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Category Archives: Salute e Malattie

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Obesità, la malattia dell'abbondanza

Obesità: la malattia dell’abbondanza

Obesità: la malattia dell’abbondanza

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L’obesità (dal latino obesitas, che significa “grasso, grosso, paffuto”) è una condizione medica determinata dall’accumulo di grasso corporeo nel tessuto adiposo – in quantità eccessiva rispetto alle necessità fisiologiche dell’organismo – tanto che può essere causa di morte (produce un’aspettativa di vita inferiore di 10 anni rispetto a quella di un coetaneo con peso normale e medesima situazione).

L’obesità viene oggi diagnosticata sulla base di una formula matematica che molti considerano semplicistica e poco affidabile: l’indice di massa corporea. Il Body Mass Index (BMI), si ottiene dal peso (in kg) diviso per la statura (in metri) elevata al quadrato. Il valore limite del BMI per il sovrappeso è 25 e per l’obesità è 30, mentre un BMI superiore a 40 è indice di obesità grave.

Sebbene già Ippocrate avesse scritto che “la corpulenza non è solo una malattia in sé, ma il presagio di altre“, l’eccesso di peso corporeo non sempre è stato considerato una malattia vera e propria. Qualche giorno fa l’American Medical Association ha tentato di attrarre attenzione su quella che appare una vera e propria emergenza sanitaria nazionale (un americano su tre è obeso), inserendo l’obesità fra le patologie vere e proprie (e dunque obbligando i medici a considerarne la diagnosi). La decisione non avrà conseguenze giuridiche, ma si pensa che questo semplice atto, vista la credibilità dell’associazione dei medici americani, potrà influenzare gli interventi nella ricerca, nel trattamento e nella prevenzione dell’obesità.

Il problema dell’obesità ovviamente non riguarda solo gli americani, ma è diffuso ampiamente in tutto il mondo occidentale: in Italia gli obesi sono sei milioni di persone (il 10% della popolazione), in Francia essi rappresentano l’11,2% della popolazione, in Belgio il 13,5%, in Svezia l’11%.

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Ciò che maggiormente preoccupa sono i dati relativi all’obesità infantile (che potrebbe portare i bambini ad ammalarsi di diabete o di problemi renali, per non parlare di problematiche psicologiche legate alla scarsa autostima e alla depressione). Un altro problema collegato all’obesità durante lo sviluppo psicofisico, si è capito di recente, è quello della perdita dell’udito. Il Columbia University Medical Centre ha pubblicato uno studio nella rivista scientifica Laryngoscope in cui vengono esaminati i dati relativi a un campione di giovani americani di età compresa tra i 12 e i 19 anni in sovrappeso: gli adolescenti colpiti dal disturbo alimentare hanno mostrato di avere maggiori problemi legati all’udito (15,2% contro l’8,3%).

A Ginevra, in Svizzera, l’obesità infantile è presa molto sul serio, visto che il 3% dei bambini ne soffre, ancor prima di raggiungere i 5 anni: per questo si stanno lanciando campagne pubblicitarie (come ad esempio Miam la vie), in cui vengono suggeriti i comportamenti da adottare per evitare l’obesità, che spesso vanno contro gli insegnamenti (errati) dati dai genitori. Ad esempio, in questa campagna un bambino dichiara: “Se non ho più fame, non sono obbligato a finire tutto il piatto”. Inoltre, vengono dati ai genitori e ai pediatri dei semplici consigli da raccomandare ai più piccoli: fare ginnastica, mangiare in modo sano e dormire a sufficienza.

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In Italia l’obesità infantile è in continuo aumento, specie in alcune regioni del Sud, a causa di un’alimentazione non corretta e di un errato stile di vita (paradossalmente, la dieta mediterranea è stata dimenticata proprio laddove era nata, visto che la stessa cosa accade anche in Spagna e in Grecia).

Secondo la British Medical Association scozzese “stiamo allevando una generazione di bambini su cui pende il pericolo di malattie croniche nel lungo termine”. La preoccupazione è condivisa anche da Vivienne Nathanson, direttrice delle attività professionali della BMA la quale ha dichiarato che: “non si dirà mai abbastanza su questo tema. L’obesità è legata a decine di malattie differenti. Costa molta sofferenza umana. Ed è prevenibile quasi al cento per cento“. Il problema, secondo la portavoce dei medici britannici, è che” i governi non guardano al lungo termine. Tutti vogliono soluzioni rapide, che avvengano oggi e preferibilmente che non costino nulla”.

La politica infatti è sicuramente colpevole di questo stato di cose, per il suo disinteresse nei riguardi della salute della popolazione, ma anche per la scarsa vigilanza sui vari modelli che ci vengono offerti dai media e che, ancor più sconsideratamente, vengono proposti ai bambini, durante i programmi tv che loro abitualmente guardano. Un recente studio ha infatti scoperto che l’obesità infantile può essere peggiorata dal proliferare di pubblicità che invogliano a nutrirsi di cibo spazzatura e l’Organizzazione mondiale della sanità, nell’ultimo rapporto sull’obesità infantile, ha sottolineato l’urgenza di controllare in modo più severo le campagne pubblicitarie degli alimenti ricchi di grassi saturi, zuccheri e sale.

Da quanto si è detto, è chiaro che la base eziologica dei disturbi del comportamento alimentare e dell’obesità non vada ricercata in una sola direzione, ma in una combinazione di fattori: organici (genetici, endocrini e metabolici), psico-sociali e ambientali.

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Dal punto di vista organico gli studi sono molto avanzati e proprio di recente è stata pubblicata una ricerca, da parte di due gruppi di scienziati inglesi, che hanno identificato una lunga lista di mutazioni del gene Sim1, che potrebbe essere all’origine di forme gravi di obesità ereditaria, dovuta ad un maggior consumo di cibo e a disfunzioni del sistema nervoso.

Un altro problema emergente, che riguarda l’infanzia indirettamente, è quello delle donne gravide obese: lo European Perinatal Health Report ha scoperto che è la Scozia ad avere uno dei tassi più elevati di donne gravide obese (20,7%), cui segue la Germania (13,7%), mentre il Paese più rigoroso sembrerebbe essere la Polonia, dove solo il 7,1% delle donne incinte sono obese (l’obesità durante la gravidanza può produrre rischi di parto prematuro, oltre che malformazioni e sofferenza fetale, mortalità in utero o neonatale).

