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Author: Dr. Giuliana Proietti

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Come e perché Freud abbandonò l'ipotesi della seduzione infantile

Come e perché Freud abbandonò l’ipotesi della seduzione infantile

Come e perché Freud abbandonò l’ipotesi della seduzione infantile

Freudiana

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Sigmund Freud, nel corso dello sviluppo della psicoanalisi, ha attraversato diverse fasi teoriche;  uno dei momenti di svolta più significativi fu l’abbandono della teoria della seduzione infantile, inizialmente formulata tra il 1895 e il 1897 e poi sostituita con la teoria della fantasia e del desiderio inconscio. Questa transizione ha avuto profonde implicazioni sulla psicoanalisi, segnando il passaggio da un modello basato su eventi reali a uno centrato sui processi psichici interni. 

La teoria della seduzione: il trauma come causa della nevrosi

Inizialmente, Freud era convinto che le nevrosi fossero il risultato di esperienze di seduzione sessuale subite dai bambini da parte di adulti, spesso genitori o figure di riferimento. Secondo questa ipotesi, il trauma dell’abuso sessuale infantile veniva rimosso nell’inconscio e, in età adulta, riemergeva sotto forma di sintomi nevrotici. Questa teoria si basava sulle testimonianze dei suoi pazienti, che sotto ipnosi o nel contesto della terapia psicoanalitica sembravano rievocare episodi di abuso infantile.

Freud presentò questa ipotesi in diverse comunicazioni scientifiche, tra cui la famosa lettera a Wilhelm Fliess del 21 settembre 1897, in cui dichiarava di aver identificato abusi sessuali nei racconti di tutti i suoi pazienti nevrotici.

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L’abbandono della teoria della seduzione

Nel 1897, Freud iniziò a mettere in discussione la validità della teoria della seduzione per diverse ragioni:

  • La diffusione dei racconti di abuso: Freud notò che il numero di pazienti che riportavano esperienze di seduzione infantile era sorprendentemente alto. Se la teoria fosse stata corretta, avrebbe implicato un’incidenza di abusi sessuali nell’infanzia molto più elevata di quanto sembrasse plausibile.
  • La scarsa verificabilità dei ricordi: molti pazienti riportavano episodi di seduzione solo dopo un lungo lavoro analitico, suggerendo che questi ricordi potessero essere costruzioni tardive piuttosto che eventi reali.
  • L’emergere del concetto di fantasia inconscia: Freud si rese conto che i pazienti non stavano necessariamente rievocando ricordi reali, ma esprimevano fantasie inconsce legate alla sessualità infantile. Queste fantasie, spesso di natura edipica, non erano il risultato di esperienze effettive, ma di conflitti psichici interni.
  • Il caso dell’isteria maschile: Freud osservò che anche i pazienti di sesso maschile soffrivano di sintomi isterici, nonostante la teoria della seduzione fosse inizialmente formulata in relazione alle donne. Ciò lo portò a ipotizzare che il nucleo della nevrosi non fosse il trauma reale, ma il desiderio inconscio e il conflitto che ne derivava.

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La riflessione di Freud

Come il sogno, nel suo contenuto manifesto, rappresenta l’esaudimento mascherato di un desiderio, così anche il sintomo nevrotico e la nevrosi di traslazione esprimono l’esaudimento mascherato di un desiderio rimosso. Il desiderio rimosso viene spesso sperimentato sotto forma di fantasie infantili: Freud arrivò così gradualmente ad apprezzare il grandissimo significato della fantasia nella vita psichica e nello sviluppo degli esseri umani.

Un’altra conclusione era a questo punto inevitabile: che il bambino ha fantasie sessuali le quali includono desideri di natura proibita o incestuosa. Tali desideri possono essere presentati in forma distorta e mascherata nel materiale dei sogni. Ormai era chiaro che la sessualità svolgeva un ruolo importante, sia durante l’infanzia, sia nell’adolescenza.

Dalla seduzione alla sessualità infantile: la nuova teoria

Dopo aver abbandonato la teoria della seduzione, Freud sviluppò il concetto di sessualità infantile, che divenne un pilastro della psicoanalisi. In questa nuova prospettiva, la nevrosi non era il risultato di un evento traumatico esterno, ma della lotta interna tra desideri inconsci e difese psichiche.

Freud teorizzò che i bambini non fossero esseri asessuali, ma attraversassero fasi di sviluppo libidico (orale, anale, fallica) culminanti nel complesso di Edipo, in cui il desiderio verso il genitore di sesso opposto e la rivalità con il genitore dello stesso sesso giocavano un ruolo centrale. Questo passaggio segnò il definitivo spostamento della psicoanalisi da una teoria del trauma a una teoria del desiderio.

