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Tag Archives: Infanzia e Adolescenza

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La menzogna nel bambino

La menzogna nel bambino

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La menzogna nei bambini è un comportamento che, sebbene possa preoccupare genitori e educatori, è una parte normale del loro sviluppo cognitivo e sociale. Comprendere le cause e i meccanismi della menzogna nei bambini può aiutare gli adulti a gestire meglio queste situazioni e a guidare i bambini verso comportamenti più appropriati. Cerchiamo allora di saperne di più.

Cosa è la menzogna?

E’ un’alterazione o falsificazione verbale della verità, perseguita con piena consapevolezza e determinazione.

Quando  inizia a mentire il bambino?

Nel bambino la distinzione fra vero e falso, poi tra verità e menzogna, avviene in maniera graduale. Prima dei sei anni non si può parlare di menzogna nel bambino in quanto il piccolo non è ancora in grado di distinguere fra la bugia vera e propria, l’attività ludica e la fantasia.

Quali sono le cause della menzogna nei bambini?

Nei primi anni di vita, i bambini sviluppano la capacità di distinguere tra realtà e fantasia. La menzogna può emergere come parte di questo processo.

Spesso i bambini mentono per evitare punizioni o rimproveri. Questa forma di menzogna è una strategia di difesa per evitare situazioni spiacevoli o dolorose.

I bambini possono anche mentire per soddisfare le aspettative degli adulti o per evitare di deludere genitori e insegnanti. Questo tipo di menzogna è motivato dal desiderio di approvazione e affetto.

Man mano che crescono, i bambini iniziano a comprendere le dinamiche sociali e possono usare la menzogna come strumento per testare i limiti, influenzare i coetanei o ottenere vantaggi.

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Quali sono i tipi di menzogna nei bambini?

Ne esistono di vari tipi:

  • 1. Menzogna Utilitaristica: è la bugia detta per trarne un vantaggio o evitarsi un fastidio. Un esempio tipico è la falsificazione del voto scolastico. Di fronte a questa condotta diventa molto importante la risposta dell’ambiente (familiare o scolastico).

    Se ad esempio la famiglia risulta essere disattenta o troppo ‘credulona’, rischia di favorire l’utilizzo frequente di questa menzogna. Allo stesso tempo però, un atteggiamento troppo rigoroso e moralizzante può scatenare una condotta ancora più menzognera…

    Il comportamento più adeguato appare allora quello in cui il genitore mette in rilievo la bugia, spiega al bambino il motivo per cui ha sbagliato, ma senza insistere troppo, in modo da offrirgli l’opportunità di comprendere l’errore e cambiare comportamento.

  • 2. Menzogna Compensatoria: in questo caso non si tratta tanto di cercare un beneficio concreto, quanto di ricercare un’immagine che il soggetto ritiene inaccessibile. Per esempio, il bambino può inventarsi di avere una famiglia più ricca, più nobile, più unita ecc.

    Questo tipo di bugie sono molto frequenti nei bambini al di sotto dei sei anni, mentre la persistenza di questa condotta anche dopo questa età può rivelare delle problematiche psicologiche.

  • 3. Mitomania : è la forma più grave e consiste nella tendenza più o meno volontaria e cosciente alla menzogna e consiste nella creazione di favole immaginarie. Il bambino ricorre alla mitomania quando vive delle carenze gravissime a livello affettivo.

Quando cominciano a mentire i bambini?

1.  (2-4 anni) In questa fase, le menzogne sono spesso legate alla fantasia. I bambini raccontano storie che riflettono il loro desiderio di sperimentare il mondo in modi nuovi e creativi.

2. (4-6 anni) I bambini iniziano a capire meglio le differenze tra realtà e fantasia, ma le loro menzogne possono ancora essere facilmente riconosciute. Iniziano a mentire per evitare punizioni o per ottenere ciò che vogliono.

3. (6-12 anni) In questa fase, le menzogne diventano più sofisticate. I bambini sono più consapevoli delle conseguenze delle loro azioni e possono elaborare menzogne più complesse per raggiungere i loro obiettivi.