Dal punto di vista psicologico sono gli individui che soffrono di depressione, ansia e disturbi del comportamento alimentare coloro che hanno maggiori difficoltà nel controllare il loro consumo di cibo, spesso a causa di un’educazione sbagliata.

Infatti, secondo l’esperta di disturbi alimentari Hilde Bruch, non sempre i genitori riescono a comprendere i bisogni reali del bambino e dunque, per dimostrare il loro affetto, utilizzano spesso il cibo, rendendo così impossibile al piccolo capire quando abbia realmente fame, oppure senta il bisogno di ricevere gratificazioni o allentare le proprie tensioni. In tutti questi casi il bambino ricorrerà al cibo, rischiando l’obesità.

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Altri fattori di rischio psicogeni sono generati dall’ansia e dallo stress, condizioni che portano spesso a mangiare senza avere fame oppure, come nel caso del Binge Eating Disorder (BED), a mangiare grandi quantità di cibo solo per il piacere di mangiare (per almeno 2 giorni alla settimana per un periodo di 6 mesi). Il BED si differenzia dagli altri disturbi alimentari più conosciuti (bulimia e anoressia), in quanto non è associato con regolari comportamenti compensativi, quali vomiti, purghe, digiuni o eccessivo esercizio fisico. (Per questo, gli amanti delle abbuffate, a differenza di molti bulimici, sono tutti in sovrappeso). Un altro disturbo alimentare che nasce da problematiche psicologiche è l’alzarsi di notte per andare a mangiare: si chiama Night Eating Sindrome, o NES, ma attualmente questo comportamento non viene riconosciuto come una vera e propria patologia nel DSM.

A parte le cause psicologiche dell’obesità, va evidenziato che le persone con problemi di sovrappeso hanno sempre a che fare con il disagio psicologico, a causa di livelli di autostima molto bassi (circa 5 volte inferiori, rispetto ai soggetti normopeso della stessa età. Se non altro a causa dei tanti fallimenti vissuti in diete dimagranti che non sono andate a buon fine…) e poi perché non si sentono accettati a livello sociale (e questo incide particolarmente nella difficoltà a trovare o mantenere un lavoro. L’obesità modifica infatti la geometria del corpo, impedendo molti movimenti e riducendo le capacità di svolgimento delle normali attività quotidiane, sia a livello di movimenti globali, sia a livello di movimenti di precisione degli arti. Nell’obesità grave si ha anche una diminuzione della forza muscolare e per questo è difficile anche svolgere attività lavorative che richiedano il mantenimento di posture impegnative).

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Dal punto di vista ambientale, un ruolo eziologico determinante va ricercato nelle errate abitudini di vita (es. carenza di attività fisica), causate anche dall’essere nati e cresciuti in ambienti considerati “tossici”. Secondo uno studio recentemente pubblicato sulla rivista Obesity, ad esempio, più il quartiere nel quale si vive presenta la possibilità di comprare del cibo sano e fresco vicino casa, minori sono le possibilità di divenire obesi (e viceversa). Amy Auchincloss, docente presso il dipartimento di epidemiologia nella Drexel University di Philadelphia (USA) e co-autrice dello studio, suggerisce dunque di lanciare programmi che permettano la nascita, nei quartieri più svantaggiati, di negozi di cibo fresco: “Ecco il genere di iniziative di cui le città avrebbero bisogno per migliorare la salute dei propri abitanti”.

Il problema dell’obesità riguarda soprattutto i Paesi ricchi e da anni è oggetto di dibattito anche dal punto di vista etico. Ci si chiede ad esempio se i governi dovrebbero forzare i comportamenti alimentari dei propri abitanti, se dovrebbero limitare l’accesso al cibo, se dovrebbero intervenire direttamente nelle cure mediche, ma anche come dovrebbe essere distribuito il cibo a livello planetario, per evitare le tante morti causate a causa del cibo: per la sua mancanza, così come per la sua sovrabbondanza.

L’intervento dello Stato nella privacy dei cittadini, anche per fini salutistici, non è sempre ben visto. La stessa decisione dei medici americani di inserire l’obesità nell’elenco delle malattie, secondo alcuni potrebbe avere l’effetto di rimuovere gli elementi di responsabilità personale che portano a questa condizione e incoraggiare le persone ad intraprendere costosi trattamenti medici, anziché cercare soluzioni diverse, attraverso la dieta e l’esercizio fisico. Alcuni osservatori piuttosto critici ricordano a tal proposito che l’obesità (come accade spesso in psichiatria) è stata promossa da condizione medica a “patologia” solo per alzata di mano dei medici e che non vi sono esami clinici o strumentali per poterla realmente diagnosticare: questi interventi di “medicalizzazione” della società potrebbero portare le persone a replicare stili di vita sbagliati, i cui effetti dovrebbero poi essere sanati inevitabilmente attraverso il ricorso ai farmaci.


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Le terapie per l’obesità sono di tipo chirurgico, farmacologico, psicoterapeutico. Ogni caso deve essere attentamente studiato, per poter intervenire in modo mirato: in qualcuno infatti, per risolvere un problema di sovrappeso, anche grave, potrebbe bastare una terapia di sostegno che sia motivante nei confronti della dieta e dell’attività fisica, mentre per altri tutto questo potrebbe non essere sufficiente e si dovrebbe procedere per via farmacologica, se non chirurgica.

Qualunque terapia si decida di intraprendere tuttavia, essa non può che nascere da una forte motivazione al cambiamento, alla scelta di voler tornare ad un peso “normale”. Ottima dunque la riflessione dello scrittore inglese Cyril Connolly, il quale disse giustamente che: L’unico modo per dimagrire è ridare uno scopo alla propria vita.

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La Dottoressa Giuliana Proietti, Psicoterapeuta Sessuologa di Ancona, ha una vasta esperienza pluriennale nel trattamento di singoli e coppie. Lavora prevalentemente online.
In presenza riceve a Ancona Fabriano Civitanova Marche e Terni.

  • Delegata del Centro Italiano di Sessuologia per la Regione Umbria
  • Membro del Comitato Scientifico della Federazione Italiana di Sessuologia.

Oltre al lavoro clinico, ha dedicato la sua carriera professionale alla divulgazione del sapere psicologico e sessuologico nei diversi siti che cura online, nei libri pubblicati, e nelle iniziative pubbliche che organizza e a cui partecipa.

