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Tag Archives: Infanzia e Adolescenza

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Bambini: dalla TV a YouTube

Bambini: dalla TV a YouTube

Bambini: dalla TV a YouTube

Saluto del CIS - Dr. Walter La Gatta

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La televisione ha sicuramente cambiato il modo di stare insieme in famiglia, di trascorrere buona parte del tempo libero, sia per i bambini che per gli adulti.  Fino a non molti anni fa i bambini, contrariamente a quello che avevano sempre fatto i loro coetanei in tutte le epoche precedenti, avevano imparato a trascorrere buona parte del loro tempo seduti, prima a scuola, poi davanti alla TV. Questo ha certamente influito sul loro modo di vivere l’infanzia e la prima adolescenza e sul loro sviluppo, sia fisico, sia mentale. Nel bene e nel male.

Attraverso la TV essi sono stati anzitutto esposti ad una notevole quantità di stimoli, di cui alcuni molto utili, che hanno favorito l’accelerazione del loro sviluppo mentale e sociale. La Tv, ad esempio, ha insegnato loro a parlare meglio nella lingua ufficiale (in casa e a volte anche a scuola si parla in dialetto) e li ha educati ad un uso sociale del linguaggio, ed inoltre ha stimolato la loro fantasia, integrando, attraverso suoni e immagini, gli insegnamenti ricevuti a scuola.

L’aspetto negativo della TV era nel fatto che essa proponeva un’attività passiva, tendente a sostituire il fare con il guardare, insegnando cioè al bambino il mondo degli altri, e non un mondo in cui lui poteva partecipare in prima persona.

Si diceva inoltre che la TV, essendo molto suggestiva, poteva avere un effetto quasi ipnotico, estraniando lo spettatore da se stesso, esponendolo ai messaggi pubblicitari, distogliendolo da altre attività.

Tariffe Psicoterapia

Per tutte queste ragioni molti psicologi hanno visto nel computer una valida alternativa alla TV, in quanto impegnava il bambino in attività che lo interessavano, senza più subire i programmi voluti da altri. Il bambino poteva vedere dei CD, fare delle ricerche, disegnare, programmare, giocare.

Poi è arrivata la possibilità di collegarsi a Internet e da lì le cose sono, ancora una volta, completamente cambiate.

Per molti ragazzi e bambini, Internet ha ormai quasi del tutto sostituito la televisione. Secondo una recente ricerca di Ofcom, i ragazzi inglesi che hanno dai 12 ai 15 anni hanno maggiore familiarità con YouTube che con la BBC o l’ITV, mentre la quantità di televisione osservata da quattro  a quindici anni è diminuita del 25%, a partire dal 2010.

Negli ultimi 10 anni del resto anche gli investimenti delle televisioni per fare programmi per bambini si è enormemente ridotta. Oggi ci sono molti vlogger (o blogger, che si esprimono però attraverso dei video su YouTube), con moltissimi followers,  del tutto sconosciuti a persone che hanno più di 30 anni, i quali, in piena autonomia, decidono quali video postare e quali marchi pubblicizzare attraverso promozioni online.

Ad esempio, il ventottenne svedese YouTuber PewDiePie (vero nome Felix Kjellberg) è stato accusato di usare contenuti razzisti e antisemitici nei suoi video, che hanno oltre 58 milioni di abbonati (assolutamente di più degli abbonati RAI…) Questi ragazzi fanno fortuna usando semplicemente una videocamera e un computer, senza avere una normale emittente alle spalle, senza essere stati selezionati da qualcuno per le proprie qualità.

Inoltre, non c’è praticamente nessuno che controlli o sanzioni quello che viene postato sul canale riguardo ai contenuti che essi diffondono.

YouTube afferma che il suo sito è pensato per utenti di età superiore ai tredici anni, ma tali limiti di età sono essenzialmente impossibili da far rispettare e così può capitare che anche bambini di sette, otto anni, possano essere esposti a immagini e situazioni che i genitori neanche immaginano.

Se si pensa che in fascia protetta, in tv sono vietate immagini e contenuti che possono essere inappropriati ai minori (bullismo, sesso, violenza, droghe, alcol e così via) e che invece su questi canali privati, gestiti da soggetti poco più che adolescenti, si trova di tutto e di più, la cosa non può che provocare allarme.