Una lezione divulgativa su Freud e il suo libro "Totem e Tabù"

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Implicazioni e controversie

L’abbandono della teoria della seduzione fu uno degli snodi più discussi della storia della psicoanalisi. Alcuni studiosi hanno ipotizzato che Freud abbia ritrattato la sua teoria iniziale per ragioni culturali e sociali: l’idea che l’abuso sessuale infantile fosse diffuso nelle famiglie borghesi del tempo era inaccettabile e avrebbe potuto compromettere la credibilità della psicoanalisi. Altri, invece, sostengono che Freud fece una scoperta fondamentale, spostando l’attenzione dai traumi reali ai processi psichici, aprendo la strada alla comprensione dell’inconscio.

Il crollo dell’ipotesi della seduzione,  che era sembrato un ostacolo, divenne infatti una nuova prospettiva di lavoro per Freud: l’accento veniva ora posto sulla sessualità infantile e sulla fondamentale importanza delle pulsioni, come causa della formazione della fantasia e come fonte delle proprietà dinamiche dell’apparato psichico.

Negli ultimi decenni, il dibattito si è riaperto con le ricerche sulla memoria traumatica e le testimonianze di abusi sessuali infantili. Studi contemporanei sulla dissociazione e sui disturbi post-traumatici suggeriscono che, in alcuni casi, ricordi rimossi possano effettivamente riemergere. Tuttavia, la psicoanalisi freudiana rimane centrata sul conflitto inconscio piuttosto che sulla mera ricostruzione storica del trauma.

Fonte principale: Zetzel-Meissner, Psichiatria psicoanalitica, Boringhieri

Dott.ssa Giuliana Proietti

Intervento del 14-09-2024 su Sessualità e Terza Età
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Leggi anche L’ipotesi della seduzione infantile in Freud

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La Dottoressa Giuliana Proietti, Psicoterapeuta Sessuologa di Ancona, ha una vasta esperienza pluriennale nel trattamento di singoli e coppie. Lavora prevalentemente online.
In presenza riceve a Ancona Fabriano Civitanova Marche e Terni.

  • Delegata del Centro Italiano di Sessuologia per la Regione Umbria
  • Membro del Comitato Scientifico della Federazione Italiana di Sessuologia.

Oltre al lavoro clinico, ha dedicato la sua carriera professionale alla divulgazione del sapere psicologico e sessuologico nei diversi siti che cura online, nei libri pubblicati, e nelle iniziative pubbliche che organizza e a cui partecipa.

Per appuntamenti:
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mail: g.proietti@psicolinea.it

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Assistere i malati terminali

Assistere i malati terminali

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Una lezione divulgativa su Freud e il suo libro "Totem e Tabù"

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L’assistenza ai malati terminali rappresenta un momento cruciale nella vita del paziente e dei suoi cari. Si tratta di un’esperienza carica di significati emotivi, relazionali ed esistenziali, che richiede un approccio integrato tra medicina, psicologia e supporto sociale.

Chi si occupa dei malati terminali?

A causa della tendenza internazionale a ridimensionare le unità ospedaliere e a ridurre i costi di assistenza sanitaria e di assistenza sanitaria secondaria [Euclid Network . Euclid Network, 2012, OMS, 2002], le cure di fine vita vengono ormai date in gestione alle case di cura specializzate e alle associazioni che si occupano di assistenza domiciliare. Molti operatori sanitari dunque si stanno specializzando nel vedere solo questo tipo di malati.

Quale è la condizione dei pazienti terminali?

I pazienti terminali sperimentano frequentemente un grave disagio spirituale ed esistenziale [Boston P, Bruce A, Schreiber R, 2011].

Bruce et al. [2011] hanno descritto la sofferenza esistenziale come una condizione in cui la sofferenza comprende stati di disperazione, senso di inutilità, mancanza di senso della vita, depressione, ecc. La ricerca ha indicato che un numero significativo di pazienti terminali desidera un’adeguata cura spirituale e/o esistenziale e consulenza per far fronte a queste emozioni negative [Groenvold M, Pedersen C, Jensen C, Faber M, Johnsen A. 2006;Ruijs CD et al. 2012].

I pazienti con malattie avanzate riferiscono tuttavia che raramente trovano personale preparato per fornire loro assistenza spirituale [Balboni MJ et al. 2013]; diversi studi indicano che molti pazienti sono insoddisfatti per il sostegno emotivo ed esistenziale che ricevono. [Udo C, 2014]

I pazienti che soffrono hanno infatti bisogno di ricevere il coraggio e la forza di affrontare la vita, da parte di altri esseri umani che sono presenti e che mostrano, attraverso le loro azioni, che saranno dalla loro parte, cercando di condividere i tempi duri che li attendono. In questo caso la capacità di agire con prudenza e saggezza (phronesis) presuppone conoscenze teoriche (episteme) sulla sofferenza e su come alleviare la sofferenza, ma anche competenze pratiche infermieristiche (techne). Nella cornice delle cure del fine vita la “phronesis” o saggezza, intesa come capacità degli operatori di incontrare la persona sofferente e di agire con sensibilità e apertura mentale, diventa molto importante [Ohlen 2001]. 

