Ho l’ansia da prestazione – Prof. Giorgio Rifelli

Ho l’ansia da prestazione
Prof. Giorgio Rifelli

Psicolinea

Terapeuti di Psicolinea:
Dr. Giuliana Proietti - Tel. 347 0375949
Dr. Walter La Gatta  -   Tel. 348 3314908

Costo della Terapia online, Individuale e di Coppia, 70 euro

“Ho l’ansia da prestazione, si perché, vede, quando sono con una ragazza mi viene una roba quì (nel petto) e non riesco a combinare nulla. Adesso ho 26 anni sono 9 anni che vado avanti così, poi, non ci crederà, ma a stare con le ragazze e attaccare bottone o andare in discoteca ci so fare, sono svelto, i miei amici mi vogliono sempre con loro. Ma poi, quando sono solo con qualcuna che magari ci sta sento che non và e allora faccio il santarellino, dico che non voglio approfittarmi di nessuno e poi la seconda volta non ci esco più […] Dicevo che questo mi succede da nove anni perché prima ero tranquillo, ho sempre vissuto bene, a scuola o a casa. Sono figlio unico, nessuno che mi disturba. A casa ci vivo ancora adesso; con i miei non ci sono problemi anzi forse proprio per questo, chissà… insomma prima stavo bene, mi masturbavo, nessun problema… poi mia madre che mi ha sempre seguito, mi ha regalato uno di quei librini per educare al sesso. Avevo 17 anni, c’era scritto che la prima volta poteva non andare bene perché c’è l’ansia da prestazione… si insomma si fa cilecca. Io la prima volta ancora non l’avevo fatta e, la farà ridere, cominciai a pensarci. Mi dicevo che se era così facile che succedesse sarebbe successo anche a me e mi preoccupavo. Probabilmente prima non ce l’avevo, ma poi mi è venuta. Così dopo un anno quando sono uscito con la prima ragazza che ci stava ho avuto l’ansia da prestazione e adesso è lo stesso e l’ansia da prestazione non mi è passata nemmeno con quelle pillole nuove….

A29/A8

Indottrinati dai mass media spesso i pazienti si fanno la diagnosi da soli e altrettanto spesso chiedono la cura che hanno già scelto. In questo non sembra esserci nulla di nuovo almeno da quando i medici non parlano più oscuri linguaggi latiniformi e le persone sono sempre più giustamente coinvolte nel provvedere alla propria salute.

Sembrerebbe non esserci nemmeno nulla di male anche se, come professionisti della salute, medici o psicologi o consulenti o quant’altro, ci sentiamo sempre un poco defraudati dalle diagnosi-terapie già confezionate che ci consegna il paziente e alle quali crede ed è affezionato tanto che, quando sono sbagliate, difficilmente viene accolta la soluzione fornita da chi di mestiere. Ansia da prestazione è espressione recente che ha raccolto particolari fortune e si è diffusa rapidamente, piace più di impotenza termine utilizzato ancora dai media quando vogliono insistere con le cattive notizie e le prospettive catastrofiche così come fanno per la finanza, la politica, la sanità, i programmi televisivi e la raccolta di pomodori.

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Tuttavia, a ben guardare, le due espressioni sono particolarmente diffuse e probabilmente non a caso qualche anno addietro un lettore ultrasettantenne insorse contro la notizia che tre milioni di italiani sono impotenti e la maggior parte di loro hanno per l’appunto superato i settanta anni. Secondo quel lettore non era corretto, anzi era offensivo considerare impotenti uomini come lui che avevano volutamente abbandonato l’attività sessuale considerando conclusa la vicenda procreativo-erotico-sentimentale.

Lo scritto di quel signore di oltre settanta anni ci fu prezioso e lo conserviamo ancora. Non sono gli altri che possono decidere se una persona è impotente. Ciascuno nella propria diversità è nelle condizioni di valutare il proprio stato di salute sessuale e non sessuale. Il deficit erettile che non si accompagna ad un vissuto di insufficienza o incapacità non fa impotenza. L’argomento e l’esempio offerto dall’anonimo lettore ci è stato funzionale per dimostrare la necessità di spostare l’attenzione dalla oggettività dei rilievi clinici alla soggettività delle interpretazioni personali, ma ci eravamo fermati qui. Oggi ne impariamo una nuova.

L’editoriale del bollettino d’informazione sui farmaci (XII, 3, 2005) edito dal Ministero della Salute dal titolo “Nasce prima il farmaco o la malattia” porta l’attenzione sulle strategie adottate dai produttori di farmaci per “inculcare” nella mente dei medici e dei pazienti l’esistenza di una determinata malattia in maniera da aprire un mercato potenziale che si espande quanto più è efficace la mala-informazione.

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Occorre un problema reale opportunamente ridefinito. L’esempio proposto è quello dell’osteoporosi: “L’osteoporosi è un processo legato all’età e presenta realmente uno dei tanti fattori di rischio di fratture. La si reinterpreta prima come malattia e se ne dà poi una definizione su base strumentale che conferisce alla diagnosi un elemento di obiettività, stabilendo una soglia quantitativa necessariamente arbitraria. In questo modo risulta facile raggiungere tre obiettivi, tutti importanti per il mercato: (a) si riconduce la prevenzione delle fratture (vero obiettivo di salute) al solo rinsaldamento delle ossa; (b) si riduce la molteplicità di possibili interventi per rendere salde le ossa ai soli farmaci; (c) si aumenta il numero di soggetti da trattare per scongiurare una singola frattura.”

Dunque la rarefazione dell’osso da fattore di rischio diventa malattia, ma non è il solo artificio di mercato, stanno per essere promosse come malattia i disturbi dell’alvo: (da fastidi leggeri a sintomi di malattie gravi per l’abbassamento degli standard che definiscono la stitichezza), mentre vi figurano già la calvizie (da inconveniente ordinario a problema medico), la fobia sociale (da malessere sociale o personale a disturbo psichico) e non ultima, meraviglia delle meraviglie, proprio la nostra disfunzione erettile (da difficoltà occasionale a patologia frequente e diffusa).

Non si parla ancora della andropausa che alla pari dell’equivalente femminile dicono meriterebbe essere “curata” con terapie sostitutive, forse per adesso è sufficiente avere l’ansia da prestazione.

Giorgio Rifelli

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