età di quattordici anni, durante una vacanza da scuola, Stephen ebbe un incidente domestico, (che coinvolse anche Richard), nel quale morì.

Quando, da adulto, Richard chiese a Bettelheim di parlare del caso di suo fratello, si sentì rispondere queste parole:

“La madre, i genitori, la famiglia, voi tutti ne siete i responsabili.”

Lo psicoanalista, infatti, era convinto che Stephen si fosse volontariamente suicidato.

Tra l’altro, Bettelheim definì il padre del suo assistito, il Signor Pollack senior, come un inetto, utilizzando il termine yiddish ”schlemiel”, e la madre come una “falsa martire”, che aveva la colpa di aver rifiutato questo figlio alla nascita. Come si può capire questo colloquio sconvolse profondamente la vita di Richard, che trascorse anni e anni a documentarsi e ad indagare.

Secondo Pollak, Bettelheim aveva raccontato di se stesso non tutto quello che aveva effettivamente fatto nella realtà, ma quello che avrebbe desiderato fare: incontrare Freud, portare dei bambini autistici a casa sua, prendere degli attestati dall’Università di Vienna, combattere per liberare Vienna dai nazisti, resistere ai maltrattamenti dei nazisti nei campi di concentramento ed essere salvato da questi attraverso la mediazione, niente meno, di Eleanor Roosevelt, la moglie del Presidente degli Stati Uniti d’America.

Dopo essere emigrato negli Stati Uniti infatti, secondo Pollack, Bettelheim falsificò numerosi documenti accademici e fece della sua vita un mito.

Si vantava di aver conosciuto Freud e di aver frequentato la sua più ristretta cerchia, di aver lavorato su bambini autistici a Vienna, di aver intervistato 1.500 prigionieri nei campi di concentramento ecc. Portando avanti le sue indagini anche in biblioteche e archivi di Vienna, Amsterdam, Dachau, Buchenwald e negli Stati Uniti d’America, intervistando più di 100 persone, tra parenti ed altri che avevano dei rapporti con lui, confrontando i libri e gli articoli dello psicoanalista, Pollack racconta la sapiente creazione del mito del Dr. B. (come i collaboratori e gli studenti chiamavano il Dr. Bettelheim).

Bettelheim rifiutò di essere intervistato dal giornalista per questa biografia, ma Pollack poté intervistare due dei tre figli di Bettelheim, alcuni colleghi, i suoi editori, studenti ed amici: molti di loro hanno concordato sul fatto che ‘‘you couldn’t believe anything he said.” cioè era un bugiardo, non si poteva credere ad una sola parola di tutto quello che diceva.

Nella Orthogenic School, che diresse per trent’anni, il Dr. B. si vantava di aver curato ‘centinaia’ di bambini autistici riuscendo ad ottenerne la guarigione nell’85% dei casi. Pollack dimostra con dovizia di particolari che le cose non andarono esattamente così.

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Ecco cosa come Pollack (qui in ampia sintesi) descrive la biografia di Bruno Bettelheim:

Nipote e figlio di ricchi commercianti ebrei di legname, dopo la morte del padre, causata dalla sifilide, B.B. fu costretto ad interrompere i suoi studi di letteratura e storia dell’arte per dedicarsi al mestiere di famiglia.

La madre era una donna fredda e anaffettiva.

Bruno aveva allora solo 23 anni: la morte del padre fu un grave colpo per lui, in quanto gli impedì di riuscire ad integrarsi pienamente nell’élite intellettuale che frequentava a Vienna.

Si laureò con 12 anni di studi fuori corso, in Storia, studiando soprattutto come autodidatta. Prima di essere arrestato dai Nazisti, nel 1938, stava completando un dottorato in estetica (una branca della filosofia) che non fu mai portato a termine.