4. Adolescenza: Gli adolescenti sviluppano una comprensione ancora più avanzata delle dinamiche sociali e delle motivazioni personali. Le menzogne possono essere utilizzate per proteggere la privacy, gestire le relazioni sociali e navigare le pressioni sociali.

Più i bambini crescono, dunque, maggiore diventa la loro abilità di mentire, ma con l’età entra in gioco anche lo sviluppo della moralità: i bambini più piccoli hanno maggiori probabilità di mentire per guadagno personale, senza farsi degli scrupoli, mentre i bambini più grandi cominciano a  provare sensi di colpa quando mentono.


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Gli adolescenti mentono di più?

Si, gli adolescenti sono particolarmente inclini a mentire a genitori e insegnanti su cose che considerano personali. Uno studio ha rilevato che l’82% degli adolescenti statunitensi riferisce di aver mentito ai genitori su soldi, alcol, droghe, amici, incontri, feste o sesso. Era anche probabile che mentissero sui loro amici (67%) e sull’uso di alcool / droghe (65%). Sorprendentemente, erano meno inclini a mentire sul sesso (32%).

Il bambino bugiardo è un bambino scarsamente intelligente?

No. Il fatto che il bambino dica le bugie non deve fare pensare che sia portatore di qualche patologia intellettiva. Le bugie testimoniano anzi una maturazione psicologica del bambino, che si avvia verso una graduale indipendenza dai genitori. Inoltre, esse testimoniano anche l’acquisizione della distinzione fra verità e menzogna, tra realtà e fantasia.

La menzogna dimostra che il bambino ha una “teoria della mente”, cioè ha ormai la consapevolezza sul fatto che gli altri possano avere credenze, sentimenti e desideri diversi dai propri. Quando un bambino afferma, mentendo, frasi come “papà mi ha detto che potevo mangiare il gelato”, sta usando questa consapevolezza della mente altrui per provare a trasmettere false conoscenze.

Sebbene la menzogna non sia un comportamento socialmente desiderabile, esso presuppone la capacità di sapere cosa pensano e sentono gli altri: questa è un’importante abilità sociale ed empatica… Purché non la si usi in modo sbagliato.

Cosa dovrebbero fare i genitori con un bambino bugiardo?

Affrontare la menzogna nei bambini richiede un approccio equilibrato che combina comprensione, disciplina e guida:

Ciò che i genitori e gli educatori dovrebbero tenere presente, di fronte ad un bambino bugiardo, è che per il bambino dire la verità non è affatto un processo automatico, ma rappresenta anzi un apprendimento progressivo.

Sono gli adulti a dare importanza e valore alla confessione della verità e sono loro quindi che insegnano al bambino il valore sociale del dire il vero. Nonostante la sua prevalenza, la menzogna tra i bambini è raramente  motivo di preoccupazione.

Per i genitori, la preoccupazione può nascere se le bugie diventano la regola se si verificano insieme ad altri comportamenti sbagliati (saltare le lezioni, comportamento aggressivo, vandalismo, ecc.) al rifiuto di conformarsi alle regole, all’ incapacità di assumersi la responsabilità delle proprie azioni.

La menzogna deve inoltre destare allarme se serve a mascherare altri problemi psicologici del bambino o del ragazzo, dovuti alla paura o alla vergogna. Per esempio, un bambino o un adolescente che soffre di un’ansia molto grave può mentire cronicamente, per evitare di affrontare le situazioni temute (ad esempio, scuola, feste, ecc.). In questi casi è sempre meglio evitare punizioni eccessive o esagerate, perché questo comportamento incentiva la propensione alla menzogna.

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Qualche consiglio utile:

1. È essenziale creare un ambiente in cui i bambini si sentano sicuri nel dire la verità. I genitori e gli educatori dovrebbero incoraggiare la comunicazione aperta e onesta, evitando reazioni punitive eccessive o atteggiamenti eccessivamente giudicanti

2. Insegnare ai bambini l’importanza dell’onestà e della lealtà è fondamentale. Raccontare storie, usare esempi positivi e discutere delle conseguenze della menzogna può aiutare i bambini a comprendere il valore della verità.