In un articolo pubblicato lo scorso Novembre sulla rivista online Medium l’esperto di tecnologia e artista James Bridle ha mostrato la grande quantità di prodotti a basso costo per bambini che circola su YouTube, in gran parte con versioni surrogate di personaggi famosi come Spider-Man, Paw Patrol, Thomas the Tank Engine e Elsa di Frozen.

“I bambini molto piccoli”, ha scritto Bridle, “sono deliberatamente presi di mira con contenuti che li traumatizzano e li disturbano”. Considerando le dimensioni di YouTube, ha proseguito, “la supervisione umana è semplicemente impossibile ”.

YouTube lo scorso anno ha vietato la monetizzazione di video che ritraggono “personaggi di intrattenimento familiare coinvolti in comportamenti inappropriati”, ha tagliato alcuni canali per bambini che riteneva inadatti e promesso di migliorare i controlli.

YouTube non va, in ogni caso, demonizzata: probabilmente offre ai genitori una scelta più ampia e un maggiore controllo sulle abitudini di visualizzazione dei propri figli rispetto a quello che succedeva nella TV dell’era pre-internet… Il problema è che la necessità di controllare il tempo libero dei figli, con l’avvento di Internet, si è notevolmente accresciuta, per cui se la TV era una noiosa baby sitter che faceva ingrassare i bambini davanti allo schermo, ora YouTube è un canale che può rendere i figli molto più attivi e intraprendenti, purtroppo anche attraverso la scelta di programmi che non sono adatti a loro e sui quali non vi è alcun controllo.

Dr. Walter La Gatta

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Pixabay

Dr. Walter La Gatta

Dr. Walter La Gatta

Psicologo Psicoterapeuta Sessuologo
Delegato Regionale del Centro Italiano di Sessuologia per le Regioni Marche Abruzzo e Molise.
Libero professionista, svolge terapie individuali e di coppia
ONLINE E IN PRESENZA (Ancona, Terni, Fabriano, Civitanova Marche)

Il Dr. Walter La Gatta si occupa di:

Psicoterapie individuali e di coppia
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Disturbi d’ansia, Timidezza e Fobie sociali.

Per appuntamenti telefonare direttamente al:
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  • 30 Gen 2018
  • Dr. Walter La Gatta
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Sesso e ragazzine di periferia

Sesso e ragazzine di periferia

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Articolo datato

La sessualità delle ragazze che vivono nelle periferie è un tema che tocca molteplici dimensioni sociali, culturali ed economiche.

Spesso cresciute in contesti caratterizzati da disuguaglianze, queste giovani si trovano a vivere esperienze sessuali influenzate non solo dalle relazioni personali ma anche dall’ambiente in cui sono immerse.

Un articolo, pubblicato sulla rivista Child Development a cura della Università di Montréal, da parte dei ricercatori New Brunswick e di Tufts è centrato sullo stile di vita di giovani adolescenti che vivono nei quartieri di periferia, le quali hanno maggiori probabilità di cominciare ad avere rapporti sessuali prestissimo, uscendo con ragazzi più grandi di loro.

I risultati della ricerca, condotta da Véronique Dupéré, mostrano una realtà secondo la quale le ragazze più giovani amano accompagnarsi con ragazzi più grandi di almeno tre anni, tipi poco affidabili che le iniziano alla sessualità.

Per questo studio, il gruppo di ricerca ha preso come riferimento un sub-campione di ragazzi e ragazze del National Longitudinal Survey of Children and Youth, per un totale di 2.596 adolescenti canadesi, che sono stati seguiti fra i loro 12 e 15 anni. Un quarto di essi viveva in un quartiere povero di periferia e, nella maggior parte dei casi, si trattava di ragazzi di razza bianca.

Secondo la ricerca, i comportamenti a rischio per le ragazzine cominciano intorno ai 10-11 anni: si parla di aggressione fisica (bullismo, violenza fisica), tendenze distruttive (vandalismo, ruberie), violazione delle regole (stare fuori tutta la notte, scappare di casa). Del campione esaminato, il 13% degli adolescenti è stato considerato composto di soggetti a rischio, dal momento che avevano avuto nell’anno almeno tre dei comportamenti considerati devianti.

