Pro e contro il complesso edipico

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Nell’Ottobre del 1897, Sigmund Freud scrisse al suo collega ed amico Wilhelm Fliess: «Ho trovato in me, come negli altri, dei sentimenti d’amore verso mia madre e di gelosia verso mio padre, sentimenti che sono, credo, comuni a tutti i bambini ». Per Freud infatti il complesso edipico è una fatalità che si verifica per tutti, sin dalla notte dei tempi, verso i tre anni.

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La sua teoria calzava bene nei confronti del maschietto, mentre era più difficile da adattare al caso delle femmine, dal momento che anche le bambine avevano, incontestabilmente, come primo oggetto d’amore la mamma e dunque non poteva esserci un adattamento simmetrico della teoria.

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Gli attacchi alla teoria del complesso edipico furono forti ed immediati, a partire da quelli del presunto erede di freud, Carl Gustav Jung, e poi di quelli di Sandor Ferenczi. Un intellettuale americano, Jeffrey Moussaieff Masson, ha aperto una polemica nel 1984 con il saggio: «The Assault on Truth: Freud’s Suppression of the Seduction Theory »

Nel saggio, Freud viene descritto come un bugiardo, un impostore, un odioso maschilista, che nega le violenze subite dalle bambine. I filosofi Gilles Deleuze e Félix Guattari uscirono con «L’anti-oedipe» (Les Editions de Minuit) nel 1973, con l’intento di riesaminare la teoria edipica, alla luce del fatto che per Freud l’omosessualità era ancora una perversione.

Del resto anche l’antropologia e l’etnologia avevano nel frattempo criticato l’idea di un complesso edipico universale: infatti, in alcune etnie, specialmente africane, molte società sono matriarcali e il padre ha, in quei contesti, un ruolo decisamente secondario.

Claude Lévi-Strauss giudicava invece tropo parziale la scelta di questo mito per spiegare la complessità della psicologia umana.

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Gli psicoanalisti hanno risposto a queste contestazioni sostenendo che il complesso edipico richiede sostanzialmente un trio di persone: un bambino che ha un rapporto fusionale con un genitore e un terzo, un ‘separatore’, un rappresentante del mondo esterno, della Legge, che vuole sottrarre il piccolo a questa fusione. Detto questo, poco importa chi siano gli attori: padri, madri, zii eccetera.

Viene da chiedersi allora cosa potrebbe essere l’Edipo se una madre alleva da sola i propri figli, come spesso accade. L’essenziale, risponde qyi lo psicoanalista Juan David Nasio nel suo «L’oedipe, le concept le plus crucial de la psychanalyse» (Payot, 2005) è che il figlio non sia l’unico amore della madre. Se la madre non ha un partner, la figura del padre può essere sostituita da un terzo che attrae il suo desiderio e che si interpone fra madre e figlio, permettendo a quest’ultimo di raggiungere l’autonomia.

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Insomma, per i freudiani non ci sono dubbi: il complesso edipico è ancora la fase cruciale dello sviluppo psicologico. Esso ci insegna a canalizzare le nostre pyulsioni, a rinunciare ai desideri impossibili, integrando la proibizione dell’incesto. Senza l’Edipo non diventeremmo mai degli esseri sociali, saremmo incapaci di amare e di costruire un rapporto di coppia, o una famiglia.

Per gli psicoanalisti ortodossi siamo dunque ancora ben lontani dal colpo finale che potrebbe uccidere la psicoanalisi.

Adattato da Le Matin

Dott.ssa Giuliana Proietti

 

Dr. Giuliana Proietti

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