Catturato dai nazisti nel 1938, fu deportato a Dachau e poi Buchenwald, dove fu rilasciato nella primavera del 1939 grazie a tangenti pagate dalla madre e da parenti della moglie, emigrati negli Stati Uniti.

Entrando nel porto di New York, avrebbe detto: “si apre una nuova vita per me” ed infatti è lì che, secondo Pollack, sfruttando gli sconvolgimenti prodotti dalla Seconda guerra mondiale, Bettelheim riuscì a ricostruire la sua storia, e perfino a renderla un mito.

Bettelheim non era un uomo particolarmente attraente, ma era estremamente abile nell’uso del linguaggio, considerato seducente da molte donne e invidiato da molti uomini.

In America lo psicoanalista avrebbe trascorso la sua vita sviluppando teorie senza fondamento, affermando risultati non verificabili, attraverso il plagio di altri autori.

Secondo Pollak, oltre ad inventarsi titoli accademici che non aveva, oltre a citare un tirocinio per diventare analista che non aveva mai frequentato, Bruno Bettelheim era arrivato perfino a sostenere che Freud (che non aveva mai conosciuto) avesse detto un giorno di lui: “questa è esattamente la persona giusta di cui abbiamo bisogno per far crescere e sviluppare la psicoanalisi”.

In America, a quel tempo, nessuno avrebbe messo in dubbio quanto diceva uno psicoanalista ebreo-viennese scappato dai campi di concentramento; con il suo accento viennese, i continui riferimenti a Freud, la sua abitudine di interpretare i sogni dei suoi allievi, i loro ricordi, ecc… Chi poteva dubitare del Dr. B.?

Dosando sottilmente seduzione e provocazione, grazie al mondo mediatico che subiva il suo fascino e il suo talento di ‘fine dicitore’, svicolando abilmente dalle critiche del mondo scientifico, che comunque non raggiungevano il grande pubblico, Bettelheim aveva gettato l’anatema sui gruppi vulnerabili, come gli ebrei sotto il nazismo, sui prigionieri dei campi di concentramento, sulle madri dei bambini autistici, sui giovani pacifisti.

I bambini che Bettelheim aveva definito ‘psicotici‘ erano dei bambini con disturbi del comportamento, o provenienti da ambienti sociali e familiari disagiati. Di bambini autistici veri e propri, secondo le ricerche di Pollack, in quell’istituto diretto dal Dr. B., ve ne furono veramente pochi.

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Bettelheim era, dalle testimonianze raccolte, una sorta di sovrano assoluto del suo Istituto, dove i soli neri ammessi erano i domestici. Quanto ai collaboratori, per Pollack il Dr. B faceva di tutto per destabilizzare il loro equilibrio psicologico, per meglio manipolarli. Era, sembra, un direttore autoritario, aggressivo e persino violento con i bambini che non gli obbedivano; alla sbandierata assenza di regole di autorità, si opponeva nel privato uno stile direttivo molto acceso che prevedeva come sanzioni al mancato rispetto delle regole perfino l’umiliazione e la violenza fisica.

Un metodo di punizione era ad esempio far spogliare un paziente ed imporgli di farsi la doccia di fronte ad altre persone.
Ciò nonostante, rileva Pollack, Bettelheim riuscì a diventare un punto di riferimento: le sue teorie portarono una generazione di genitori ed operatori a colpevolizzare i genitori dei bambini autistici e a considerare ‘autistici’ anche bambini che vivevano semplicemente nel disagio, millantando poi un numero incredibile di ‘guarigioni’.

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Nel 1943 nell’articolo ”Individual and Mass Behavior in Extreme Situations,” Bettelheim se l’era presa con i prigionieri ebrei, i quali, a suo dire, combattevano l’un l’altro, come dei bambini, fantasticando e perfino emulando gli esempi dati dai Nazisti e comportandosi come degli strumenti in mano alla Gestapo. Questo documento attrasse, a suo tempo, l’attenzione critica di Meyer Schapiro, Dwight Macdonald, Dwight D. Eisenhower, Theodor Adorno e Max Horkheimer.

