Freud e la psicoanalisi selvaggia

La psicoanalisi selvaggia: ciò che preoccupava Freud

Un brevissimo scritto di Freud del 1910 ci parla del pericolo della ‘psicoanalisi selvaggia’, ovvero di quelle interpretazioni errate della teoria e della tecnica terapeutica psicoanalitica, fornite da analisti che non hanno ricevuto un’opportuna formazione.

In particolare Freud se la prende con quegli psicoanalisti che usano fornire troppe spiegazioni ‘tecniche’ al paziente.

Non è vero, secondo Freud, che il paziente soffre perché ‘non sa’ ; pertanto, l’idea di comunicargli tutti i particolari della sua vita interiore e di ciò che ha rimosso, al fine di portarlo alla guarigione, è totalmente sbagliata.

Al limite, queste spiegazioni potrebbero essere considerate un preliminare alla psicoanalisi vera e propria, ma non di più. Per dirla con le parole di Freud: “Se la conoscenza dell’inconscio fosse tanto importante per il paziente quanto ritiene chi è inesperto di psicoanalisi, basterebbe per la guarigione che l’ammalato ascoltasse delle lezioni o leggesse dei libri. Ma tali misure hanno sui sintomi della malattia nervosa la stessa influenza che la distribuzione di liste di vivande in tempo di carestia può avere sulla fame”.

Freud scrisse dunque in questo breve saggio che era molto difficile imparare la psicoanalisi e che si sarebbe dovuta fondare un’organizzazione per insegnare le tecniche psicoanalitiche e qualificare gli analisti, al fine di livellare la “personale equazione” degli analizzandi, “cosicché un giorno possa essere raggiunta una soddisfacente concordanza” tra gli analisti.

Il movimento psicoanalitico istituzionalizzò dunque, a seguito di queste indicazioni di Freud, un proprio sistema formativo già dal 1925, le cui pietre angolari furono individuate nel curriculum e nell’analisi didattica. Le voci critiche su questo punto non sono mai mancate : infatti, il movimento psicoanalitico è, da sempre, considerato molto, troppo, ‘chiuso’, quasi come fosse una Chiesa (con relativi indottrinamenti agli adepti) e non un movimento. Altro punto ‘critico’ dell’analisi ‘didattica’ cui devono sottoporsi gli aspiranti psicoanalisti è la difficoltà ad entrare nel movimento e la possibilità di esserne esclusi senza potersi difendere (è il caso della famosa psicologa dell’età evolutiva, Margaret Mahler, la cui analisi didattica fu interrotta dalla psicoanalista Helene Deutsch, che riteneva la Mahler ‘inanalizzabile’…).

Un’altra curiosità: fino al 1933 l’analisi didattica durava 12-18 mesi al massimo, oggi dura più di mille ore, con sedute di 4-5 volte alla settimana.

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Dott.ssa Giuliana Proietti

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