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Fonte: “Neighborhood Poverty and Early Transition to Sexual Activity in Young Adolescents: A Developmental Ecological Approach,” published in the journal Child Development, by Véronique Dupéré, Eric Lacourse and Richard E. Tremblay of the Research unit on children’s psychosocial maladjustment at the Université de Montréal, J. Douglas Willms of the University of New Brunswick and Tama Leventhal of Tufts University, via Medical News Today

Dott.ssa Giuliana Proietti 

Adolescenza

Editore: Xenia, Collana: I tascabili
Anno edizione: 2004 Pagine: 128 p., Brossura
Autori: Giuliana Proietti - Walter La Gatta

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Giuliana Proietti
Dr. Giuliana Proietti

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Psicoterapeuta Sessuologa
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La Dottoressa Giuliana Proietti, Psicoterapeuta Sessuologa di Ancona, ha una vasta esperienza pluriennale nel trattamento di singoli e coppie. Lavora prevalentemente online.
In presenza riceve a Ancona Fabriano Civitanova Marche e Terni.

  • Delegata del Centro Italiano di Sessuologia per la Regione Umbria
  • Membro del Comitato Scientifico della Federazione Italiana di Sessuologia.

Oltre al lavoro clinico, ha dedicato la sua carriera professionale alla divulgazione del sapere psicologico e sessuologico nei diversi siti che cura online, nei libri pubblicati, e nelle iniziative pubbliche che organizza e a cui partecipa.

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  • 24 Set 2008
  • Dr. Giuliana Proietti
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Lo schema corporeo e l'immagine corporea

Lo schema corporeo e l’immagine corporea

Lo schema corporeo e l’immagine corporea

Una intervista sulla Timidezza

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In quali discipline si usa il concetto di “schema corporeo”?

Lo schema corporeo è un concetto utilizzato in diverse discipline, tra cui psicologia, neuroscienze, filosofia, medicina dello sport e robotica.

Come può essere definito?

Il termine “schema corporeo” definisce una rappresentazione mentale della posizione e dell’estensione del proprio corpo nello spazio e nell’organizzazione gerarchica dei singoli segmenti corporei, finalizzata principalmente all’organizzazione dell’azione nello spazio. Può anche essere definito, ma impropriamente,  “immagine corporea”, oppure “modello posturale del corpo” (Head).

Ci sono differenze fra schema corporeo e immagine corporea?

Si. L’ “immagine corporea” indica la rappresentazione consapevole, di come il nostro corpo ci apparirebbe visto dall’esterno. Potrebbe essere dunque definita come “ciò che penso gli altri vedano di me”. L’immagine corporea è un’immagine vissuta, dinamica, che cresce e si trasforma durante la vita di una persona. In alcuni soggetti (ad esempio quelli con disturbi alimentari), l’immagine corporea può essere tuttavia completamente distorta.

Lo “schema corporeo” è caratterizzato invece da uno scarso grado di consapevolezza da parte del soggetto. Esso non dipende solamente dalle proprie sensazioni e percezioni, ma è una vera e propria ‘costruzione’ che il soggetto fa di se stesso, attraverso la rappresentazione che ha del proprio corpo. Si parte sicuramente da sensazioni tattili, visive, o cenestesiche, per arrivare alla componente sociale, ovvero al confronto fra la propria immagine corporea e le immagini corporee e degli altri.

Quando comincia a formarsi l’immagine corporea?

L’immagine corporea comincia a formarsi durante la primissima infanzia e si costruisce sulla base delle esperienze percettive proprie e dei corpi altrui, vissuti dal soggetto nei diversi rapporti interpersonali. Una certa stabilità dell’immagine corporea si ottiene al termine dell’adolescenza.

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Esiste una immagine corporea idealizzata?

Si. Essa è legata ai valori sociali e culturali dell’ambiente in cui si vive. Durante l’adolescenza è abbastanza probabile che il vissuto della propria immagine corporea sia sentito come insoddisfacente e sia spesso in contrasto con quella immagine ideale, così apprezzata dal proprio gruppo sociale di appartenenza.

In genere l’immagine idealizzata, per quanto importante punto di riferimento, non dovrebbe mai diventare prevalente sulla propria immagine corporea personale, ma può accadere, specie in adolescenza che vi sia un rifiuto della immagine di sé costruita fino a quel momento in favore di una ricerca di identificazione con modelli idealizzati, che può spingere verso comportamenti patologici come ad esempio i disturbi dell’alimentazione.