Secondo il biografo, le idee di Bettelheim, del tutto personali, sono state camuffate come il risultato di ricerche scientifiche condotte sul campo, su 1.500 prigionieri in cinque differenti baracche.

Altri dubbi di Richard Pollack:

  • Se Bettelheim aveva vissuto solamente in due baracche e per un tempo limitato, come aveva potuto condurre tutte le interviste che sosteneva di aver fatto ai suoi compagni di prigionia?
  • Patsy, la prima moglie, che Bettelheim aveva definito “autistica”. In seguito la storia della prima moglie autistica fu abbellita, spiegando che Patsy era solo una dei tanti ragazzi autistici che B. curava a Vienna, al proprio domicilio. Non era vero nulla, confuta Pollack: come poté dunque lavorare, per tanti anni, presso l’Istituto Ortogenico?
  • Come fece a pubblicare ”The Uses of Enchantment‘ (in italiano “il mondo incantato”), visto che era un libro in gran parte ricopiato da un testo del 1963, dal titolo ”A Psychiatric Study of Fairy Tales: Their Origin, Meaning and Usefulness,” di Julius Heuscher?

La morte

Nella biografia ufficiale si evita di parlare della morte dello psicoanalista, che avvenne pochi mesi dopo la morte della moglie, il 12 marzo 1990. Bettelheim, già sofferente di diversi problemi di salute (aveva 86 anni), si ubriacò di whisky e assunse una grande quantità di psicofarmaci per trovare il coraggio di suicidarsi per asfissia, chiudendosi la testa in un sacchetto di plastica. Per i suoi detrattori, fra cui ovviamente Pollack, questo suicidio rimane la prova dell’esistenza di un secondo Dr. B., sconosciuto ai più.


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Conclusioni

Concludendo, il Dr. B. potrebbe essere stato un personaggio molto diverso da quello che viene descritto nelle biografie ufficiali e davvero pericoloso per le sue idee personali, con scarsi connotati scientifici.

Da quello che scrive Pollack non sembrerebbe essere stato neanche un esempio di saggezza e di onestà, ma del resto indagando nella vita di molte persone di successo potremmo trovare gli stessi scheletri nell’armadio, a partire dallo stesso Freud.

Dr. Giuliana Proietti

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La Dottoressa Giuliana Proietti, Psicoterapeuta Sessuologa di Ancona, ha una vasta esperienza pluriennale nel trattamento di singoli e coppie. Lavora prevalentemente online.
In presenza riceve a Ancona Fabriano Civitanova Marche e Terni.

  • Delegata del Centro Italiano di Sessuologia per la Regione Umbria
  • Membro del Comitato Scientifico della Federazione Italiana di Sessuologia.

Oltre al lavoro clinico, ha dedicato la sua carriera professionale alla divulgazione del sapere psicologico e sessuologico nei diversi siti che cura online, nei libri pubblicati, e nelle iniziative pubbliche che organizza e a cui partecipa.

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  • 24 Gen 2020
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Paul Popenoe l'eugenetica e la terapia di coppia

Paul Popenoe, l’eugenetica e la terapia di coppia

Paul Popenoe, l’eugenetica e la terapia di coppia


Paul Bowman Popenoe (1888-1979) è stato uno dei pionieri nel campo dell’eugenetica e della consulenza matrimoniale negli Stati Uniti. La sua influenza è stata significativa nel promuovere idee eugenetiche e nell’incoraggiare il miglioramento della razza umana attraverso pratiche selective di riproduzione. La sua vita e il suo lavoro continuano a essere oggetto di studio e dibattito nel contesto della storia della psicologia, della sociologia e dell’eugenetica.

In questo articolo ripercorriamo la vita e l’opera di questo molto criticato precursore della terapia di coppia.