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  • 24 Giu 2013
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Antipsichiatria e legge 180

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Alla base di questo modello della malattia mentale vi è un concetto di “violenza”, che il malato subirebbe nei suoi contatti sociali, sin dalla più tenera età. Viene puntato il dito anzitutto sulla famiglia, luogo dove vengono inibite le potenzialità del bambino e dell’adolescente, allo scopo di creare sempre nuovi sudditi del ‘sistema’: occorrono consumatori, carne da cannone, strutture di ubbidienza al potere. Gli individui così condizionati e oppressi possono affollare le fabbriche e ricostituire nuove coppie stabili, procreare altri figli, ricreare altre famiglie, e così perpetuare il ciclo.

In questa visione, tutti coloro che vogliono uscire da questo ingranaggio di mediocrità e di mortale ubbidienza, diventando cittadini liberi, vengono etichettati come nevrotici o pazzi. La famiglia viene dunque individuata come luogo primario di violenza, non solo nei casi di abuso sessuale o maltrattamenti, ma anche solo attraverso il tipo di educazione conformista impartita dai genitori.

Il malato di mente viene visto anzitutto come una vittima dell’oppressione sociale, che tenta in tutti i modi di ‘normalizzarlo’, spingendolo verso il conformismo. In questo senso la follia sarebbe dovuta ad una forma di trasgressione dalla norma sociale, anche laddove si esprima attraverso l’originalità e la genialità.

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Con l’antipsichiatria la scienza ufficiale viene accusata di concentrare la propria attenzione sulla malattia individuale e sulle sue basi organiche, trascurando l’origine sociale dei disturbi psichici.

La psichiatria tradizionale viene vista come una funzione necessaria al “sistema” per sopravvivere attraverso il ‘trattamento’ di tutti i devianti, che vengono esclusi definitivamente dalla vita sociale, grazie all’istituzionalizzazione.

Le ‘cure’ somministrate nei manicomi del tempo (dosi elevate di psicofarmaci, medicinali di nuova invenzione ed ancora in fase di sperimentazione, elettroshock, misure costrittive) vengono considerate forme di violenza sociale su persone fragili, che avevano già dovuto subire violenze da parte della famiglia e della società per il loro mancato adeguamento al conformismo sociale. L’antipsichiatria vuole invece tutelare i diritti di queste persone e lasciarle libere di esprimersi e di reinserirsi nel tessuto sociale.

I manicomi, considerati centri di potere molto rilevanti nell’equilibrio della comunità locale, oltre che campi di manovre clientelari e serbatoi di voti (grazie al clientelismo delle assunzioni di un numero spropositato di addetti) dovevano essere aboliti.

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Così fu in Italia grazie al massimo esponente di questo movimento, lo psichiatra Franco Basaglia (1924-1980), il quale vedeva nello psicoterapeuta, nell’assistente sociale, nello psicologo di fabbrica, nel sociologo industriale, i nuovi amministratori della violenza del potere: ammorbidendo gli attriti, sciogliendo le resistenze, risolvendo i conflitti provocati dalle istituzioni in forma ‘tecnica’, apparentemente riparatrice e dunque non violenta, consentivano in realtà il perpetuarsi della violenza globale ed impedivano di fatto la guarigione dei malati.

Lo psichiatra doveva dunque rifiutare il suo ruolo, sottolineare l’origine sociale dei disturbi psichici e impegnarsi politicamente nell’eliminazione delle contraddizioni sociali, per la trasformazione della società. Così sarebbe nata una società più libera e giusta e la malattia mentale sarebbe drasticamente diminuita.

La legge n. 180 del 1978, nota come Legge Basaglia, abolì dunque gli ospedali psichiatrici ed istituì i servizi di igiene mentale, per la cura ambulatoriale dei malati di mente.

A posteriori si può senz’altro dire che grazie a questo movimento è stato possibile portare all’attenzione dell’opinione pubblica i numerosi casi di abuso e di violenza perpetrati su persone incapaci di difendersi, la ghettizzazione dei malati, il pessimismo terapeutico che li vedeva come persone ormai definitivamente ‘perse’, che andavano solo sedate ed emarginate, per il bene della società.

Con la legge Basaglia molte persone malate hanno potuto vivere una vita abbastanza ‘normale’, accanto ai familiari, avendo la possibilità di muoversi liberamente, di lavorare, di essere seguiti ‘a distanza’ da un équipe terapeutica che si occupava di migliorare, in tutti i modi, la loro esistenza.

La famiglia infatti ha un ruolo insostituibile nella vita di una persona ed i servizi sociali sono utili solo in quanto riescono ad appoggiare ed aiutare la famiglia dall’esterno.

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Purtroppo però, non tutti i familiari hanno il tempo, la forza, le risorse, per farsi carico dei tanti problemi che sorgono quando qualche familiare si trova in condizioni di disabilità mentale e non sempre i servizi sociali si sono mostrati in grado di sopperire a queste carenze.

In questo senso la legge Basaglia andrebbe forse rivista, in modo da ampliare ulteriormente l’aiuto delle istituzioni alle famiglie che hanno un malato mentale in casa e che non possono essere abbandonate a sé stesse.

C’è da chiedersi tuttavia, ma è solo un’insinuazione, se non esista attualmente una potente lobby di case farmaceutiche, medici psichiatri, e quant’altro, che preme da tempo su certo mondo politico, perché questa legge Basaglia sia definitivamente dichiarata ‘fallita’: non rivista ed adattata ai tempi, ma cancellata dal nostro ordinamento, che potrebbe presto salutare la riapertura dei manicomi. Pardon, delle ‘case di cura’. Private, naturalmente… Rendendo legale ciò che adesso già si fa, tra le pieghe della legge.

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  • 7 Mag 2018
  • Dr. Giuliana Proietti
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Curare l'alcolismo con la realtà virtuale

Curare l’alcolismo con la realtà virtuale

Curare l’alcolismo con la realtà virtuale

Saluto del CIS - Dr. Walter La Gatta

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L’alcolismo è una problematica che coinvolge fattori biologici, psicologici e sociali, e la realtà virtuale (RV) rappresenta una nuova frontiera nel trattamento. Negli ultimi anni, la RV ha dimostrato una notevole efficacia nell’affrontare diverse forme di dipendenza, inclusa quella da alcol, grazie alla sua capacità di creare ambienti simulati sicuri in cui i pazienti possono apprendere nuove competenze per gestire le tentazioni e le situazioni di rischio. Cerchiamo di saperne di più.

