La libido in Freud e Jung

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Libido: come si pronuncia

La prima domanda che potremmo porci, affrontando il tema della libido, è semplice ma essenziale: l’accento va sulla prima o sulla seconda “i”? La risposta corretta è la seconda: la pronuncia giusta è libìdo, che riflette quella latina.

Cosa significa “libido”?

Si tratta di un termine latino, che significa ‘piacere’, “libidine”.

Sigmund Freud, la libido e la psicoanalisi

Il termine “libido”, sebbene molto antico, è stato reso noto da Sigmund Freud, che lo ha utilizzato in psicoanalisi per designare l’energia corrispondente all’aspetto psichico della pulsione sessuale (“chiamiamo “libido” – o desiderio sessuale – la forza psichica che rappresenta l’istinto sessuale”).

La libido, che ciascuno ha in dotazione dalla nascita, può essere investita, cioè diretta, verso se stessi o verso oggetti esterni, sia per condizioni congenite (temperamento), sia ambientali.

Secondo Freud, la pulsione, che spinge l’individuo verso una meta, ha la sua fonte in un eccitamento somatico, la sua meta nel sopprimere tale tensione, il suo oggetto nel mezzo che permette il raggiungimento del fine.

La carica energetica che alimenta l’intero processo è la libido. La pulsione tende spontaneamente al piacere e solo l’impossibilità di raggiungere l’appagamento qui e ora (‘principio di piacere’) la sottomette alle mediazioni del ‘principio di realtà’.

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La libido è originariamente contenuta nell’Es, che è la sede di tutte le pulsioni, e solo col tempo investe altre funzioni dell’apparato psichico. Nei Tre saggi sulla teoria sessuale (1905), Freud descrisse lo sviluppo psicosessuale in diverse fasi, caratterizzate in base al primato di una zona erogena.

Si inizia con la fase orale (la libido è investita nella bocca e il piacere nasce dal succhiare il latte), poi c’è la fase anale (il piacere è tratto dal ritenere le feci), la fase fallica (il piacere è tratto dal giocare coi genitali) e infine, dopo una fase di latenza in cui la libido resta dormiente, essa viene investita nella fase genitale, in cui si è pronti per la relazione con un’altra persona.

Le fissazioni precedenti, nelle zone orale e fallica, non scompaiono completamente. Quando sono molto marcate danno vita alle perversioni.

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La teoria della libido fu formulata da Freud per la prima volta intorno al 1890 circa, affrontando i temi della nevrastenia e della nevrosi d’angoscia, ma il fondatore della psicoanalisi la elaborò più volte nel corso della sua esperienza clinica, dandole significati a volte differenti e perfino in contrasto fra loro.

Ciò che è importante sottolineare è che Freud, malgrado i diversi cambiamenti da lui stesso apportati alla sua teoria, considerò sempre irrinunciabile il fatto che la libido avesse una matrice esclusivamente sessuale. Lo considerava una specie di marchio di fabbrica della psicoanalisi: la sua intransigenza gli valse la rottura dapprima con Josef Breuer, con il quale aveva scritto Studi sull’isteria (1892-95), e poi con i suoi principali allievi, Alfred Adler e Carl Gustav Jung.

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Carl Gustav Jung, la libido e la psicologia analitica

Per Jung il termine ‘libido’ designa l’energia psichica generale, presente in tutto quello che è ‘appetitus’ o ‘spinta vitale’, non necessariamente sessuale.  Il desiderio suscitato dalla libido non è controllato da alcun tipo di autorità, morale o altro: è l’appetito nel suo stato naturale, un bisogno del corpo come la fame, la sete, il sonno, il sesso, oppure gli stati emotivi e affettivi.

Per lo psicoanalista svizzero, la libido si esprime solo attraverso i simboli, che mediano fra la parte conscia e la parte inconscia dell’essere umano. In un secondo periodo Jung rinunciò al termine “libido”, preferendogli quello di “energia psichica” per intendere ciò che riesce a motivare l’individuo a livello spirituale, intellettuale e creativo.

Dott.ssa Giuliana Proietti

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