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Cosa si intende per approccio palliativo?

L’assistenza ai malati terminali si basa sui principi delle cure palliative, che mirano a garantire la migliore qualità di vita possibile riducendo il dolore e altri sintomi debilitanti. Le cure palliative non si limitano agli aspetti fisici, ma comprendono anche il supporto psicologico ed emotivo per il paziente e la sua famiglia.

Quale è il ruolo della famiglia e dei caregiver?

I caregiver, spesso familiari o amici stretti, svolgono un ruolo fondamentale nell’accompagnare il malato terminale. Questo compito, per quanto nobile, può risultare estremamente stressante e logorante, generando sentimenti di impotenza, frustrazione e dolore. È essenziale, per questo motivo, che anche i caregiver ricevano supporto psicologico per affrontare il carico emotivo e il senso di perdita imminente.

Quali sono gli aspetti psicologici di cui tenere conto?

A livello psicologico, il malato terminale attraversa diverse fasi emotive, tra cui shock, negazione, rabbia, depressione e infine accettazione, come descritto da Elisabeth Kübler-Ross. Ogni individuo, tuttavia, elabora la propria condizione in modo unico. L’intervento psicologico, attraverso il counseling o la psicoterapia, aiuta ad affrontare paure, ansie e il senso di isolamento.

Cosa è il supporto al lutto anticipatorio?

Il lutto anticipatorio è il processo di elaborazione del dolore che inizia prima della perdita effettiva. Questo fenomeno coinvolge sia il paziente che i suoi cari e può essere caratterizzato da tristezza profonda, paura e, in alcuni casi, sensi di colpa. Affrontarlo con il supporto di professionisti può favorire una transizione più consapevole e meno traumatica.

Quanto è importante la comunicazione?

Una comunicazione aperta e rispettosa è essenziale per garantire un’assistenza efficace. Parlare della malattia e della morte può risultare difficile, ma evitare il confronto può generare ulteriore sofferenza. Utilizzare un linguaggio chiaro, empatico e rispettoso delle emozioni del paziente aiuta a creare un clima di fiducia e serenità.

Come si forma il personale specializzato per pazienti terminali?

Diversi formatori si sono finora cimentati con le complesse sfide che prevede lo sviluppo di un programma per insegnare agli operatori sanitari informazioni e tecniche per la cura spirituale [Baldacchino DR, 2006-van Leeuwen R, Cusveller B, 2004]. Tuttavia, data la natura astratta della spiritualità, l’insegnamento dell’assistenza spirituale è risultato molto più complesso rispetto all’insegnamento delle azioni concrete che riguardano la cura della malattia [Pesut B, 2002].

Pesut et al. [2014] hanno condotto una review sugli studi esistenti in materia di formazione alle cure palliative per gli infermieri e gli altri operatori di assistenza infermieristica, senza trovare alcun riferimento alla cura spirituale ed esistenziale nel fine vita, il che suggerisce che esiste una lacuna nella letteratura riguardo a questo argomento, forse perché lo stesso concetto di “cura spirituale” è suscettibile di interpretazione.

I corsi di formazione sono tuttavia uno strumento importante per sviluppare il coraggio e la competenza degli operatori, rendendoli più coinvolti e disposti ad esporsi alla sofferenza spirituale ed esistenziale dei pazienti, anche mettendo in gioco la propria vulnerabilità.

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Gli operatori possono sentirsi incerti e ansiosi su ciò che devono o non devono dire e fare quando si trovano a relazionarsi con un malato terminale: come dovrebbero comportarsi?

Nel 2010, in Norvegia, è stato a questo scopo avviato un corso di formazione, con l’obiettivo di formare gli operatori che assistono i malati terminali anche alla cura spirituale ed esistenziale. Secondo il gruppo di docenti del progetto, gli operatori esprimono spesso la loro riluttanza ad affrontare la sofferenza esistenziale e spirituale dei pazienti morenti, in quanto temono di non essere in grado di rispondere alle loro domande.

Il team di formatori ha dunque spiegato agli operatori sanitari che trattano con i malati terminali che essi potevano trasmettere al paziente una forte consolazione, semplicemente attraverso l’ascolto e la condivisione con lui di momenti di silenzio. Tuttavia, molti operatori sembrano aver paura del silenzio o addirittura di trovarsi da soli con il paziente morente: questo atteggiamento può essere dovuto a insicurezza personale, nonché a insufficienti capacità di comunicazione e di ascolto.