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Paul Popenoe nacque il 16 ottobre 1888 a Topeka, nel Kansas, figlio di Marion Bowman e Frederick O. Popenoe, un pioniere dell’industria dell’avocado.

Paul crebbe in California, studiò brevemente a Stanford, dove ebbe modo di entrare in contatto con il mondo dell’eugenetica.

Lasciati gli studi, nel 1908 partì per viaggi all’estero (Medio Oriente e Nord Africa) volti alla selezione dei migliori datteri del mondo. Tornò in America con sedicimila campioni di datteri e, nel 1913, pubblicò il suo primo libro “La coltivazione del dattero nel vecchio e nel nuovo mondo”.

Subito dopo trovò impiego, come giornalista, per il  Journal of Heredity, diretta emanazione della Breeders Association (ora chiamata American Genetic Association), in cui restò fino al conflitto mondiale, che lo vide impegnato negli Army Sanitary Corps, nel dipartimento di igiene sociale (“controllo dei vizi e dei liquori”, il cui obiettivo era impedire ai soldati di indulgere in alcol e prostituzione).

Subito dopo la guerra, nel 1918, Popenoe pubblicò (con Roswell Hill Johnson ) un popolare libro di testo universitario sull’eugenetica ( Applied Eugenics), che delineava la sua visione di un programma di eugenetica basato principalmente sulla segregazione dell’ “umanità sprecata” presso istituzioni rurali, dove queste persone avrebbero potuto svolgere il loro lavoro manuale in modo gratuito, come forma di compenso per il costo della loro istituzionalizzazione.

Nel libro, Popenoe esprimeva il suo pensiero sui neri: “una conoscenza elementare della storia dell’Africa, o il più recente e molto citato esempio di Haiti, è sufficiente per dimostrare che il patrimonio sociale dei negri è ad un livello molto inferiore a quello dei bianchi, tra i quali vivono negli Stati Uniti… La razza negra è germinalmente priva degli sviluppi più elevati dell’intelligenza”.

Per un breve periodo fu a New York, dove lavorò per l‘American Social Hygiene Association, promuovendo l’astinenza prematrimoniale ed incontrò una giovane ballerina di nome Betty Stankovitch, con la quale si sposò nel 1920, dopo sei mesi di fidanzamento. Volendo sfuggire all’ambiente licenzioso della New York del dopoguerra, Popenoe e la moglie si trasferirono nella Coachella Valley, per coltivare datteri e cotone.


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Dopo sei anni difficili, abbandonarono il loro ranch nel deserto e si trasferirono a Pasadena, in California, dove Popenoe iniziò a lavorare per la Human Betterment Foundation, un’organizzazione che si occupava di sterilizzazione obbligatoria, fondata dall’eugenista e filantropo E.S. Gosney.

Negli anni ’20 Popenoe cominciò a interessarsi di matrimonio, riproduzione e familiare, pubblicando vari libri, fra cui Modern Marriage (1925), The Conservation of the Family (1926), Problems of Human Reproduction (1926), Sterilization for Human Betterment (1929), The Child’s Heredity (1929)The Practical Applications of Heredity(1930).

In questi libri l’autore osserva che la situazione demografica in America stava precipitando, a causa di un numero di celibi troppo elevato, di coppie non adeguate, di un numero eccessivo di divorzi, di famiglie senza figli, di mogli traditrici, di discordie coniugali, di perversioni, di delinquenza giovanile. La famiglia normale per lui era “quella in cui due adulti vivono insieme felicemente e danno alla luce un numero appropriato di bambini sani e intelligenti”. Questo era però vero solo per le famiglie di buon ceto sociale e di razza bianca: le famiglie di colore e immigrate avrebbero invece dovuto riprodursi il meno possibile.