Dove può essere localizzato lo schema corporeo nel cervello?

Può essere localizzato nella corteccia parietale destra, precisamente nelle aree 5, 7, 39 e 40 di Broadman. E’ presente già nel bambino, nel momento dell’assunzione delle prime esperienze percettive del proprio corpo.


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Lo schema corporeo rimane sempre uguale a se stesso?

No, esso viene aggiornato durante il movimento del corpo, in modo non consapevole. Questa rappresentazione riguarda la lunghezza degli arti, la loro disposizione, la forma della superficie del corpo, la forma e le dimensioni degli eventuali strumenti utilizzati. Lo schema corporeo si autocostruisce e si autodistrugge attraverso continue differenziazioni ed integrazioni, pur con la tendenza all’unificazione delle parti del corpo in un’unità, rappresentata dall’immagine corporea.

Quali autori importanti si sono occupati dello schema corporeo?

  • Lo psicologo William James (1890)  sosteneva che: «ogniqualvolta due persone si incontrano ci sono in realtà sei persone presenti. Per ogni uomo ce n’è uno per come egli stesso si crede, uno per come lo vede l’altro  ed uno infine per come egli è realmente». 
  • I due neurologi britannici Henry Head e Gordon Morgan Holmes ne parlarono allinizio del Novecento.  Il concetto fu dapprima definito “schema posturale” per descrivere la rappresentazione spaziale disordinata dei pazienti in seguito al danneggiamento del lobo parietale del cervello. Oggi per  “Schema corporeo” intendiamo i “modelli organizzati di noi stessi”.
  • Lo psicologo Paul Schilder sosteneva che lo schema corporeo fosse il modo in cui il corpo appare a noi stessi. Esso si forma a partire da stimoli somatosensoriali, vestibolari e visivi, ma anche attravero l’integrazione di queste sensazioni con i vissuti esistenziali ed emotivi del singolo soggetto. In Immagine di sé e schema corporeo, 1935-1950, scrive: “Con l’espressione ‘immagine del corpo umano’ intendiamo il quadro mentale che ci facciamo del nostro corpo, vale a dire il modo in cui il corpo appare a noi stessi. Noi riceviamo delle sensazioni, vediamo parti della superficie del nostro corpo, abbiamo impressioni tattili, termiche, dolorose, sensazioni indicanti le deformazioni del muscolo provenienti dalla muscolatura e dalle guaine muscolari, sensazioni provenienti dalle innervazioni muscolari e sensazioni di origine viscerale. Ma al di là di tutto questo vi è l’esperienza immediata dell’esistenza di un’unità corporea che, se è vero che viene percepita, è d’altra parte qualcosa di più di una percezione: noi la definiamo schema del nostro corpo o schema corporeo, oppure, seguendo la concezione di Head che sottolinea l’importanza della conoscenza della posizione del corpo, modello posturale del corpo. Lo schema corporeo è l’immagine tridimensionale che ciascuno ha di sé stesso: possiamo anche definirlo ‘immagine corporea’. Questo termine indica che non si tratta semplicemente di una sensazione o di un’immagine mentale: ma che il corpo assume un certo aspetto anche in relazione a se stesso; esso implica inoltre che l’immagine non è semplicemente percezione, sebbene ci giunga attraverso i sensi, ma comporta schemi e rappresentazioni mentali, pur non essendo semplicemente una rappresentazione”.

    Secondo Schilder insomma non agiamo semplicemente come un apparato percettivo, ma vi è sempre una personalità che ‘sente’ la percezione.

  • Maurice Merleau-Ponty filosofo francese, esponente di primo piano della fenomenologia francese del Novecento,  sostiene che la persona è fatta da un corpo e lo schema corporeo non è altro che il suo modo di esprimere che “il mio corpo è al mondo”: l’essere umano è consapevole di possedere degli organi e ne conosce le rispettive posizioni e orientamenti.

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  • I ricercatori Ajuriaguerra e Wallon ritengono che la strutturazione dello schema corporeo attraversi tre fasi nello sviluppo del bambino: corpo vissuto (3-36 mesi), corpo percepito (3-6 anni), corpo rappresentato (6-14 anni). Oltre ad essere il risultato di sensazioni e percezioni, esso va considerato anche una costruzione che il soggetto si fa attraverso la rappresentazione che ha del proprio corpo (sia per le componenti libidiche teorizzate da Freud, sia per le componenti sociali, quali ad esempio i processi di identificazione e di imitazione.