Quali sono le attuali tendenze per il consumo di alcol?

Secondo l’OMS, il consumo globale di alcol nel 2023 mostra ancora livelli significativi, sebbene si osservino trend differenziati:
– Nel 2022, il consumo medio di alcol puro per persona di età pari o superiore a 15 anni è stato di circa 6,4 litri all’anno. Questa quantità varia notevolmente a seconda del paese e delle condizioni socioeconomiche.
– L’Europa rimane uno dei continenti con i più alti livelli di consumo, seguita dalle Americhe e dal Sud-Est asiatico, mentre l’Africa registra i livelli più bassi. Tuttavia, in alcune regioni europee, si osserva un calo rispetto al decennio scorso.
. Il consumo abituale e giornaliero sta diminuendo, specialmente tra i giovani, mentre aumentano le ubriacature occasionali.
– Anche se gli uomini continuano a essere i principali consumatori, l’aumento del consumo femminile è stato osservato in molte regioni, anche in Italia, dove le donne giovani mostrano una crescita del consumo rispetto alle generazioni precedenti.

Una intervista sulla Eiaculazione Precoce

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Quale è la situazione italiana?

In Italia, i dati dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) e dell’Istat riportano le seguenti statistiche:
– Nel 2023, il consumo pro capite di alcol puro è stato di circa 7,8 litri per le persone sopra i 15 anni, un dato in leggero calo rispetto agli anni precedenti.
– Circa il 66% degli uomini e il 50% delle donne in Italia consumano bevande alcoliche almeno una volta all’anno. Tuttavia, la frequenza e la quantità di consumo variano notevolmente a seconda del gruppo di età.
– Gli uomini tendono a consumare alcol in quantità maggiori rispetto alle donne, sia in Italia sia a livello globale. In Italia, il 24% degli uomini sopra i 18 anni consuma alcol in maniera “rischiosa”, contro il 12% delle donne.

Cosa è il Binge Drinking e quanto è diffuso?

Il binge drinking riguarda il consumo di grandi quantità di alcol in breve tempo; esso è particolarmente diffuso tra i giovani adulti, visto che il 19% dei giovani italiani tra i 18 e i 24 anni ha riferito di aver partecipato a episodi di binge drinking nel 2022.

Gli anziani consumano alcol?

Si. Anche tra gli over 65 si osserva un consumo rilevante, soprattutto in forma abituale. Questo gruppo rappresenta circa il 24% dei consumatori regolari in Italia, con un consumo generalmente giornaliero e associato a problemi di salute correlati.

Quali sono le conseguenze del consumo di alcol?

L’OMS stima che ogni anno il consumo di alcol sia responsabile di circa 3 milioni di decessi a livello globale. In Europa, il 5,3% di tutti i decessi è associato all’alcol. Il consumo eccessivo di alcol è associato a patologie croniche come malattie epatiche, cardiovascolari e alcune forme di tumore. In Italia, il 10% dei casi di cirrosi epatica è attribuito all’alcol.

Cosa è la Realtà Virtuale, o RV?

La realtà virtuale (RV) è una tecnologia immersiva che consente di creare ambienti simulati, dando la sensazione di trovarsi all’interno di spazi tridimensionali. Utilizzando visori e altri dispositivi, la RV permette all’utente di interagire con oggetti e situazioni create digitalmente, replicando esperienze che possono andare dal gioco, alla simulazione di situazioni reali, alla terapia. Negli ultimi anni, la RV ha trovato applicazione in settori come la medicina, l’educazione e la formazione, dove è usata per addestrare in sicurezza, migliorare l’apprendimento o, come nella psicoterapia, aiutare le persone a gestire traumi, dipendenze e fobie in un ambiente controllato.

Relazione sulla Terapia di Coppia dopo un Tradimento - Festival della Coppia 2023

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Come funziona la realtà virtuale nel trattamento dell’alcolismo?

La RV consente di immergere i pazienti in scenari simulati, spesso realistici e accuratamente progettati, per replicare situazioni in cui potrebbero essere tentati di bere. Questo approccio permette di:

1. Esporre il paziente ai trigger: Vengono ricreate situazioni che potrebbero spingere il paziente a bere, come una festa, un bar o una cena tra amici. La differenza rispetto alla vita reale è che l’ambiente virtuale permette di controllare il grado di difficoltà e intensità delle tentazioni, adattando il percorso terapeutico in modo graduale e sicuro.

2. Rafforzare il controllo sui comportamenti: Grazie alla RV, il paziente può sperimentare tecniche di coping (strategie per affrontare lo stress) senza il rischio effettivo di cedere all’alcol. Questa esposizione controllata rafforza le capacità di autodisciplina e i meccanismi di difesa contro le ricadute.

3. Simulare situazioni sociali complesse: La RV permette di esercitarsi in contesti difficili, come le situazioni sociali, in cui l’alcol potrebbe essere presente e facilmente accessibile. Il paziente può imparare a dire di no in maniera più efficace, migliorando così la propria autostima e il senso di autoefficacia.

4. Intervento personalizzato e in tempo reale: Gli ambienti virtuali possono essere personalizzati per rispondere ai bisogni specifici del paziente, modificando i dettagli delle scene o la presenza di determinate persone, suoni o stimoli visivi. Inoltre, il terapeuta può osservare la reazione del paziente e intervenire in tempo reale, fornendo feedback immediati o modificando le condizioni del trattamento.

Da quanto tempo si lavora a questi progetti?

Nel 2015 Doug Hyun Han, del Chung-Ang University Hospital di Seul, in Corea, ebbe l’idea di esporre degli alcolisti cronici, in modo virtuale, a situazioni che generano paura e ansia. Il risultato dei suoi studi fu che questo permetteva poi alle persone di comportarsi in modo più adeguato nella vita reale, ad esempio limitando il consumo di sostanze o di alcol.

Dr. Walter La Gatta

Come sono costruiti i programmi di RV per trattare le dipendenze?

Alcuni programmi di RV integrano la terapia cognitivo-comportamentale, fornendo strumenti per riconoscere i pensieri disfunzionali e sostituirli con pensieri più costruttivi. Il paziente, attraverso un’esposizione progressiva, impara a gestire l’ansia e le emozioni negative che potrebbero portarlo a bere.