Popenoe preferiva la sterilizzazione al controllo delle nascite, che considerava pericoloso: “La continua limitazione della prole nella razza bianca invita semplicemente le razze nere, marroni e gialle a finire il lavoro già iniziato dal controllo delle nascite, e ridurre i bianchi a una razza sottomessa, conservata solo per il bene della sua abilità tecnica, come erano i greci da parte dei romani”.

L’eugenista era profondamente disturbato dal disinteresse della maggior parte della cittadinanza americana sui temi da lui caldeggiati, così come dalla mancanza di una forte presa di posizione governativa su matrimoni, nascite e problematiche sessuali, appellandosi al “bene comune protoplasmatico”.

Nel 1930 dunque Popenoe decise di mettersi in proprio, con la sua prima “Marriage Clinic” di Los Angeles (grazie all’aiuto economico del filantropo E.S. Gosney) la quale poi cambiò nome, diventando l’American Institute of Family Relations.

Il desiderio sessuale nella donna infertile
Relazione presentata al Congresso Nazionale Aige/Fiss del 7-8 Marzo 2025 a Firenze. 

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L’obiettivo era quello di aiutare le persone a scegliere il partner giusto e poi sostenere e promuovere il loro matrimonio, per evitare il divorzio. Così ne parlava il fondatore: “un laboratorio umano dove i problemi del matrimonio possano essere classificati, studiati e risolti”. 

Negli Stati Uniti Popenoe fu il primo ad adottare formalmente il termine “consulente matrimoniale” e solo in seguito ammise di aver preso in prestito il concetto dagli scienziati tedeschi che avevano iniziato a istruire le coppie negli anni ’20 sull’impatto eugenetico o disgenico delle loro unioni sulla nazione (Eheberatunsstellen).

Nei primi tre anni di attività il centro si occupò di 5.000 casi. Nessuna coppia che aveva fatto un corso prematrimoniale con Popenoe aveva divorziato, e questo dette credibilità alla sua istituzione, tanto che, a partire dal 1932, ogni mese l’Istituto apriva un nuovo centro.

I problemi identificati erano molto vari: andavano dal litigio per motivi caratteriali al litigio per problemi sessuali, la tendenza a spendere troppo nella ricerca del piacere, avventure extra-coniugali, infezioni veneree, allontanamenti, sfruttamento economico del coniuge, tristezza cronica, ecc. Tutti coloro che erano infelici per una qualche ragione avevano ora un luogo dove rivolgersi per trovare consigli e comprensione.

L’80 per cento dei casi venivano portati dalle mogli, anche se le mogli non venivano affatto sostenute dai consulenti matrimoniali. Si pensi al caso della ragazza istruita, che non amava cucinare e preparava il pranzo utilizzando scatolette. Popenoe le disse che “pochi uomini sono interessati ad ascoltare brani tratti da un corso di filosofia; la maggior parte degli uomini preferisce del buon cibo a un discorso di economia da una moglie cui è capitato di laurearsi in Arte”.

Secondo Popenoe una delle cause di divorzio era, infatti, la maggiore istruzione della moglie rispetto al marito: gli uomini vogliono essere dominanti nel rapporto, per cui già aver preso un diploma di scuola superiore metteva una donna a rischio di non essere adatta al matrimonio.

In genere i consulenti dell’Istituto programmavano due o tre incontri con la coppia, massimo sei. A volte lavoravano sulla coppia anche vedendo un solo partner. Il fondatore dell’Istituto collaborava anche con gli psicologi, ma non voleva si pensasse che le sue cliniche fossero centri di psicologia: questo avrebbe automaticamente significato che i suoi clienti avevano delle tare mentali. A capo di ogni unità c’era dunque un ginecologo, anche se lo staff medico in realtà aveva poche richieste: il grosso della domanda era su come risolvere le crisi coniugali.