Quali sono i disturbi somatognosici specifici e quali ne sono le cause?

Essi sono il disorientamento destra-sinistra, la prosopoagnosia, l‘arto fantasma e l’anosoagnosia. Fra le cause si riscontrano carenza di afferenze (ad esempio, nelle paralisi cerebrali), deficit di elaborazione delle informazioni o deficit motori.

Cosa è il disorientamento destra-sinistra?

E’ l’incapacità di distinguere la destra dalla sinistra, dopo gli 8 anni.

Cosa è la sindrome dell’arto fantasma?

La sindrome dell’arto fantasma è la sensazione anomala di persistenza di un arto, anche dopo la sua amputazione,  o dopo che questo sia diventato insensibile: il soggetto affetto da questa patologia ne avverte la posizione e accusa perfino sensazioni di dolore nell’arto, oppure la sensazione di movimenti, come se questo fosse ancora presente. Si tratta di una sensazione normale e che non rientra in nessun tipo di problema psichico.

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Che cosa è l’anosoagnosia?

L’anosognosia (o nosoagnosia) è un disturbo neuropsicologico che consiste nell’incapacità del paziente di riconoscere e riferire di avere un deficit neurologico o neuropsicologico.

Cosa è la prosopagnosia?

La prosopagnosia (o prosopoagnosia) è un deficit percettivo acquisito o congenito del sistema nervoso centrale che impedisce ai soggetti che ne vengono colpiti di riconoscere i tratti di insieme dei volti delle persone; può presentarsi in forma pura o associata ad agnosia visiva, ed è causata soprattutto da lesione bilaterale (o, più di rado, unilaterale destra) alla giunzione temporo-occipitale (giro fusiforme).

Dr. Walter La Gatta



Una intervista sulla violenza domestica

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  • 25 Feb 2019
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I bambini dovrebbero credere a Babbo Natale?

I bambini dovrebbero credere a Babbo Natale?

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Il mito di Babbo Natale è una delle tradizioni più radicate e diffuse nella cultura occidentale, e il suo impatto sui bambini è stato oggetto di studio da parte di psicologi, educatori e ricercatori sullo sviluppo infantile. Ci sono diverse prospettive scientifiche sul perché i bambini dovrebbero o non dovrebbero credere in Babbo Natale, e ognuna di queste posizioni riflette vari aspetti dello sviluppo cognitivo ed emotivo dei bambini.

Il dibattito scientifico sulla credenza in Babbo Natale si articola principalmente attorno a due posizioni: da un lato, c’è chi sostiene che il mito possa avere effetti positivi sullo sviluppo cognitivo, emotivo e sociale dei bambini. Dall’altro, c’è chi mette in risalto il rischio che la scoperta della non verità possa minare la fiducia nei confronti degli adulti o generare confusione tra realtà e fantasia.

Cerchiamo allora di analizzare i pro e i contro relativi a questa credenza infantile.

Dr. Giuliana Proietti - Videopresentazione

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Perché i bambini dovrebbero crederci:

  • Secondo alcuni studi, credere in Babbo Natale e in altre figure mitologiche può favorire lo sviluppo della creatività e della capacità di pensiero simbolico nei bambini. Per lo sviluppo cognitivo sono infatti fondamentali la narrazione fantastica e il gioco di ruolo, che permettono ai bambini di esplorare idee e scenari che trascendono la realtà quotidiana. 
  • Il mito di Babbo Natale è spesso associato a valori positivi come la generosità, la bontà e la gentilezza. Gli studi dimostrano che il coinvolgimento in tradizioni familiari e rituali, come quelli legati a Babbo Natale, può rafforzare i legami familiari e fornire ai bambini un senso di sicurezza e appartenenza, promuovendo lo sviluppo emotivo e morale.
  • Durante i primi anni di vita, i bambini attraversano una fase caratterizzata da pensiero magico, in cui le storie fantastiche come quella di Babbo Natale vengono vissute come reali. La capacità dei bambini di credere nelle figure magiche può rafforzare il legame di fiducia con i genitori e altri adulti che condividono con loro queste tradizioni.