3.  È importante che i genitori e gli insegnanti mostrino, a loro volta, comportamenti onesti e leali nelle loro interazioni quotidiane.

4. Quando un bambino dice la verità, anche in situazioni difficili, è importante riconoscerlo e lodarlo. Questo rinforzo positivo aiuta a consolidare il comportamento onesto.

5. Se un bambino mente, è importante affrontare la situazione con calma. Discutere delle conseguenze della menzogna e aiutare il bambino a capire perché è sbagliato può essere più efficace delle punizioni severe.

Attraverso l’educazione, il rinforzo positivo e l’esempio, è possibile guidare i bambini verso comportamenti più appropriati e costruire una base solida per il loro sviluppo psicologico e morale.

Dr. Giuliana Proietti


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La Dottoressa Giuliana Proietti, Psicoterapeuta Sessuologa di Ancona, ha una vasta esperienza pluriennale nel trattamento di singoli e coppie. Lavora prevalentemente online.
In presenza riceve a Ancona Fabriano Civitanova Marche e Terni.

  • Delegata del Centro Italiano di Sessuologia per la Regione Umbria
  • Membro del Comitato Scientifico della Federazione Italiana di Sessuologia.

Oltre al lavoro clinico, ha dedicato la sua carriera professionale alla divulgazione del sapere psicologico e sessuologico nei diversi siti che cura online, nei libri pubblicati, e nelle iniziative pubbliche che organizza e a cui partecipa.

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  • 12 Giu 2024
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Pazienti depressi di due anni?

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Si può essere depressi a due anni? Da qualche anno, vengono pubblicati studi in cui si indica l’età di insorgenza di determinati sintomi intorno ai 3 o 4 anni. Non si tratta di malattie tipicamente pediatriche, come il morbillo o la varicella, ma di malattie che riguardano anche il mondo degli adulti, come la sindrome ansioso-depressiva. Gli psichiatri affermano infatti che alcuni bambini, precisamente un caso ogni 100.000, hanno bisogno di questi farmaci ancora prima di entrare alla scuola materna.

John Walkup, pediatra presso l’Università John Hopkins, dice a chiare lettere che, coloro che inorridiscono per queste somministrazioni infantili, non frequentano evidentemente la sua clinica e non vedono i casi che lui tratta. I sintomi non sono certo quelli degli adulti e si manifestano in altro modo. Ad esempio, la depressione bipolare si manifesta attraverso disturbi del sonno. Il dottore dice di aver visto bambini di 4 o 5 anni che dormivano tre-quattro ore per notte e che, malgrado ciò, non sembravano particolarmente stanchi durante la giornata. Ai suoi tempi, continua il Dottor Walkup, ci volevano diciotto anni prima di ottenere una diagnosi di disturbo bipolare: oggi, a suo modo di vedere, le cose non stanno più così e dunque, se un bambino mostra di avere dei sintomi di depressione in età molto giovane, va trattato, anche al fine di evitare complicazioni future, come quelle rappresentate da tentativi di suicidio.

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Éric Fombonne, direttore della clinica psichiatrica presso l’Hôpital de Montréal e professore presso l’Université McGill sostiene invece che oggi parlare di depressione bipolare è come quando, in altre epoche, si parlava di psicosi infantile. Questo non significa che la depressione bipopolare non esista anche presso i bambini, ma a due, tre anni, è davvero un’assurdità. E’ come l’Asperger, continua il Professore, una forma di autismo: basta che un bambino sia un po’ isolato e che faccia delle cose bizzarre, che subito gli viene affibbiata la diagnosi di Asperger, mentre potrebbero esserci dei problemi di personalità o di interazione sociale.