La realtà virtuale può combinarsi anche con tecnologie di biofeedback per insegnare tecniche di mindfulness e rilassamento. Monitorando parametri fisiologici come il battito cardiaco e la respirazione, la RV può aiutare il paziente a diventare più consapevole delle proprie reazioni emotive e fisiche, migliorando la capacità di gestione delle emozioni.

La simulazione di una ricaduta permette di valutare le reazioni del paziente e aiutarlo a identificare i segnali di rischio. Questo approccio si basa sull’idea che una “ricaduta simulata” possa favorire una migliore consapevolezza dei fattori di rischio reali, preparando il paziente ad affrontare la vita quotidiana con maggiore controllo.

Quali sono i limiti di questo approccio terapeutico?

Anzitutto la tecnologia RV può non essere accessibile in tutte le strutture e presenta costi iniziali elevati. Inoltre, non tutti i pazienti si sentono a proprio agio con la tecnologia RV, specialmente quelli meno abituati all’uso di dispositivi digitali. Infine, la RV richiede terapeuti addestrati per creare ambienti terapeutici appropriati e adattarli alle esigenze del paziente.

Dr. Walter La Gatta

CITTA' DI RICEVIMENTO - COSTI

Costi Psicoterapia e Città

 

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Dr. Walter La Gatta

Dr. Walter La Gatta

Psicologo Psicoterapeuta Sessuologo
Delegato Regionale del Centro Italiano di Sessuologia per le Regioni Marche Abruzzo e Molise.
Libero professionista, svolge terapie individuali e di coppia
ONLINE E IN PRESENZA (Ancona, Terni, Fabriano, Civitanova Marche)

Il Dr. Walter La Gatta si occupa di:

Psicoterapie individuali e di coppia
Terapie Sessuali
Tecniche di Rilassamento e Ipnosi
Disturbi d’ansia, Timidezza e Fobie sociali.

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348 – 331 4908
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  • 6 Nov 2024
  • Dr. Walter La Gatta
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La sessualità dopo il cancro: rassegna di ricerche

La sessualità dopo il cancro: rassegna di ricerche

La sessualità dopo il cancro: rassegna di ricerche

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Articolo datato

Quello che segue è uno screening sulle più importanti ricerche sulla vita sessuale dopo il cancro.

Tasso di sopravvivenza

Attualmente il tasso di sopravvivenza di almeno 5 anni per i malati di cancro riguarda oltre il 60% dei soggetti [Australian Institute of Health and Welfare, 2014], il che significa che un numero crescente di persone convive con questa malattia.

Benessere sessuale

Poiché il benessere sessuale è una componente centrale della qualità della vita [The World Health Organization Quality of Life assessment, 1995], molte ricerche si sono occupate dei cambiamenti nella coppia a seguito della infausta diagnosi e delle invasive terapie per curare il cancro [Mercadante S, Vitrano V, Catania V, 2010].

Cancro e Sessualità: la ricerca

La ricerca che esamina le modifiche alla sessualità dopo il cancro si è concentrata principalmente sui tumori che colpiscono direttamente gli organi sessuali o riproduttivi.

Negli uomini, ci si è concentrati in particolare sulle variazioni sessuali a seguito di cancro alla prostata e ai testicoli, che influiscono su:

  • disfunzione erettile [Arrington MI, 2008,Galbraith ME, Arechiga A, Ramirez J, Pedro LW, 2005],
  • dimensione diversificata dei genitali, l’aumento di peso, l’incontinenza urinaria [Bokhour BG, Clark JA, Inui TS, Silliman RA, Talcott JA, 2001,Badr H, Taylor CL, 2009],
  • riduzioni del desiderio sessuale e del piacere e visione negativa del corpo [Carpentier MY, Fortenberry JD, 2010-Rossen P, Pedersen AF, Zachariae R, von der Maase H, 2012].

La ricerca sui cambiamenti sessuali per le donne con tumore si è concentrata principalmente su:

  • impatto dei trattamenti per cancro al seno o ginecologici, che includono cambiamenti anatomici [Basson R, 2010-Holmes L., 2005], stanchezza [Ussher JM, Perz J, Gilbert E, 2012],
  • dolore o secchezza vaginale  [Bergmark K, Avall-Lundqvist E, Dickman PW, Henningsohn L, Steineck G,1999, Safarinejad MR, Shafiei N, Safarinejad S, 2013],
  • sentimenti negativi circa il proprio potere seduttivo [Berterö C, Chamberlain Wilmoth M, 2007;Plotti F, Sansone M, Di Donato V, Antonelli E, Altavilla T, Angioli R, Panici PB, 2011],
  • modifiche al proprio senso di femminilità [Archibald S, Lemieux S, Byers ES, Tamlyn K, Worth J. , 2006;Wilmoth MC, 2001 ].

A livello di coppia i più importanti studi hanno riguardato:

  • riduzione del desiderio sessuale [Sekse RJ, Raaheim M, Blaaka G, Gjengedal E, 2010],
  • riduzione della risposta sessuale [Fobair P, Stewart SL, Chang S, D’Onofrio C, Banks PJ, Bloom JR, 2006; Bal MD, Yilmaz SD, Beji NK, 2013],
  • diminuzione della frequenza dei rapporti [Green MS, Naumann RW, Elliot M, Hall JB, Higgins RV, Grigsby JH, 2000],
  • mancanza di piacere o di soddisfazione sessuale [Juraskova I, Butow P, Bonner C, Robertson R, Sharpe L, 2013;Meyerowitz BE, Desmond KA, Rowland JH, Wyatt GE, Ganz PA, 1999]
  • peggioramento del rapporto di coppia [Burns M, Costello J, Ryan-Woolley B, Davidson S, 2007],
  • distanza emotiva tra i partner [Rolland JS., 1994],
  • sensazione di essere meno desiderati dal proprio partner [Ussher JM, Perz J, Gilbert E, 2012]
  • sviluppo di pensieri negativi sul contatto sessuale [Cull A, Cowie VJ, Farquharson DI, Livingstone JR, Smart GE, Elton RA, 1993],
  • difficoltà di comunicazione di coppia [Stead ML, Fallowfield L, Selby P, Brown JM, 2007].

Dr. Walter La Gatta

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Cancro e anziani

Le preoccupazioni per i cambiamenti sessuali sono stati segnalati anche fra le persone più anziane, che rimangono, malgrado tutti i pregiudizi in proposito, degli esseri sessuati [Loe M., 2004 -Watters Y, Boyd TV, 2009 ], anche se la preoccupazione sessuale riguarda più gli uomini che le donne [Traa MJ, Orsini RG, Oudsten BLD, Vries JD, Roukema JA, Bosman SJ, Dudink RL, Rutten HJT., 2013].