Relazione fra sesso e cibo

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Perché i bambini non dovrebbero crederci:

    • Un aspetto critico spesso citato da psicologi e studiosi è il momento in cui i bambini scoprono che Babbo Natale non è reale. Questo può portare a sentimenti di delusione e sfiducia verso gli adulti che hanno alimentato la credenza nel mito. Alcune ricerche suggeriscono che la scoperta della “non verità” può avere un impatto sul modo in cui i bambini percepiscono l’onestà degli adulti, anche se questo impatto tende a essere limitato e temporaneo.
    • Sebbene il pensiero magico sia una parte naturale dello sviluppo infantile, alcuni studiosi ritengono che prolungare eccessivamente la credenza in Babbo Natale possa confondere i bambini nel distinguere ciò che è reale da ciò che non lo è. I bambini, infatti, tra i 4 e i 7 anni, iniziano a sviluppare la capacità di pensiero critico e la distinzione tra fatti e finzione. Prolungare la credenza in Babbo Natale oltre questa fase potrebbe interferire con questo processo.
    • Un altro argomento sollevato dagli studiosi è il legame tra il mito di Babbo Natale e il consumismo. Alcuni esperti sostengono che il mito, nella sua moderna interpretazione commerciale, potrebbe promuovere nei bambini una mentalità orientata al consumo e alla ricompensa materiale, piuttosto che ai valori di generosità e condivisione.
    • Un’altra considerazione da fare è che questa tradizione risale a un’epoca nella quale i valori relativi allo sviluppo dei bambini e alla relazione genitori-figli erano molto diversi. Il bambino oggi, secondo molti ricercatori, ha bisogno di verità, non di miti e fantasie: i genitori dovrebbero appagare la sua curiosità, il suo desiderio di comprendere il mondo, facendogli distinguere con chiarezza, sin dai primi anni di vita, ciò che appartiene al mondo del possibile e ciò che invece appartiene al mito e alla fantasia. Questo atteggiamento consente al bambino di costruire il suo pensiero razionale: indurlo in errore su questioni così importanti è come mettergli dei bastoni fra le ruote nella sua richiesta di comprensione del mondo.
    • Infine, non credere alla storia di Babbo Natale non toglie nulla al piacere di fantasticare. Guardare i film con Babbo Natale, incontrarlo per le strade nei giorni di Natale rinnova quel senso del magico che piace anche agli adulti, anche se si sa benissimo che il personaggio non esiste realmente e che si tratta solo della rappresentazione di un mito.

 

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A mio parere:

Mi permetto di esprimere al riguardo un parere personale, tenendo conto di quanto precede:

E’ inutile imporre ai bambini di continuare a credere a questo personaggio anche quando hanno superato i 3-4 anni di età: in un’epoca in cui i bambini già alle elementari sanno tutto (o quasi) del mondo, grazie all’accesso a tutti i media possibili e alle incredibili scoperte della tecnologia, volerli illudere su questa storia di Babbo Natale significa, a mio parere, spingerli ad andare contro corrente, negando a se stessi perfino l’evidenza, in nome di una fiducia nelle rassicurazioni fornite dai propri genitori che, inevitabilmente, un giorno il bambino scoprirà di aver mal riposto.

E se anche si tratta, come quella di Babbo Natale, di una bugia detta a fin di bene, cosa potrà ridare al bambino la certezza che quando un genitore lo rassicura su qualcosa egli/ella sia veramente sincero/a?

Rischiare di far perdere ai bambini la fiducia nei propri genitori, compromettendo così anche i rapporti che essi stabiliranno con gli altri in età adulta sui temi della fiducia reciproca, solo per mantenere a tutti i costi la tradizione di Babbo Natale, mi sembra francamente un’assurdità.

Piuttosto, credo che molti genitori ripropongano ai propri figli la storia di Babbo Natale perché serve loro a rivivere un periodo di sogni e di magia a cui non hanno ancora del tutto rinunciato.

Dott.ssa Giuliana Proietti 

Relazione La sessualità femminile fra sapere e potere

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Convegno Diventare Donne
18 Marzo 2023, Castelferretti Ancona
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  • 15 Ott 2024
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Fumo e esperienze infantili sfavorevoli

Fumo e esperienze infantili sfavorevoli

Fumo e esperienze infantili sfavorevoli

IPNOSI CLINICA: una intervista al Dr. Walter La Gatta

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Le esperienze infantili sfavorevoli sono eventi traumatici o stressanti vissuti durante l’infanzia, che possono avere un impatto profondo e duraturo sullo sviluppo psicologico, emotivo e fisico. Queste esperienze includono diverse situazioni, come maltrattamenti, abusi, trascuratezza, perdita di un genitore, violenza domestica, povertà estrema e contesti familiari disfunzionali.