Paradossalmente, il fatto che le medicine siano migliorate negli ultimi anni e che abbiano meno effetti collaterali, porta alcuni medici a prescriverle anche quando non ce n’è bisogno. La mancanza di tempo dei medici di famiglia e dei pediatri li spinge e mettere da parte le problematiche psico-sociali, per concentrarsi unicamente sui farmaci. Cécile Rousseau, professoressa di psichiatria presso l’Université McGill dice che si è passati da un estremo all’altro: prima, se i figli avevano dei problemi, era sempre colpa dei genitori, adesso si ignora completamente l’ambiente familiare, sociale, scolastico. Si ritiene che alcuni bambini siano più sensibili agli stress della vita e che per questo occorra proteggerli. Ma se c’è una depressione in un bambino di pochi anni, il problema è quasi sicuramente nell’ambiente familiare. Non necessariamente è colpa dei genitori: possono esserci problemi logistici, professionali, uno dei genitori potrebbe essere gravemente malato ecc.
In conclusione, prima i figli dovevano conformarsi alle attese che avevano i genitori nei loro confronti: ora devono essere felici, qualsiasi cosa succeda loro intorno. E’ una vera assurdità.

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  • 26 Feb 2007
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La cognizione delle diverse etnie nei bambini

La cognizione delle diverse etnie nei bambini

La cognizione delle diverse razze nei bambini

Relazione sulle Coppie Non Monogamiche

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Parlare delle diverse etnie con i bambini è un argomento delicato ma essenziale per promuovere una società inclusiva e rispettosa. Capire quando e come affrontare questo tema può aiutare i bambini a sviluppare una cognizione sana e aperta delle diversità. Ecco una semplice guida per genitori ed educatori.

Come parlare delle diverse etnie, a seconda dell’età?

Infanzia. Anche se i bambini in questa fascia di età non comprendono ancora concetti complessi, notano le differenze.  In particolare:

  • Prima Infanzia (3-6 anni) i bambini iniziano a riconoscere e a parlare delle differenze fisiche e culturali. È importante rispondere alle loro domande in modo semplice e positivo, usando un linguaggio che sottolinei l’accettazione e il rispetto.
  • Età Scolare (6-12 anni) I bambini diventano più consapevoli delle questioni sociali e possono iniziare a notare pregiudizi e discriminazioni. Questo è il momento di introdurre conversazioni più profonde sulla storia, sulla cultura e sulle ingiustizie sociali, adattate alla loro capacità di comprensione.
  • Adolescenza (13+ anni) Gli adolescenti sono in grado di comprendere concetti complessi e di partecipare a discussioni critiche. È essenziale parlare apertamente di discriminazione etnica, privilegi e uguaglianza, incoraggiando il pensiero critico e l’empatia.

Come affrontare l’argomento?

  • Usare un linguaggio chiaro e diretto aiuta a evitare confusione. Evitare di minimizzare o ignorare le domande dei bambini sulle differenze etniche.
  • Sottolineare che le differenze sono normali e positive. Utilizzare esempi di persone di diverse etnie che contribuiscono positivamente alla società.
  • Libri, film e programmi TV che rappresentano diverse etnie in modo positivo possono essere strumenti efficaci per educare i bambini.
  • Aiutare i bambini a mettersi nei panni degli altri e a comprendere le esperienze delle persone di diverse etnie. Discussioni sull’equità e sulla giustizia possono essere utili.
  • Parlare apertamente dei pregiudizi e della discriminazione etnica quando emergono nella vita quotidiana o nei media. Spiegare perché sono sbagliati e come possono essere superati.

Quali termini utilizzare/evitare?

  • Evitare di parlare di “razze”. Il concetto di “razza” non esiste scientificamente, nemmeno per i cani e i gatti,  perché dal punto di vista biologico non c’è nessuna distinzione netta tra i diversi gruppi di individui di una stessa specie. 
  • Utilizzare termini che rispettano e valorizzano tutte le persone. Ad esempio, “persone di diverse etnie” anziché termini offensivi o antiquati.
  • Sottolineare che le caratteristiche etniche non determinano il valore o le capacità di una persona. Utilizzare il linguaggio per sfatare gli stereotipi e promuovere l’individualità.
  • Insegnare ai bambini i termini corretti per riferirsi alle diverse etnie e culture. Spiegare l’importanza del linguaggio rispettoso e inclusivo.
  • Parlare delle diverse etnie nel contesto della loro cultura e storia, mostrando rispetto per le loro tradizioni e contributi.

