Sopra: Il piroscafo George Washington, che Freud Jung e Ferenczi utilizzarono per andare in America
Nel 1909 sia Freud che Jung furono invitati a tenere un ciclo di conferenze alla Clark University (Worcester, Mass.). Dopo una vacanza con la famiglia sulle Alpi Bavaresi, il alle cinque e mezzo del mattino, Freud giunse il 20 Agosto 1909 a Brema con il treno: qui si incontrò con Jung e Ferenczi.
I tre mangiarono presso l’Essinghaus, un ristorante che si trovava in un antico edificio del porto. Fu in questa occasione che Freud svenne sentendo Jung parlare dei cadaveri trovati nelle torbiere al nord della Germania.
L’indomani i tre colleghi si imbarcarono per la traversata. Cullati dai lunghi giorni di nave e lontani dal ritmo incalzante a cui li costringeva l’attività professionale, i tre passarono molto del loro tempo ad analizzarsi reciprocamente i sogni. Sebbene Ferenczi si sentisse molto inferiore ai suoi compagni di viaggio in questa attività di interpretazione, non aveva timore nel riferire a Freud cosa pensava riguardo ai sogni del Maestro.
Ad esempio l’insoddisfazione per l’ambiente viennese che Freud spesso manifestava era, secondo l’analisi di Ferenczi, più una insoddisfazione e preoccupazione per l’ambiente familiare, una ‘insoddisfazione dell’anima’, con le sue implicazioni anche sessuali.
Con Jung non c’era la stessa confidenza. Ricorda Jung: “Eravamo insieme ogni giorno e analizzavamo i nostri sogni. In quel periodo ebbi alcuni sogni importanti, ma Freud non riusciva a capirne nulla. Non per questo lo criticavo, poiché a volte avviene anche al migliore analista di non saper risolvere gli enigmi di un sogno. Era un insuccesso umano, che non mi avrebbe mai fatto smettere le nostre analisi: al contrario, esse avevano per me un gran valore e la nostra amicizia mi era oltremodo cara. Consideravo Freud una personalità più anziana, più esperta e matura, e mi sentivo come un figlio suo. Ma poi capitò qualcosa che inferse un duro colpo alla nostra amicizia”.
Freud ebbe un sogno, che Jung interpretò come meglio poteva, ma aggiunse che si sarebbe potuto dire molto di più se solo avesse potuto conoscere qualche particolare in più sulla vita privata del Maestro. A queste parole, Freud lo guardò sorpreso, con uno sguardo carico di sospetto, e poi disse: “Non posso mettere a repentaglio la mia autorità”. Come ricorda Jung: “in quello stesso momento l’aveva persa del tutto. Quella frase si impresse come un marchio indelebile nella mia memoria” (C.G. Jung Ricordi, sogni, riflessioni).
Nonostante queste tensioni, il viaggio fu gradevole e a Freud fece piacere sorprendere un giorno il suo attendente di cabina mentre leggeva il suo libro Psicopatologia della vita quotidiana. Freud annotò che la vita di bordo si svolgeva stranamente quieta e in sordina, fatta eccezione per “il suono lacerante dei corni da nebbia”.
Quando il 29 agosto la George Washington attraccò a New York, Abraham Brill si trovava sul molo ad aspettarla. Si racconta che, vedendo la Statua della Libertà, Freud abbia detto a Jung una fatidica frase: “Ma lo sanno (gli americani) che gli stiamo portando la peste”? Fu Lacan a riferire questa frase, durante una conferenza dal titolo La chose freudienne (Vienna, 1955). Lacan disse di averla appresa direttamente da Jung.
Fonti:
De Lauretis, Soggetti eccentrici, Feltrinelli
Jung C.G. Ricordi, sogni, riflessioni, Rizzoli
Donn L. Freud e Jung, Leonardo
Dott.ssa Giuliana Proietti

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Dr. Giuliana Proietti
Psicoterapeuta Sessuologa
ANCONA FABRIANO CIVITANOVA MARCHE ROMA
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