Il team norvegese ha suggerito agli operatori di cercare di individuare la sofferenza spirituale ed esistenziale del paziente, attraverso conversazioni che toccano temi esistenziali e spirituali, ma anche con la sola presenza silenziosa e l’ascolto attivo. E’ stato insegnato agli operatori a “lavorare con il cuore”, sottolineando l’aspetto relazionale della cura e l’unicità di ogni paziente nella dimensione fisica, sociale, psicologica e spirituale. Naturalmente non si può parlare di questi temi quando il paziente si trova ad affrontare spasmi di dolore: tutto questo ha senso se il paziente è sollevato dal dolore.

Quando il paziente è maggiormente sereno e disponibile, gli operatori dovrebbero incoraggiarlo a sfogare la propria tristezza, anche semplicemente chiedendo: “Come sta?” La risposta a questa domanda potrebbe essere sufficiente ad aprire la porta a dialoghi più significativi con i pazienti con la loro esternazione di pensieri e sentimenti. E’ importante inoltre prestare attenzione alle espressioni del viso del paziente e al suo linguaggio del corpo.

Secondo il progetto norvegese gli operatori dovrebbero entrare in stanza semplicemente chiedendo al paziente “in che cosa posso esserle utile oggi?” A parere del gruppo dei formatori del progetto, alcuni operatori si sottovalutano e per questo devono essere incoraggiati a parlare con il paziente da soli. Si tratta di un lavoro che si impara non sui libri, ma facendo, sotto la supervisione dei formatori.

La riflessione critica è una parte importante del “learning by doing”: occorre incoraggiare discussioni con gli operatori, prima e dopo gli incontri con i pazienti. La sfida che deve essere comunicata è cercare di scoprire chi sia in realtà il paziente, lasciandolo parlare delle cose dolorose e difficili legate alla morte e alla sofferenza, offrendogli la speranza anche nelle situazioni disperate, ascoltando le sue preoccupazioni religiose o spirituali, ecc.”. In alcune circostanze è importante semplicemente sedersi accanto al paziente e tacere.

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Gli operatori che assistono malati terminali possono andare in burnout ?

Si, essi spesso si sentono frustrati, perché conoscono la situazione dei pazienti terminali e questo li può rendere vulnerabili alla loro paura della morte e del morire. La lotta per la vita di qualcun altro genera infatti paure e ansie sulla natura transitoria della nostra vita terrena. Non si pensa, in questi casi, solamente al fatto che tutti debbano morire, ma anche che si può morire fra mille sofferenze. Prendere le distanze da queste situazioni esprime il bisogno di evitare la paura della morte.

Come è considerata la morte nel nostro mondo occidentale?

La morte è un argomento tabù nella nostra società [Leclerc BS, Lessard S, Bechennec C, Le Gal E, Benoit S, Bellerose L. , 2014]. Philippe Ariès sottolinea che la cultura occidentale emargina la morte e il morire [Ariès P. 1991, 1974]. Nella società occidentale, dove gran parte delle cose sono ormai sotto il nostro controllo, è difficile per le persone sperimentare ed accettare la malattia grave e il declino funzionale come parte della vita [Kovach CR., 2007]. Inoltre, a causa di una maggiore istituzionalizzazione e medicalizzazione della sofferenza e della morte rispetto al passato, poche persone hanno vissuto questa esperienza, anche indirettamente, e quindi la temono di più [Blondeau D., 2009].

I progressi delle medicine occidentali e le pratiche di cura preventiva hanno generato aspettative irrealistiche sulla salute eterna: gli aspetti antiestetici dell’invecchiamento, di sofferenza e morte sono in netto contrasto con la bellezza e il culto del corpo presente nella società occidentale contemporanea [Blondeau D., 2009]. Di conseguenza, viviamo in una società in cui molte persone sono psicologicamente impreparate e timorose di affrontare le incertezze esistenziali che accompagnano l’invecchiamento, la sofferenza e la morte.

Secondo Penrod [2007] l’incertezza della vita è una sensazione sconfortante, che può essere però mediata da sentimenti di fiducia e di controllo, anche se non può essere completamente risolta o controllata. Gli operatori del fine vita devono quindi imparare a convivere con l’incertezza esistenziale, al fine di alleviare la sofferenza spirituale ed esistenziale del paziente morente.

Dr. Giuliana Proietti

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Tariffe Psicoterapia

Fonte principale:
Tornøe K, Danbolt LJ, Kvigne K, Sørlie V. A mobile hospice nurse teaching team’s experience: training care workers in spiritual and existential care for the dying – a qualitative study. BMC Palliative Care. 2015;14:43. doi:10.1186/s12904-015-0042-y.