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Le coppie che cercavano counseling da Popenoe ricevevano una lunga lista di libri da leggere e dovevano patecipare a conferenze e discussioni sui seguenti argomenti:

– I valori personali sociali e eugenetici del matrimonio e della famiglia;

– La base biologica del matrimonio, le differenze fra i sessi e l’importanza di comprendere la differenza fisica mentale e emotiva per la promozione dell’accoppiamento di successo;

– La scelta del partner;

– Argomenti sulla famiglia in generale e in particolare la divisione del lavoro e dell’autorità, la gestione delle risorse economiche, l’uso del tempo libero le relazioni genitori-figli;

– Supposte alternative al matrimonio, comparate con la normale vita familiare, problemi psicologici nella relazione fra i partner prima del matrimonio;

– Cause delle difficoltà familiari e modi per evitarle.

Nella consulenza alle coppie, Popenoe sottolineava l’importanza del sesso, sottoscrivendo la convinzione che quasi “ogni caso di disarmonia coniugale” derivava da “disadattamento sessuale” e raccomandava ai mariti di determinare per tempo se la loro sposa era “frigida, normale o appassionata”

Il primo suggerimento rimaneva quello della prevenzione, della scelta del partner giusto: ad esempio,  suggeriva di non sposarsi con persone della costa del Pacifico, perché in quella zona il tasso dei divorzi era troppo elevato. Molto meglio scegliere una persona della media costa atlantica, dove le persone si mostravano più affidabili.

Nel servizio prematrimoniale offerto, venivano scoraggiati i fidanzati che  “non erano adatti al matrimonio”, anche attraverso l’uso di un test chiamato Johnson Temperament Analysis, ideato dal coautore di “Applied Eugenics” che consisteva in centottantadue domande, per valutare l’idoneità nuziale.

Nel 1934, Popenoe scrisse del libro di Hitler,  “Mein Kampf” lungamente e con ammirazione. “Lo stesso Hitler, sebbene scapolo, è stato a lungo un convinto sostenitore del miglioramento della razza attraverso misure eugenetiche”, osservava.

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Verso la metà degli anni ’40, l’entusiasmo nazista per l’eugenetica screditò completamente la disciplina. Popenoe non era più in grado di difendere direttamente i valori ereditari e i matrimoni eugenetici, per cui nascose le sue ideologie razziste dietro la facciata dei “valori familiari” e del miglioramento della vita di famiglia.

Negli anni ’50 Popenoe era ovunque. Fu ospite per oltre dieci anni nell’Art Linkletter’s TV show curò una rubrica che promuoveva il matrimonio e la vita familiare, Modern Marriage, un programma radiofonico, “Love and Marriage” e fu giudice in un programma televisivo,“Divorce Hearing”. Nei programmi televisivi, nelle conferenze, nei libri e  nei giornali, divulgò le sue vedute del mondo, che si basavano su temi razzisti, misogini, moralistici e pseudoscientifici.

Al culmine della sua carriera, co-fondò e diresse sulla rivista femminile Ladies’ Home Journal ‘ la colonna più popolare di tutti i tempi,  dal titolo: ‘Questo matrimonio può essere salvato?’ L’Istituto inoltre pubblicò per decenni un bollettino, “Family Life”, mensile o bimestrale.

Non resta difficile comprendere perché Poppenoe fu chiamato Mr. Marriage dal grande pubblico.

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Negli anni ’60,  il suo American Institute of Family Relations era cresciuto fino a diventare un’organizzazione gigantesca che formava centinaia di consulenti e forniva 15.000 consulenze all’anno. Era “il centro di consulenza matrimoniale più grande e conosciuto al mondo”, con uno staff di settanta persone.

Paul Popenoe si dimise da direttore dell’American Institute of Family Relations nel 1976 e morì tre anni dopo. Il figlio di Popenoe, David, rifiutò l’invito di suo padre a rilevare l’istituto. Negli anni Ottanta l’istituto fallì.