Perché è sbagliato evitare l’argomento?

I ritardi in queste importanti conversazioni potrebbero rendere più difficile cambiare le percezioni errate o le convinzioni razziste dei bambini, i quali sono in grado di parlare di argomenti complessi anche in tenera età. Inoltre, se gli adulti evitano di parlare di questi argomenti, i bambini non è che non vedano le differenze somatiche o nel colore della pelle: potrebbero dunque darsi spiegazioni e farsi idee personali sull’argomento, che potrebbero essere imprecise o sbagliate.

In conclusione, è importante parlare con i bambini delle diverse etnie, ed è importante farlo presto, perché altrimenti potrebbe essere difficile annullare i pregiudizi razziali, una volta che essi abbiano messo radici.

Fornire ai bambini le risorse e il supporto necessari per comprendere e apprezzare la diversità li aiuterà a crescere come individui empatici e rispettosi, in un mondo più giusto.

Dr. Walter La Gatta

Relazione sulla Terapia di Coppia dopo un Tradimento - Festival della Coppia 2023

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Antoine de Saint-Exupery: una biografia
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Riconosci i tuoi desideri sessuali? Test
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Dr. Walter La Gatta

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Psicologo Psicoterapeuta Sessuologo
Delegato Regionale del Centro Italiano di Sessuologia per le Regioni Marche Abruzzo e Molise.
Libero professionista, svolge terapie individuali e di coppia
ONLINE E IN PRESENZA (Ancona, Terni, Fabriano, Civitanova Marche)

Il Dr. Walter La Gatta si occupa di:

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  • 8 Giu 2024
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Judie Garland e la nipote di Freud

Judie Garland e la nipote di Freud

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Chi non ricorda Judy Garland nel personaggio di Dorothy che canta ‘Somewhere Over the Rainbow’? Bé, francamente non tutti, ma qualcuno la ricorda in modo particolare, come se la Garland avesse cantato questa canzone proprio per lui/lei.

E’ il caso, ad esempio, di Susie Boyt, che ascoltando questa canzone ha preso ad amare la Garland, fino a sentirla vicina come se fosse una persona di famiglia. Nel libro: My Judy Garland Life, la Boyt scrive insieme una biografia della Garland ed anche la sua autobiografia, la storia di una vita centrata intorno all’ossessione per un mito.

Può sembrare strano che una ragazzina si innamori di una canzone e di un personaggio e poi ci si identifichi totalmente, come se ne conoscesse la vita più intima, i pensieri più segreti. La Boyt del resto non è una persona qualsiasi. Il suo bisnonno infatti era Sigmund Freud e va da sé che in famiglia abbia sempre sentito parlare di psicoanalisi e che, dalla più tenera età, la Boyt abbia incoraggiato in sé stessa, come lei stessa racconta, una certa tendenza all’empatia, fin quasi a sentire il dolore degli altri.

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Il padre di Susi, per la cronaca, è il pittore Lucian Freud.

I genitori della Boyt si sono separati prima che lei nascesse e raramente la piccola Susie ha incontrato suo padre. La nostra, neanche a dirlo, da piccola sognava di fare la cantante e la ballerina, ma era completamente priva di talento. Sebbene avesse seguito dei corsi di danza, i risultati non arrivavano e alla fine la madre decise di troncare le aspirazioni della figlia dicendole “tu sei troppo intelligente” per dedicarti a queste cose.

Lavorare nel mondo dello spettacolo è dunque rimasto un rimpianto per Susie, anche se, ammette, un rimpianto per essere tale deve rientrare nell’orbita delle cose possibili. Per lei invece la strada di questa professione sembrava un po’ troppo in salita.