Immagine:
Flickr

 

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  • 18 Feb 2025
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Il papilloma virus umano (HPV): cosa sapere

Il papilloma virus umano (HPV): cosa sapere

Il papilloma virus umano (HPV): cosa sapere

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Il papillomavirus umano è un problema di salute pubblica globale associato a malattie che vanno dalle verruche benigne alle neoplasie maligne potenzialmente letali. La ricerca degli ultimi cinquant’anni ha fornito importanti informazioni sulla biologia del virus e sul suo impatto clinico. Lo sviluppo di un vaccino efficace ha ridotto le malattie correlate all’HPV e offre speranza per l’uso in terapia; tuttavia, esistono ancora barriere a questo vaccino, soprattutto nei paesi a basso e medio reddito. Sono necessari sforzi nell’istruzione, campagne di vaccinazione e ricerca continua per ridurre la morbilità e la mortalità correlate all’HPV in tutto il mondo. Quella che segue è la sintesi di uno studio scientifico, che pubblichiamo allo scopo di migliorare la conoscenza di questa malattia, come prevenirla e come curarla.

Cosa si intende per papilloma virus umano (HPV)?

Il papillomavirus umano (HPV) è un virus a DNA a doppio filamento non avvolto, ed è l’infezione sessualmente trasmessa più comune al mondo.

Quando è stato scoperto questo virus?

Il virus è stato descritto per la prima volta utilizzando la microscopia elettronica nel 1949 da Strauss et al. Nel 1976, Harald zur Hausen ha postulato un collegamento tra HPV e cancro cervicale e, nel decennio successivo, il suo team ha isolato con successo due nuovi ceppi, HPV 16 e 18, da biopsie di cancro cervicale, esperimenti che gli avrebbero poi fatto guadagnare un premio Nobel per la medicina.

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Come è proseguita la ricerca sull’HPV?

Oggi, sono stati descritti più di 170 genotipi di HPV, classificati come genotipi a basso rischio e ad alto rischio. Tra questi, ci sono almeno 12 ceppi ad alto rischio, con HPV 16, 18, 31 e 45 responsabili della maggior parte dei tumori causati dall’HPV. I ceppi a basso rischio, come HPV 6 e 11, raramente portano al cancro, ma possono causare verruche ai genitali, all’ano, alla bocca e alla gola.

Come funziona il meccanismo dell’infezione da HPV?

Il meccanismo dell’infezione da HPV non è completamente compreso. Il meccanismo più comunemente accettato è che l’HPV entra nelle cellule attraverso microlesioni nella membrana basale epiteliale tramite endocitosi, quindi viene traslocato nel nucleo per la replicazione e la trascrizione del genoma. Il genoma dell’HPV ha otto frame di lettura di apertura: E1, E2, E4, E5, E6 ed E7; e due regioni tardive: L1 e L2.

I frame di lettura facilitano la replicazione e la trascrizione, processi completati dalle proteine ​​dell’ospite. La ricerca si è concentrata principalmente sui frame E6 ed E7 a causa del loro ruolo nell’interruzione della crescita e della differenziazione cellulare. Le regioni tardive, L1 e L2, funzionano per impacchettare il genoma amplificato in un virione creando il capside icosaedrico. Alla fine, il virus esce dalle cellule attraverso la desquamazione naturale, infettando comunemente le cellule epiteliali.

Come si trasmette l’HPV?

L’HPV si trasmette attraverso il contatto sessuale, comunemente tramite contatto pelle-pelle o pelle-mucosa. Oltre l’80% degli adulti sessualmente attivi sarà esposto all’HPV nel corso della propria vita. Molto più raramente, può essere trasmesso verticalmente durante il periodo perinatale. Ci sono stati anche rari casi di autoinoculazione o infezione indiretta in individui che non hanno mai avuto alcun contatto sessuale.

Come si presenta l’infezione?

L’infezione da HPV è più comunemente asintomatica. I ceppi di HPV a basso rischio possono causare verruche plantari, comuni o genitali e papillomatosi respiratoria focale, mentre i ceppi ad alto rischio sono associati a neoplasia intraepiteliale cervicale (CIN) e carcinomi cervicali, vaginali, vulvari, anali, penieni e orofaringei. Si stima che il 90% dei tumori cervicali e anali, il 70% dei tumori vulvari e vaginali, il 60% dei tumori penieni e il 70% dei tumori orofaringei siano dovuti a infezione da HPV persistente ad alto rischio.

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Perché l’infezione da HPV causa il cancro?