Le ricerche dimostrano che tali avversità possono influenzare significativamente il benessere psicologico e sociale dell’individuo, incidendo sulla capacità di formare relazioni sicure, sulla regolazione delle emozioni e persino sulla salute fisica.

Il concetto di *Esperienze Infantili Sfavorevoli* (Adverse Childhood Experiences, ACEs) ha acquisito particolare rilevanza grazie agli studi psicologici che mettono in luce come il cervello e il corpo reagiscano a lungo termine allo stress cronico subito durante i primi anni di vita. Gli effetti di queste esperienze possono includere un rischio aumentato di sviluppare problemi di salute mentale come ansia, depressione e disturbi post-traumatici, così come un maggiore rischio di malattie fisiche e comportamenti a rischio in età adulta, come il fumo di sigarette.

Precedenti ricerche (Substance Abuse Treatment, Prevention, and Policy ) hanno dimostrato che questi eventi sfavorevoli, subiti nell’infanzia, possono essere legati alla abitudine di fumare in soggetti adulti, soprattutto donne.

Un studio del 2020  condotto da Susan Yoon ha confermato che essere cresciuti in ambienti ad alto rischio aumenta notevolmente la probabilità di una forte abitudine al fumo di sigarette.

Lo studio ha esaminato i dati sui bambini ad alto rischio di abuso e abbandono, che erano stati indirizzati a un servizio di protezione dell’infanzia o vivevano in condizioni associate alla probabilità di maltrattamento, o entrambi.

“Il fumo di sigaretta negli adolescenti è un problema sociale davvero serio e una preoccupazione per la salute pubblica. Lo sviluppo del cervello non è completo fino alla tarda adolescenza o durante la giovane età adulta e il fumo di sigaretta è associato a danni allo sviluppo cerebrale”, ha detto la Yoon. “Sappiamo anche che coloro che iniziano a fumare sigarette durante l’adolescenza hanno maggiori probabilità di continuare a fumare fino all’età adulta”.

Yoon e colleghi hanno utilizzato i dati dei Longitudinal Studies of Child Abuse and Neglect , un gruppo di studi condotti in diverse regioni degli Stati Uniti rivolti a bambini identificati come maltrattati o a rischio di maltrattamento. Questo studio ha utilizzato dati su 903 adolescenti valutati all’età di 12, 16 e 18 anni.

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Un’analisi statistica ha mostrato che gli adolescenti che hanno subito abusi fisici nella prima infanzia hanno probabilità  due o tre volte maggiori di diventare consumatori di sigarette. L’abuso fisico durante l’adolescenza ha un effetto ancora più forte: questo tipo di maltrattamento sembra aumentare la probabilità di fumare da 3 a 7 volte in più.

Deve esservi dunque un meccanismo sottostante che collega le esperienze sfavorevoli infantili  al fumo, per cui le campagne anti-fumo dovrebbero tenere contro della potenziale relazione tra traumi infantili e conseguente disagio psicologico per comprendere il vero ruolo del fumo di sigaretta, nell’adolescente e nell’adulto.

Dr. Walter La Gatta



Fonte principale:
Osu-Edu

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Photo by Andrea Dibitonto on Unsplash

Dr. Walter La Gatta

Dr. Walter La Gatta

Psicologo Psicoterapeuta Sessuologo
Delegato Regionale del Centro Italiano di Sessuologia per le Regioni Marche Abruzzo e Molise.
Libero professionista, svolge terapie individuali e di coppia
ONLINE E IN PRESENZA (Ancona, Terni, Fabriano, Civitanova Marche)

Il Dr. Walter La Gatta si occupa di:

Psicoterapie individuali e di coppia
Terapie Sessuali
Tecniche di Rilassamento e Ipnosi
Disturbi d’ansia, Timidezza e Fobie sociali.

Per appuntamenti telefonare direttamente al:
348 – 331 4908
(anche whatsapp)
email: w.lagatta@psicolinea.it

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  • 24 Lug 2022
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