Freud nevrotico (per autodiagnosi)

I problemi di Freud aumentarono quando, nel 1896, morì il padre (anni dopo avrebbe detto: ‘La sua morte mi ha rivoluzionato l’anima’). Con il passare dei mesi ci furono giorni in cui non riusciva assolutamente a lavorare: era chiuso, letargico e indifferente.

Così descriveva la sua situazione a Fliess: “Strani stati, incomprensibili alla coscienza, pensieri subliminali, dubbi confusi a stento illuminati ogni tanto da un barlume di coscienza“.
Disorientato, riusciva a stento a continuare la sua attività lavorativa. “Non riesco ancora a capire che cosa mi stia succedendo. Dal più profondo recesso della mia nevrosi qualche cosa si oppone al benché minimo passo avanti nella comprensione delle nevrosi stesse, e in un modo o nell’altro c’entri anche tu” scrisse un giorno a Fliess. La loro amicizia durava da dieci anni e cominciava a mostrare le prime crepe.

Freud cominciò a ripercorrere i momenti della sua infanzia, esplorando il suo inconscio attraverso l’analisi dei sogni ed in questo modo cercava di uscire dalla depressione. Allo stesso tempo metteva a punto quei concetti che un giorno l’avrebbero fatto diventare il padre della psicoanalisi.

Freud scoprì in sé stesso un sentimento di ostilità nei confronti della figura paterna, che aveva posseduto sua madre. Fu costretto così a constatare in sé il desiderio sessuale del bambino per la propria madre, così come alla base della sua primissima esperienza sessuale fu riconosciuto il rapporto con la vecchia e brutta bambinaia che gli parlava di Dio e dell’inferno. Il rapporto con il nipote, di un anno più vecchio di lui, fu considerato il modello del lato nevrotico delle sue amicizie successive.

Ricordò la gelosia per il suo fratellino ed i successivi sensi di colpa dopo la sua morte. Diede sempre maggiore importanza alla resistenza, considerata come persistenza di caratteristiche infantili.

“Scavo fino alle radici di molti dolorosi segreti dell’esistenza” scriveva “e scopro le basse origini di gran parte dell’orgoglio o dei privilegi. Certe volte mi trascino affranto perché non riesco a capire nulla del sogno, della fantasia, dello stato d’animo di quella giornata: ritrovo allora in me, ma in terza persona, tutto ciò che avevo sperimentato con i miei pazienti“.

Freud era molto preoccupato per la sua salute psichica: “Il malato che oggi più mi preoccupa sono io stesso” scrisse a Fliess il 14 Agosto 1897 ed aggiunse che la sua autoanalisi era più difficile di ogni altra. Con il passare dei mesi Freud cominciò a chiedersi se le tematiche che poteva rintracciare in sé stesso potessero essere generalizzabili a tutti gli esseri umani. Arrivò alla conclusione che la sua storia era universale, anche perché poteva confrontarla con quella dei suoi pazienti.

Nella lettera del 3 Ottobre 1897 Freud scrisse a Fliess: “Non posso darti un’idea della bellezza intellettuale del lavoro”.

Le lettere a Fliess divennero nel frattempo sempre meno frequenti e sempre più brevi e manifestarono uno spostamento dalla dipendenza alla competizione: Freud era guarito.

All’inizio del 1898 cominciò a scrivere un libro sui sogni.

Leggi anche:  La psicologia ci insegna a vivere bene

Freud, Lettere a Wilhelm Fliess in Donn, Freud e Jung, Leonardo
Ellenberger, La scoperta dell’inconscio, Boringhieri

Dott.ssa Giuliana Proietti Ancona

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