L’infezione da HPV causa il cancro a causa della sovraregolazione dei frame di lettura E6 ed E7 nel genoma HPV che inattivano rispettivamente p53 e Rb nelle loro cellule ospiti. La sovraregolazione di E6 ed E7 può portare a un’infezione abortiva in cui si verifica una disregolazione del genoma virale che impedisce la produzione di virus infettivi. L’HPV può anche portare a infezioni produttive che consentono al ciclo di vita virale di funzionare correttamente. Il meccanismo specifico di carcinogenesi dopo l’infezione da HPV varia in base alla posizione dell’infezione.

Come si sviluppa il cancro cervicale?

Il cancro cervicale si sviluppa comunemente dove la cervice passa dall’epitelio squamoso stratificato all’epitelio colonnare noto come zona di trasformazione. Si postula che questa area sia costituita da cellule di riserva che agiscono come cellule staminali. Una volta infettata dall’HPV, l’espressione genica virale non può essere regolata, portando a metaplasia e infine cancro. La disregolazione del ciclo di vita virale nelle cellule di riserva è dovuta a un aumento delle infezioni abortive piuttosto che delle infezioni produttive.

Come si verifica il cancro anale?

Il cancro anale dovuto all’infezione da HPV si verifica con uno schema simile al cancro cervicale, poiché l’HPV spesso infetta la zona di trasformazione anale, portando al cancro. Sia la carcinogenesi cervicale che quella anale da HPV differiscono dal probabile meccanismo del cancro orofaringeo associato all’HPV.

Come si sviluppa il cancro a livello orofaringeo?

L’orofaringe è composta da epitelio della cripta tonsillare che consente più facilmente l’infezione da HPV, che è più permissiva alle infezioni abortive rispetto alle infezioni produttive. Ciò aumenta il rischio di espressione genica virale disregolata che può portare al cancro.

Il cancro prodotto da HPV può essere pericoloso?

Secondo l’Osservatorio globale sul cancro del 2022 dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS), il cancro cervicale è l’ottavo tumore più comunemente diagnosticato e la nona causa di morte correlata al cancro.  Il cancro orofaringeo è il 24° tumore più comune al mondo, con un’incidenza di 106.400 casi. Di questi casi, si stima che il 70% sia causato da infezione da HPV ad alto rischio.


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Come si eseguono i test per la diagnosi?

Esistono molti metodi di laboratorio per testare l’infezione da HPV. In genere, il co-test viene comunemente completato durante un Pap test, in cui i patologi valutano uno striscio citologico di cellule dalla cervice uterina e test di amplificazione del segnale come il test Digene ® HPV o il test Cervista ® HPV ad alto rischio.

Anche il test della reazione a catena della polimerasi (PCR) e la quantificazione della carica virale possono essere utilizzati per testare l’HPV.

Lo screening per l’infezione da HPV negli uomini non è attualmente raccomandato dai Centers for Disease Control and Prevention (CDC) in quanto non ci sono test approvati; tuttavia, il Pap test anale può essere consigliato agli uomini che ricevono sesso anale o che vivono con il virus dell’immunodeficienza umana (HIV).

Come organizzare gli screening?

Secondo le raccomandazioni della United States Preventative Services Task Force (USPSTF) e dell’American Society for Colposcopy and Cervical Pathology, i Pap Test sono raccomandati ogni tre anni per le donne a partire dall’età di 21 anni.

Per lo screening nelle donne di età superiore ai 30 anni, le donne possono scegliere di sottoporsi al co-test HPV con un Pap test cervicale ogni cinque anni, al solo test HPV ogni cinque anni o al Pap test ogni tre anni, tutti con completamento all’età di 65 anni se il test precedente è negativo.

Le donne che vivono con l’HIV devono sottoporsi a test ogni anno per tre anni e poi ogni tre anni per tutta la vita con un Pap test o un Pap test con co-test HPV a partire dall’età di 21 anni.

Se il Pap test cervicale e il test HPV risultano entrambi negativi, l’incidenza di sviluppare CIN III o superiore entro cinque anni è dello 0,7% .

A partire dal 2021, l’OMS raccomanda lo screening con il solo test del DNA dell’HPV, anziché con il Pap test citologico o l’ispezione visiva con acido acetico (VIA), per tutte le donne a partire dall’età di 30 anni con un intervallo di ogni cinque-dieci anni con completamento dopo due test di screening negativi. (Questa raccomandazione cambia per le donne che vivono con l’HIV).

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Quando si usa l’ispezione visiva con acido acetico?