La Boyt si descrive come una perfetta fan della Garland: ammirazione ed adorazione per il mito, ma sempre a rispettosa distanza. In tutto il libro tuttavia resta sullo sfondo un comportamento da stalker dell’autrice (gli stalkers sono persone che vogliono conoscere i particolari della vita di una persona o di un personaggio famoso e per questo tendono a spiare la loro vittima, la seguono, le telefonano ecc.).

Ad esempio, la Boyt è riuscita ad incontrare Liza Minnelli, figlia della Garland e, come si legge nel libro, Susie in quell’occasione ha dovuto fare un grande sforzo su sé stessa per non portarsi a casa le cicche di sigarette, o i resti del panino della figlia del suo grande mito.

Il libro è sfacciato e irriverente: l’autrice non si chiede se il suo lettore ami o meno Judy Garland. Lei vuole raccontare la sua storia ed insieme quella della Garland, in modo delicatamente in bilico tra gioia e disperazione.

Judy Garland morì cinque mesi prima che Susie nascesse e dunque non si può considerare come un personaggio contemporaneo della Boyt: è piuttosto una mancata presenza nella vita dell’autrice, molto simile alla mancata presenza della figura paterna, Lucian.

Alla fine dunque, ciò di cui si parla veramente in questo libro è di psicologia: emozioni, sentimenti, affetti, relazioni. Tanto per non sdirazzare…

Fonte: The Guardian

Giuliana Proietti

Una lezione divulgativa su Freud e il suo libro "Totem e Tabù"

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Judie Garland nel mago di Oz, Wikipedia

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  • 29 Set 2008
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Bullismo omofobico nella scuola italiana

Il bullismo omofobico nella scuola italiana

Il bullismo omofobico nella scuola italiana

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Roberto è un ragazzo di 17 anni dal modo di fare leggermente effeminato. Non ama molto andare a scuola e gli piacerebbe cominciare a lavorare come elettricista. Ama lavorare su circuiti elettronici. Per questo frequenta un istituto professionale che gli consente di ottenere un diploma di tecnico delle industrie elettroniche. Tuttavia a scuola ha grossi problemi con i compagni, tutti di sesso maschile. Lo chiamano continuamente con offese come checca, frocio, ricchione, ecc.

Nessuno lo chiama quasi più con il suo nome, se non i professori. Non riesce a stringere amicizia con nessuno dei compagni perché chiunque gli è stato “troppo” vicino veniva etichettato come gay a sua volta sulla base di un processo simile al contagio delle malattie infettive. Negli ultimi tempi le cose vanno peggiorando; alle offese frequenti si sommano anche gli scherzi nei suoi confronti.

Durante un laboratorio a scuola alcuni suoi compagni lo hanno immobilizzato e gli hanno somministrato scosse elettriche nelle parti intime gridando frasi come “ti piace frocio pervertito?”. Ora Roberto si rifiuta di tornare a scuola. Si sente depresso e allo stesso tempo nervoso. Di notte spesso ha incubi collegati a episodi avvenuti a scuola in cui veniva offeso, deriso o aggredito. A volte gli capita di pensare al suicidio; questa sarebbe, secondo lui, l’unica soluzione alla sua sofferenza.

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Dal 2002 parole che curano, orientano e fanno pensare.

Bullismo e bullismo omofobico

Il caso appena descritto rappresenta alcuni degli elementi chiave del bullismo cosiddetto “omofobico”. Il bullismo è un termine adottato da Olweus nelle sue ricerche a partire dalle fine degli anni ’70 per indicare quelle aggressioni, siano esse verbali, fisiche o relazionali, ripetute secondo schemi precisi tra i banchi di scuola.