Tumori che non interessano direttamente la zona genitale

È sempre più evidente tuttavia che anche le persone con tumori che non interessano direttamente la parte genitale sperimentino una riduzione dell’interesse per l’attività sessuale, a causa dei cambiamenti dell’immagine corporea e dei sentimenti di competenza sessuale, così come a causa di disfunzioni sessuali, o alterazioni dell’autostima in ambito sessuale [Galbraith ME, Crighton F, 2008;Greenfield DM, Walters SJ, Coleman RE, Hancock BW, Snowden JA, Shalet SM, DeRogatis LR, Ross RJ, 2010 ].

Ad esempio, i ricercatori hanno osservato cambiamenti sessuali nelle persone con:

  • tumori linfatici [Thygesen KH, Schjødt I, Jarden M, 2012],
  • tumori del colon [van der Horst-Schrivers AN, van Ieperen E, Wymenga AN, Boezen HM, Weijmar-Schultz WC, Kema IP, Meijer WG, de Herder WW, Willemse PH, Links TP, de Vries EG, 2009],
  • tumori della testa e del collo [Low C, Fullarton M, Parkinson E, O’Brien K, Jackson SR, Lowe D, Rogers SN, 2009],
  • tumori del colon-retto [Milbury K, Cohen L, Jenkins R, Skibber JM, Schover LR, 2013],
  • tumori della vescica [Salem HK, 2007],
  • tumori del polmone [Shell JA, Carolan M, Zhang Y, Meneses KD, 2008] .

Psicolinea 20+anni di attività

Genere Sessuale

Il cancro infatti viene vissuto come segue nelle donne:

  • un assalto invisibile alla femminilità [Butler L, Banfield V, Sveinson T, Allen K, Downe-Wanboldt B, Alteneder RR. , 1998 ],
  • minore adesione all’identità di genere [Lamb MA, Sheldon TA., 1994 – Hyde A., 2007 ],
  • scarsa fiducia nelle proprie capacità attrattive e sessuali [Juraskova I, Butow P, Robertson R, Sharpe L, McLeod C, Hacker N, 2003 – Jensen PT, Groenvold M, Klee MC, Thranov I, Petersen MA, Machin D., 2004 ]

e negli uomini:

  • cambiamento nei confronti della propria autostima e della virilità [Bokhour BG, Clarke JA, Inui TS, Silliman RA, Talcott JA, 2001], specialmente coloro che hanno un tumore alla prostata e non si sentono più all’altezza delle aspettative sociali del comportamento maschile [Cushman MA, Phillips JL, Wasserug RJ. , 2010].
  • prestazioni sessuali scadenti o per il desiderio e/o il piacere diminuito [Gurevich M, Bishop S, Bower J, Malka M, Nyhof-Young J., 2004].
  • Disfunzione erettile: viene vissuta come l’ostacolo principale per ‘soddisfare le esigenze delle loro partner’ [Maliski SL, Rivera S, Connor S, Lopez G, Litwin MS., 2008 – Fergus KD, Gray RE, Fitch MI. 2002].

Interventi

Tuttavia, gli interventi per migliorare l’impatto di questi cambiamenti sessuali si sono finora concentrati sui tumori in ambito sessuale o riproduttivo [Miles C, Candy B, Jones L, Williams R, Tookman A, King M. , 2007], e si è fra l’altro anche osservato che gli operatori sanitari sono meno propensi a discutere dei cambiamenti sessuali con individui o coppie che non soffrono di una forma di cancro in una zona non genitale [Hawkins Y, Ussher J, Gilbert E, Perz J, Sandoval M, Sundquist K, 2009-Hordern AJ, Street AF, 2007].

Questo suggerisce che i bisogni sessuali e le preoccupazioni di coloro che soffrono di cancro in zone diverse da quelle genitali possono non essere riconosciuti o affrontati.

Gli interventi devono concentrarsi sugli individui e sui cambiamenti che essi vivono nella relazione, piuttosto che concentrarsi sul loro corpo sessuale [White ID, Faithfull S, Allan H., 2012].

Gli interventi psicologici di sostegno possono essere utili per ridurre i problemi sessuali della coppia, senza dimenticare che i problemi sessuali dopo il cancro riguardano anche le persone singole,  i cui problemi sessuali sono spesso trascurati dai medici [Hordern AJ, Street AF., 2007].

Chi segue le coppie dovrebbe adottare una più ampia concettualizzazione del sesso, piuttosto che concentrarsi sul sesso coitale, come ad esempio il sesso orale e/o manuale, piuttosto che penetrativo [Oliffe J., 2005 ].

Le coppie possono dunque resistere all’imperativo coitale [McPhillips K, Braun V, Gavey N., 2001], o a quel modello biomedico del sesso che ritiene ‘disfunzioni sessuali’, tutto ciò che non rientra nel classico rapporto sessuale pene-vagina.

Maggiore attenzione dovrebbe invece essere data alla rinegoziazione delle pratiche sessuali e della vita intima dopo il cancro, cercando “strategie di successo da utilizzare per mantenere l’intimità sessuale” [Beck AM, Robinson JW, Carlson LE., 2009].

Terapie Sessuali

Studi recenti

  • Ussher, J. M., Perz, J., Gilbert, E, 2015.

Questi ricercatori hanno esaminato l’esperienza personale vissuta dopo il cancro. Quelli che seguono sono i relativi risultati.

La maggior parte dei partecipanti allo studio ha riferito significative riduzioni nella soddisfazione e la frequenza sessuale, così come i cambiamenti in una serie di attività sessuali specifiche. Queste riduzioni della frequenza e della soddisfazione sessuale dopo il cancro aumentano in modo significativo per tutti i tipi di tumori, anche quelli che non riguardano direttamente l’apparato genitale.

– Pratiche sessuali non coitali

Anche le pratiche sessuali non coitali, tra cui autoerotismo e masturbazione reciproca, sesso orale e baci, vengono ridotti significativamente, il che suggerisce che il rapporto sessuale diventi sempre più difficile o impossibile da realizzare, ma che anche altre forme d’intimità sessuale possono cessare. Tuttavia, alcune forme di intimità sessuale rimangono, anche se ridotte, in particolare baci e carezze, che sono le attività sessuali più praticate dopo il cancro, per entrambi i sessi.