Poiché lo screening del Pap Test comporta un processo in più fasi che richiede attrezzature e professionisti per la diagnosi e il trattamento della displasia cervicale o del cancro, molti contesti con risorse inferiori utilizzano l’ispezione visiva con acido acetico (VIA). Questa procedura viene effettuata con acido acetico al 3-5%, che viene applicato alla cervice per 1-2 minuti. La cervice viene quindi osservata per un cambiamento di colore bianco, che, se presente, potrebbe indicare una eventuale patologia sottostante. Uno studio del 2015 su 39.740 donne che ha analizzato l’accuratezza diagnostica di VIA ha mostrato che il 7,1% delle donne sottoposte a screening aveva una VIA positiva e, di queste, la patologia ha confermato che il 92,8% aveva una cervice normale o una lesione di CIN I, indicando un basso valore predittivo positivo dello screening VIA.

Quale è la prognosi dell’infezione da HPV?

Nel complesso, la prognosi dell’infezione da HPV in sé rimane buona. Entro 12-24 mesi, il 90% delle infezioni non è rilevabile, il che suggerisce la scomparsa spontanea del virus. Le infezioni non eliminate possono causare malattia clinica.

Quale è il tasso di mortalità più alto riferito all’HPV?

La mortalità dovuta all’HPV è più comunemente dovuta al cancro cervicale. In un’analisi del cancro cervicale di tutti gli stadi negli Stati Uniti dal 2013 al 2019, si è osservato un tasso di sopravvivenza a 5 anni del 67,2% per tutti gli individui. Se il cancro aveva prodotto metastasi, il tasso di sopravvivenza a 5 anni scendeva al 19%. Uno studio del 2022 che analizzava i codici ICD-10 ha mostrato che la sopravvivenza complessiva per gli individui che avevano un cancro orofaringeo associato all’HPV era dell’81,5% nei maschi e dell’80,6% nelle femmine.

Quali sono i trattamenti per questa infezione?

Attualmente non ci sono trattamenti ben studiati per l’infezione da papillomavirus umano. I trattamenti disponibili mirano ai sintomi e alle malattie causate dall’infezione da HPV come verruche o cancro.

Per le verruche genitali, i trattamenti includono terapie topiche e rimozione fisica o distruzione. Le terapie topiche includono imiquimod, podofillotossina, sinecatechine e isotretinoina, con le opzioni più comunemente utilizzate che sono imiquimod e podofillotossina. I trattamenti di rimozione fisica e distruzione includono semplice escissione chirurgica, ablazione con azoto liquido, elettrocauterizzazione e terapia fotodinamica.

Le opzioni per il trattamento di CIN II o III includono conizzazione, crioterapia e procedura di escissione elettrochirurgica ad ansa (LEEP). Per il cancro cervicale, la stadiazione rimane importante per determinare il trattamento. A causa del carico significativamente più elevato di cancro cervicale nei paesi a basso e medio reddito, storicamente, il sistema di stadiazione per il cancro cervicale era basato sulla clinica. Questo sistema ha consentito ai paesi, in particolare ai paesi a basso e medio reddito, di diagnosticare e stadiare meglio il cancro cervicale in base alle risorse disponibili. Nel 2018, la Federazione Internazionale di Ginecologia e Ostetricia (FIGO) ha incorporato l’imaging trasversale e la patologia nel sistema di stadiazione.

Gli stadi iniziali possono essere trattati con semplice isterectomia o conizzazione, mentre gli stadi successivi possono richiedere isterectomia, radiazioni e/o chemioterapia. La chemioterapia è stata storicamente basata sul cisplatino; tuttavia, con un aumento della resistenza alla monoterapia, il trattamento è stato reso più efficace quando la chemioterapia a base di cisplatino è stata combinata con un’altra terapia come topotecan, paclitaxel, 5-fluorouracile o bleomicina. Per il cancro cervicale localmente avanzato, la radioterapia è spesso raccomandata insieme al regime chemioterapico combinato.

Come per il cancro cervicale, i trattamenti per il cancro anale si basano sulla stadiazione. L’escissione locale è disponibile per piccole lesioni che non coinvolgono gli sfinteri e spesso non richiedono ulteriori trattamenti. I pazienti con malattia più avanzata richiedono un trattamento prima dell’escissione, che è comunemente radioterapia e chemioterapia. L’approccio multimodale più comunemente utilizzato è l’escissione locale seguita da mitomicina, 5-fluorouracile e radiazioni. Se il cancro è metastatico, è necessaria l’aggiunta di una terapia a base di cisplatino.

Il cancro orofaringeo associato all’HPV segue un modello di trattamento simile ad altri tumori associati all’HPV. L’escissione è generalmente il primo trattamento e può essere completata con una procedura aperta o con opzioni meno invasive di chirurgia laser e robotica. Lo standard di cura dopo l’escissione è la radioterapia con chemioterapia a base di cisplatino.