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  • 19 Feb 2021
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Isadora Duncan: la donna che ha inventato la danza moderna

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Isadora Duncan: la donna che ha inventato la danza moderna


Isadora Duncan (1877-1927) è considerata una delle pioniere della danza moderna, colei che ha rivoluzionato il mondo della danza sfidando le convenzioni artistiche dell’epoca e proponendo un nuovo linguaggio coreografico basato sulla libertà e sulla naturalezza dei movimenti. In questo articolo riassumiamo la sua biografia.

Infanzia e Adolescenza

Angela Isadora Duncan nacque a San Francisco il 26 maggio 1877. Da bambina crebbe in un ambiente familiare molto povero, ma anche molto creativo, nel quale si respirava una forte atmosfera artistica.

La madre, separata dal marito, aveva introdotto i suoi quattro figli (Isadora era la più piccola) alla musica classica, alla poesia, alla letteratura e all’arte.

Isadora iniziò a studiare danza e, durante l’adolescenza, si spostò frequentemente da Chicago a New York con alcuni membri della sua famiglia, esibendosi come ballerina in diverse produzioni, che però non ebbero grande successo, tipo Mme Pygmalion (la signora Pigmalione) o Midsummer’s Night Dream (Sogno di una notte di mezza estate).

Sin da piccola, la Duncan manifestò uno spirito libero e un’indole ribelle che si tradusse anche nella sua concezione della danza: rifiutava le rigide strutture della danza classica, percependo il balletto come costrittivo e innaturale. Iniziò così a sviluppare uno stile innovativo, che si rifaceva alle antiche danze greche e alla natura.

La sua carriera professionale iniziò nel 1896, a Chicago, quando incontrò il produttore Augustin Daly. Subito dopo Isadora si unì alla sua compagnia teatrale e cominciò a viaggiare in Europa.

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Trasferimento in Europa

Giunta a Londra, Isadora trovò un suo palcoscenico naturale esibendosi durante le feste private di persone piuttosto altolocate. Non passò molto tempo e il fenomeno di una giovane donna che danzava a piedi nudi, vestita in modo succinto come una ninfa dei boschi, cominciò a far affollare teatri e sale da concerto in tutta Europa.

Il suo successo fu enorme: i suoi spettacoli erano unici, caratterizzati dall’uso di tuniche leggere che evocavano l’Antica Grecia, con uno stile liberatorio che ispirò generazioni di artisti a considerare il corpo come un mezzo espressivo indipendente dalle convenzioni.

L’artista tornò negli Stati Uniti nel 1908 per fare delle tournées, ma le sue esibizioni non furono inizialmente apprezzate dai critici, che non accettavano la danza su basi musicali non appositamente create per il balletto. Questo difficile tour americano si concluse tuttavia con un crescente successo e, quando la Duncan tornò in Europa nel 1909, era famosa in tutto il mondo. 

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Scuole di danza

La Duncan aprì la sua prima scuola di danza a Grunewald, in Germania, nel 1904, scegliendo i suoi allievi dalle classi sociali più povere e mantenendoli completamente con le sue risorse, sia per quanto riguardava i loro bisogni materiali, sia per lo studio delle altre materie correlate alla danza (musica, arte, letteratura ecc.).

A questa scuola in Germania ne seguirono altre in Russia e a Parigi: i costi erano davvero rilevanti e per questo Isadora non poteva esimersi dal fare tournées per guadagnare i denari necessari al loro mantenimento, lasciando la sorella Elizabeth ad occuparsi delle scuole e degli allievi.

Perdita dei figli

La vita personale di Duncan fu segnata da molte tragedie. Sebbene non fosse una patita della casa e della famiglia, Isadora ebbe una figlia da Edward Gordon Craig e un figlio dal milionario Paris Singer, l’industriale di macchine per cucire. I due bambini, Deidre e Patrick, morirono tragicamente in un incidente che fece precipitare la loro auto nella Senna, nel 1913. Gli anni che seguirono non furono facili per Isadora, che per un po’ smise anche di danzare. In seguito, nonostante il dolore, continuò a dedicarsi alla danza, trasformando la sofferenza in una profonda espressione artistica.