– Fattori psicologici e psico-relazionali

I cambiamenti nella frequenza e nelle attività sessuali sono dovute alle conseguenze materiali del cancro, fra cui secchezza vaginale, disfunzione erettile, stanchezza, perdita di sensibilità, e dolore generale.

Tuttavia, i partecipanti hanno anche identificato  fattori psicologici come la paura, lo stress, la scarsa autostima, così come preoccupazioni circa l’aspetto e fattori relazionali, causati dai cambiamenti sessuali.

I fattori psico-sociali e relazionali possono essere visti sia come cause sia come conseguenze dei cambiamenti sessuali vissuti dopo il cancro,  un circolo vizioso che può portare difficoltà e sofferenza, soprattutto in assenza di informazioni o supporto.

– Genere Sessuale

Le donne partecipanti allo studio si sono preoccupate anzitutto della loro immagine corporea, dicendo di sentirsi poco attraenti.  Dopo il cancro le donne non si sentono adeguate allo stereotipo di bellezza corrente:  si sentono “diverse”, ‘inadeguate’, ‘grasse’, “ridicole”.

Gli uomini dello studio hanno parlato di preoccupazioni circa la loro virilità, concentrandosi sui sentimenti di inadeguatezza.

I ricercatori hanno scoperto che un certo numero di partecipanti conservava una maggiore fiducia sessuale, un’immagine di sé maggiormente positiva e una maggiore vicinanza relazionale con il/la partner. Questi partecipanti hanno riferito di essere molto meno critici nei confronti del proprio corpo dopo il cancro, meno insicuri della propria immagine, così come delle loro capacità sessuali.

– I partners

I comportamenti dei partners sono fondamentali perché vi sia una risposta positiva: l’ interesse e il desiderio del/della partner, piuttosto che il suo disgusto per le cicatrici chirurgiche, o l’uso di dispositivi medici come ad esempio il sacchetto di colostomia, fanno sicuramente la differenza.

  • Acquati C, et al. Cancer. 2017;doi:10.1002/cncr.31030.

– Giovani adulti

Più della metà dei giovani adulti con tumore ha riportato problemi di disfunzioni sessuali nei primi 2 anni successivi alla diagnosi, secondo questo studio investigativo pubblicato su Cancer.

Il funzionamento sessuale tra i giovani adulti affetti da cancro è significativamente influenzato dalla malattia e continua a essere problematico nel tempo. Ci sono poi variabili sociodemografiche, cliniche e psicosociali che contribuiscono alla probabilità di riportare la disfunzione sessuale.

Acquati e colleghi hanno analizzato i dati di 123 adulti di età compresa tra 18 e 39 anni (campione: 66% maschi, 53% bianchi, 35% ispanici / latini) a cui era stata diagnosticato:

– leucemia (15,4%),
– cancro al seno (14,6%),
– sarcoma dei tessuti molli  (12,2%),
– linfoma non Hodgkin (10,6%),
– carcinoma osseo (8,1%),
– cancro ai testicoli (8,1%),
– linfoma di Hodgkin (7,3%),
– cancro genitale femminile (5,7%)
– cancro al cervello (4,9%)
– altro (12,3%).

Tutti i pazienti hanno completato una scala di funzionamento sessuale entro i primi 4 mesi dalla loro diagnosi, 107 pazienti hanno completato la stessa indagine a 6 mesi e 95 pazienti hanno completato il sondaggio a 24 mesi.

Alla maggior parte dei partecipanti è stata diagnosticata una neoplasia a 20 anni (età media 29,2 anni); essi avevano ricevuto un trattamento, compresa la chemioterapia (71,5%); e avevano un rapporto di coppia stabile (57,7%).

Più della metà di tutti i pazienti giovani adulti ha riportato un certo grado di problemi con il funzionamento sessuale  (52%) e al follow-up a 6 mesi (54,2%). Dopo 2 anni, il 52% dei partecipanti riportava ancora disfunzioni sessuali.

La probabilità di riportare disfunzioni sessuali è aumentata dunque nel tempo (P <.01) ed era maggiore per le donne (P <.001), i pazienti più anziani (P <.01), i pazienti sposati o con relazione stabile (P <.001) e quelli trattati con chemioterapia (P <.05).

I giovani adulti coinvolti in una relazione stabile sembrano avere maggiori probabilità di sperimentare disfunzioni sessuali (P <.001).

Dr. Walter La Gatta

Fonti:
Ussher, J. M., Perz, J., Gilbert, E., & The Australian Cancer and Sexuality Study Team. (2015). Perceived causes and consequences of sexual changes after cancer for women and men: a mixed method study. BMC Cancer, 15, 268. http://doi.org/10.1186/s12885-015-1243-8

Acquati C, et al. Cancer. 2017;doi:10.1002/cncr.31030.

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Disturbi d’ansia, Timidezza e Fobie sociali.

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EMDR - Eye Movement Desensitization and Reprocessing

EMDR – Eye Movement Desensitization and Reprocessing

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Articolo datato

La psicoterapia ipnotica e l’Eye Movement Desensitization and Reprocessing (EMDR; Shapiro, 1995) sono due modalità di intervento che hanno dimostrato di essere altamente efficaci nel trattamento dei disturbi connessi ai traumi, soprattutto con popolazioni di pazienti normalmente resistenti a psicoterapie essenzialmente verbali come coloro che sono stati oggetto di violenze sessuali gravi e prolungate, i reduci da combattimenti bellici e soggetti esposti a catastrofi (Levin, Lazrove, van der Kolk, 1999; Maldonado, Spiegel, 1994, 1998; Parnell, 1999; Shapiro, 1995; van der Kolk et al., 1997).

Negli ultimi anni si sta producendo una sempre più vasta letteratura tesa alla verifica empirica degli effetti di differenti interventi psicoterapeutici sui disturbi post-traumatici e, più specificatamente, sul PTSD secondo la concettualizzazione del DSM-IV. Come purtroppo avviene abitualmente, la globalità delle ricerche non è concorde, ma emerge una sostanziale direzione di dati che conferma la notevole efficacia sia dell’EMDR che della psicoterapia ipnotica, in diversi casi riconoscendo la superiorità di tali metodiche rispetto ai più comuni e sperimentati approcci psicoterapici (Parnell, 1999; Sherman, 1998; Van Etten, Taylor, 1998; Wilson, Becker, Tinker, 1995).