Nella letteratura scientifica (Prati et al., 2009) si sta studiando sempre di più il bullismo omofobico come forma distinta da altre tipologie di bullismo. Prima di tutto si vuole chiarire che il bullismo a sfondo omofobico è rivolto a quei compagni, siano essi di genere maschile o femminile, che sono percepiti come devianti in termini di identità di genere (sentirsi di appartenere al genere maschile o femminile), ruolo di genere (avere per esempio comportamenti, preferenze tipicamente femminili o maschili secondo una data società) o orientamento sessuale (avere preferenze affettive e sessuali per persone dell’altro sesso, dello stesso sesso o di entrambi). Il bullismo omofobico è motivato dal disprezzo nei confronti di tutto ciò che concerne l’omosessualità e riguarda tutti gli atti di bullismo che vanno a colpire chi è o viene etichettato come omosessuale o atipico rispetto al ruolo di genere o all’identità di genere. In altre parole non è necessario essere omosessuali per divenire bersaglio del bullismo omofobico: per esempio, vi sono numerosi casi di ragazzi e ragazze offesi con termini quali “frocio” o “lesbica di merda” solamente per il fatto di avere modi di fare leggermente effeminati o mascolini, oppure per una preferenza atipica come la danza per gli uomini e il calcio per le donne.

La diffusione del bullismo

Quanto è diffuso il bullismo omofobico? Per rispondere a questa domanda è stata condotta una ricerca all’interno di un ampio progetto denominato “Interventi per la prevenzione contro il bullismo a sfondo omofobico” co-finanziato dal Ministero del Lavoro, Salute e Politiche Sociali, (ai sensi della L. 383/2000, anno 2007, lett. F) e realizzato da Arcigay – Associazione lesbica e Gay Italiana. Allo scopo di raccogliere un campione rappresentativo di studenti italiani si è deciso di selezionare un campione casuale di classi all’interno di un campione di 20 scuole selezionate casualmente dal sito dell’anagrafe delle scuole secondarie di secondo grado. Tra i dirigenti scolastici delle scuole selezionate, dieci (50%) hanno negato la propria collaborazione.

Agli studenti coinvolti è stato chiesto di compilare un questionario volto a investigare atti di bullismo omofobico subiti, osservati e agiti ne confronti sia di compagni che di compagne. Il campione dello studio è costituito da 863 studenti. Il 39,3% degli studenti (n = 326) è di sesso maschile. L’età media è di 17,3 (DS = 1,6) con un minimo di 15 anni e un massimo di 22.

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Risultati

Solo un terzo degli studenti non ha udito epiteti omofobi e prese in giro nei confronti di maschi nell’ultimo mese a scuola. Per uno studente su cinque queste espressioni fanno parte della vita scolastica quotidiana. Uno studente su 13 ha assistito almeno una volta nell’ultimo mese ad aggressioni omofobe di tipo fisico (calci e/o pugni) ne confronti di un compagno di sesso maschile. Nei confronti delle femmine i comportamenti più frequenti sono epiteti, prese in giro e dicerie.

Circa metà degli studenti riportano di avere utilizzato epiteti nei confronti di amici e compagni che si pensava gay e circa un quarto degli studenti riporta di averli utilizzati nei confronti di un’amica e nei confronti di una compagna che si pensava fosse lesbica. Un totale di circa 172 studenti (19,93%) potrebbe rientrare nei criteri di bullo secondo i criteri di Fonzi (1997), avendo commesso almeno una tipologia fra i comportamenti indicati con cadenza settimanale nell’ultimo mese. Un totale di 32 studenti (3,71%) hanno subito atti di bullismo omofobico a scuola con una cadenza almeno settimanale. Essi possono essere considerati vittime secondo i criteri di Fonzi (1997). Ciò significa che in buona parte delle classi mediamente è presente uno studente o studentessa vittima di bullismo omofobico.

Prof. Gabriele Prati

Riferimenti bibliografici

Fonzi A. (1997), Il bullismo in Italia. Il fenomeno delle prepotenze a scuola dal Piemonte alla Sicilia. Ricerche e prospettive d’intervento, Firenze, Giunti.

Prati G., Pietrantoni L., Buccoliero E., Maggi M. (2009), Il bullismo omofobico, Milano, Franco Angeli.

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Il Prof. Gabriele Prati insegna Psicologia giuridica e psicologia sociale presso l’Università degli Studi di Bologna. Email: gabriele.prati@unibo.it

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