Mosca

Nel 1920 fu invitata a fondare una scuola tutta sua a Mosca. Per il suo temperamento rivoluzionario, l’ Unione Sovietica sembrava la terra promessa. Lì incontrò Sergey Aleksandrovich Yesenin, un poeta di 17 anni più giovane di lei, il cui lavoro gli aveva fatto guadagnare una notevole reputazione. Lo sposò nel 1922, sacrificando i suoi scrupoli contro il matrimonio per portarlo con sé in un tour negli Stati Uniti. Non avrebbe potuto scegliere un momento peggiore per il loro arrivo. La paura della “minaccia rossa” era al culmine e lei e suo marito furono ingiustamente etichettati come agenti bolscevichi.

Lasciando di nuovo il suo paese natale, una Duncan amareggiata disse ai giornalisti: “Addio America, non ti rivedrò mai più!” Così fu. Seguì un periodo infelice con Yesenin in Europa, dove la sua crescente instabilità mentale lo fece rivoltare contro di lei. Tornò da solo in Unione Sovietica e, nel 1925, si suicidò.

Come sempre, Isadora cercò di ritrovare la forza e l’energia nelle sue scuole e nei suoi allievi, divenuti ormai i ‘sostituti’ dei suoi due figli. Di questi allievi ne adottò addirittura sei, che furono poi ribattezzati dalla stampa come gli “Isadorables”, quando cominciarono ad esibirsi con lei.

Durante gli ultimi anni della sua vita, Duncan fu una figura piuttosto patetica, che viveva precariamente a Nizza, sulla Costa Azzurra.

Morte

Isadora Duncan morì il 14 settembre 1927 a Nizza, in Francia, in un incidente che è rimasto nella storia per la sua tragicità: la sua sciarpa, sventolando mentre era in automobile, si impigliò nelle ruote posteriori del veicolo, causandole una morte istantanea per strangolamento. 

Cosa ci rimane di lei

Di lei ci rimane anzitutto la sua autobiografia, My Life, pubblicata nel 1927. Isadora fu una donna molto anticonvenzionale, la cui vita fu segnata da molti successi ma anche da molte tragedie: per questo motivo è diventata un mito nel mondo dell’arte ed in particolare della danza.

La Duncan è ricordata come una figura rivoluzionaria, la cui visione della danza come libera espressione dell’anima ha aperto la strada alla danza moderna. Si ribellò per prima ai canoni del balletto tradizionale, portando una vera rivoluzione in quest’arte e per questo oggi è riconosciuta come la creatrice della danza moderna.

Sosteneva che ‘le cose devono essere come sono’ ed esprimeva le sue idee con grande passione, rompendo con tutte le convenzioni. Isadora concepiva la danza come un’arte sacra, come lo era per gli antichi Greci: con questa idea sviluppò movimenti liberi e fluttuanti, ispirati a fenomeni naturali come le onde e il vento, all’arte greca, alle danze popolari, usando il plesso solare come la forza generatrice di tutti i movimenti da eseguire.

Messo in soffitta il classico tutù, Isadora si proponeva sulla scena con tuniche e chitoni ellenizzanti, capelli sciolti, piedi nudi e sciarpe colorate che le pendevano dalle spalle.

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Oltre che danzatrice fu avventuriera, rivoluzionaria, critica della società moderna, della cultura, dell’educazione, sostenitrice dei diritti femminili e dello spirito poetico, che ambiva vedere realizzato nella vita di tutti i giorni.

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Oltre al lavoro clinico, ha dedicato la sua carriera professionale alla divulgazione del sapere psicologico e sessuologico nei diversi siti che cura online, nei libri pubblicati, e nelle iniziative pubbliche che organizza e a cui partecipa.

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  • Dr. Giuliana Proietti
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