Quando Freud fu abbandonato da Adler, Stekel e Jung
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“Ritengo che quando sarà giunto il momento di scrivere la storia del periodo che abbiamo attraversato, la scienza tedesca non avrà motivo di sentirsi orgogliosa di coloro che la rappresentarono ufficialmente. Non alludo al fatto che essi abbiano avversato la psicoanalisi o al modo con cui lo hanno fatto – fatti comprensibili e largamente prevedibili, e che comunque non possono gettare alcun discredito sugli avversari di una teoria. Quello che invece non si può perdonare è l’arroganza che essi mostrarono, l’incoscienza con cui passarono sopra alla logica, ed il cattivo gusto delle loro accuse. Si potrà pensare che sia puerile, da parte mia, dare sfogo a questi sentimenti a quindici anni di distanza dall’accaduto, e ne farei volentieri a meno, ma devo aggiungere un’altra cosa. Vari anni dopo, durante la guerra mondiale, quando un coro di voci nemiche mosse alla nazione tedesca le colpe da me elencate più sopra, fui profondamente amareggiato nel constatare che la mia esperienza non mi consentiva di smentirle.”.
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A parlare è Sigmund Freud (nella foto a sinistra ritratto nel 1911) che nella sua autobiografia scrive queste parole per ricordare il periodo infausto della sua vita in cui dovette subire lo scisma dei suoi allievi più cari e più vicini: allontanamenti che Freud sentì come dei veri e propri tradimenti.
Siamo nel 1911 e Freud era molto preoccupato per l’opposizione interna che si era venuta a creare nel movimento psicoanalitico. Ciò lo preoccupava più delle critiche che riceveva dall’esterno: infatti pensava che tutte queste nuove idee, che ricadevano comunque sotto la denominazione di “psicoanalisi” avrebbero rimescolato e confuso le cose a tal punto, che un giorno sarebbe diventato difficile comprendere che cosa fosse, o non fosse, la psicoanalisi. (Ricordiamo che Freud era seriamente convinto che la sua creazione fosse una delle scoperte più decisive e di più vasta portata che l’uomo avesse mai fatto sulla via dell’autoconoscenza e dunque si sentiva in dovere di difenderla in modo instancabile e inflessibile).
Il primo a prendere le distanze dal Maestro fu Alfred Adler, che diede vita alla psicologia individuale, una psicologia che non teneva in alcun conto i concetti di rimozione, sessualità infantile ed inconscio. Con Adler se ne andarono altri membri del movimento: non perché condividessero le idee di Adler, ma perché turbati dall’intolleranza e dalle aspre critiche di Freud stesso e dei suoi seguaci. Molti pensarono che un atteggiamento del genere violasse la ‘libertà della scienza’.
Quanto a Stekel, egli pubblicò nel 1911 un libro sui sogni che Freud trovò “…mortificante per noi, malgrado i nuovi contributi che apporta” e che Ferenczi definì “umiliante e disonesto”. Stekel ottenne comunque un notevole successo con il suo trattato sul simbolismo nei sogni, tanto da volersi misurare col Maestro, ovviamente senza successo. Dopo le dimissioni di Adler arrivarono dunque quelle di Stekel, che però furono meno traumatiche, in quanto sembra che Freud non avesse mai preso questo collega troppo sul serio, pur riconoscendone le qualità.
Con Jung la separazione avvenne nel 1912, a seguito delle sempre maggiori divergenze teoriche sul concetto di libido. Così Freud scrisse a Ferenczi della rottura con lo psichiatra svizzero: ”Penso che non vi siano più speranze di raddrizzare gli errori di quelli di Zurigo, e credo che tra due e tre anni ci muoveremo in direzioni completamente diverse, senza nessuna comprensione reciproca… Il modo migliore di difendersi da ogni amarezza è quello di non aspettarsi nulla, o meglio di aspettarsi il peggio: Glielo raccomando. Seguiremo il nostro destino continuando a lavorare senza curarci del chiasso, come l’orefice di Efeso.”
Fonti:
Ernest Jones, Vita e opere di Freud, il Saggiatore, Milano,
Hanns Sachs, Freud, maestro e amico, Astrolabio.
Dott.ssa Giuliana Proietti
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