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In alcuni casi in cui viene riconosciuta una sostanziale omogeneità dei risultati degli approcci più efficaci, viene però sottolineata una maggiore brevità di applicazione, per esempio dell’EMDR rispetto agli approcci comportamentali di esposizione o flooding (Shapiro, 1999). Nella valutazione di tali ricerche bisogna però tenere presenti alcuni elementi importanti: 1) il PTSD è solo una modalità di manifestazione degli esiti post-traumatici; 2) rispetto all’EMDR, con la psicoterapia ipnotica è molto più difficile approntare protocolli standard di intervento e ricerca; 3) attraverso il dispositivo ipnotico vengono spesso implementati interventi terapeutici di stretta derivazione comportamentale. Tali variabili rendono i dati delle ricerche tutt’altro che esaustivi.

La psicoterapia ipnotica e l’EMDR, inoltre, possono essere valutati come eccellenti candidati per l’applicazione di una psicoterapia integrazionale meta-teoretica ed orientata al risultato, potendo implementare una vastissima quantità di strategie di intervento provenienti da molteplici tradizioni di ricerca psicoterapeutiche (Pennati, 1995a; Phillips, Frederick, 1995; Shapiro, 1995).

Il termine psicoterapia ipnotica, come noto, è piuttosto vago, racchiudendo al suo interno una notevole varietà di approcci e metodologie (Mosconi, 1998). La psicoterapia ipnotica alla quale mi riferisco non è quella che impiega la suggestione come elemento terapeutico fondamentale, ma che piuttosto, consapevole dell’etiologia post-traumatica reale di molti disturbi, ha negli anni prodotto metodi di intervento efficaci tendenti all’integrazione del materiale mnestico escluso dell’unitarietà della persona (Giannantonio, 2000; Phillips, Frederick, 1995; Pennati, 1995a; Maldonado, Spiegel, 1994).

Alcune modalità tipiche d’intervento prevedono il riaccesso ai ricordi traumatici in una condizione di sicurezza psicofisiologica (Giannantonio, Boldorini, 1998) che consente, modulando opportunamente lo stato di coscienza, l’implementazione di una vastissima messe di risorse immaginative, somatiche e cognitive della persona. Ciò consente di intervenire sui ricordi traumatici facilitando enormemente l’abreazione, il distacco, la rielaborazione ed il superamento di barriere dissociative e connesse alla memorizzazione stato-dipendente (Giannantonio, Boldorini, 1997; Giannantonio, 2000).

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L’EMDR è un approccio terapeutico inventato nel 1987 dalla psicologa americana Francine Shapiro, inizialmente come terapia specifica del PTSD, successivamente esteso ad altre patologie. Si fonda innanzitutto sulla scoperta che alcuni tipi di stimolazione bilaterale indotti nel paziente (che producono, ad esempio determinati movimenti oculari) tendono a produrre la ripresa dell’elaborazione di materiale mnestico altrimenti non elaborato.

Molto rilevante è l’assessment notevolmente diversificato e preciso richiesto dall’approccio EMDR, che comprende valutazioni fini sulle emozioni, sensazioni, cognizioni, comportamenti ed aspetti immaginativi della persona, elementi tutti che entreranno a fare parte del target sul quale si interviene. In linea con la specificità dei disturbi post-traumatici, una posizione particolare viene riservata (come in certi orientamenti di psicoterapia ipnotica) alla componente somatica del processo del ricordare, sulla quale viene sempre posta l’accento per verificare l’effettiva efficacia dell’intervento. Tale dispositivo induttore di cambiamento è stato a più riprese integrato all’interno di una cornice operativa e teoretica di sempre maggior respiro, che prende spunto dai maggiori approcci psicoterapeutici.

Ritengo che tali approcci alla psicoterapia abbiano molti elementi in comune che li rendono efficaci per questo tipo di patologie:

1) consentono di lavorare direttamente sulla memoria procedurale, emotiva, viscerale delle persone traumatizzate, anche in assenza di memorie episodiche;

2) consentono l’integrazione fra i differenti tipi di memoria;

3) possono essere impiegate in modo estremamente ecologico e rispettoso della spontaneità del paziente, come indica emblematicamente l’approccio di utilizzazione di Milton Erickson (Erickson, Rossi, 1979), ma anche l’approccio generale dell’EMDR, che tende a non intervenire mai nell’elaborazione mnestica del paziente a meno che tale processo non sia ostacolato nella sua progressione;

4) sono più rapide di molte altre metodiche (Shapiro, 1999);

5) sono particolarmente efficaci nel trattamento di materiale dissociato e codificato in modo stato-dipendente;

6) le osservazioni cliniche di alcuni terapeuti esperti in entrambi gli approcci lasciano pensare, ma ciò è completamente da verificare, che entrambi i dispositivi implementino quella che la Shapiro denomina “elaborazione accelerata dell’informazione”;

7) molti modelli di intervento provenienti dalla tradizione ipnotica sono esplicitamente trasferibili tout court nell’operatività dell’EMDR (Manfield, 1998; Parnell, 1999);

8) sono molto efficaci nel ridurre l’iperassociazione e la dissociazione, spesso presenti congiuntamente in molti traumi (van der Kolk et al., 1997), disponendo di strategie che producono un forte senso di controllo su eventuali esperienze abreattive;

9) sono strumenti estremamente flessibili nella integrazione di risorse poco fruibili o francamente dissociate;

10) consentono una vivida produzione di esperienze interpersonali profondamente mutative atte ad integrare le precedenti esperienze di attaccamento deficitarie o patologiche (Giannantonio, 2000; Manfield, 1998; Parnell, 1999), approccio magistralmente esemplificato da Milton Erickson (Erickson, Rossi, 1989).

Dr. Michele Giannantonio

Per una bibliografia esaustiva ed aggiornata sugli studi di validazione dell’EMDR è possibile consultare quella presente nel sito internet dell’EMDR Institute.

Il pezzo presentato è tratto dall’articolo pubblicato sulla rivista “Attualita in Psicologia”, Volume 15, n. 3, Luglio-Settembre 2000: 336-345 denominato: Trauma, psicopatologia e psicoterapia L’efficacia della psicoterapia ipnotica e dell’Eye Movement Desensitization and Reprocessing (EMDR).

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Leggi anche, dello stesso autore, Psicoterapia e Traumi

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