Una intervista sulla violenza domestica

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Come si fa prevenzione?

I metodi di prevenzione dell’infezione da HPV sono mirati a prevenire l’esposizione al virus. L’attività sessuale è la modalità di trasmissione più frequente dell’HPV. La prevenzione primaria dell’HPV può essere ottenuta tramite l’astinenza o la vaccinazione prima dell’attività sessuale.

Uno studio ha rilevato che le donne di età compresa tra 35 e 60 anni con cinque o più partner sessuali nella vita avevano un aumento più che doppio nella rilevazione dell’HPV ad alto rischio rispetto a quelle con meno di cinque partner sessuali nella vita.

In una meta-analisi delle infezioni da HPV e dell’uso del preservativo, tutti gli otto studi hanno mostrato un certo effetto protettivo dell’uso del preservativo e quattro degli otto hanno mostrato un effetto protettivo molto significativo nella prevenzione dell’HPV.

Per quanto riguarda la trasmissione verticale, uno studio ha rilevato che il 5,2% dei neonati con una madre che aveva un test HPV positivo durante la gravidanza aveva l’HPV rilevabile. Con bassi tassi di trasmissione verticale, il taglio cesareo non è raccomandato se la madre è infetta da HPV.

Uno studio del 2016 ha rilevato che la trasmissione perinatale del virus è diminuita del 46% con il taglio cesareo; tuttavia, la trasmissione si è verificata nel 15% dei tagli cesarei. Il modo migliore per prevenire la trasmissione verticale da madre a figlio è proteggere la madre dall’infezione da HPV. Per prevenire l’autoinoculazione e il contatto indiretto, una buona igiene delle mani rimane importante.

Quali sono i vaccini contro l’HPV e quale è la loro efficacia?

Il vaccino contro l’HPV è stato approvato per la prima volta negli Stati Uniti nel 2006. Attualmente sono disponibili tre principali tipi di vaccini: bivalente, quadrivalente e nonavalente. Il vaccino bivalente è mirato all’HPV 16 e 18, il vaccino quadrivalente è mirato all’HPV 6, 11, 16 e 18, e il vaccino più recente è il vaccino nonavalente, o 9-valente, con il marchio Merck & Company Gardasil ® , che è mirato all’HPV 6, 11, 16, 18, 31, 33, 45, 52 e 58.

Il vaccino contro l’HPV è un vaccino ricombinante non infettivo creato da particelle simili al virus della proteina L1 che viene purificata da ciascuno dei tipi di HPV associati. È prevista una risposta anticorpale un mese dopo il completamento della serie di vaccini in oltre il 98% delle persone. Non è stato identificato alcun livello minimo di titolo anticorpale protettivo. Il vaccino aumenta anche l’immunità delle cellule B modificando il tipo di anticorpi in circolazione. In risposta a un’infezione naturale da HPV, si formano anticorpi non neutralizzanti. Se una dose del vaccino viene somministrata dopo l’infezione da HPV 16, si formano anticorpi neutralizzanti. Il vaccino contro l’HPV fornisce una protezione di lunga durata contro l’infezione senza diminuzione dell’immunità per almeno 12 anni.

C’è una efficacia dimostrata di questi vaccini?

L’efficacia del vaccino contro l’HPV può essere valutata in base alla sua capacità di prevenire infezioni e malattie da HPV a basso e alto rischio. Nella prevenzione delle verruche genitali, il vaccino quadrivalente ha mostrato una significativa riduzione del rischio di verruche genitali (OR = 0,03, 95% CI 0,01-0,09) e un numero significativamente ridotto di verruche genitali (OR = 0,36, 95% CI 0,26-0,51).

Nella prevenzione del cancro cervicale, uno studio in Scozia di Palmer et al. ha analizzato i registri del cancro e le cartelle vaccinali di donne nate tra il 1988 e il 1996 per valutare una connessione tra il vaccino contro l’HPV e il cancro cervicale. Questo studio ha mostrato che le donne vaccinate all’età di 12-13 anni con il vaccino bivalente contro l’HPV non hanno avuto casi di cancro cervicale invasivo, indicando un’efficacia del vaccino del 100%. Nelle donne di età compresa tra 14 e 22 anni che hanno ricevuto tre dosi del vaccino, 3,2 su 100.000 hanno avuto un cancro cervicale rispetto a 8,4 su 100.000 nelle donne non vaccinate. Questo studio dimostra che la vaccinazione precoce contro il papillomavirus umano è efficace nella prevenzione del cancro cervicale ed è più efficace se somministrata a ragazze di 13 anni o più giovani.

È stato anche dimostrato che i vaccini riducono le infezioni orofaringee e anali e quindi prevengono il cancro successivo. Una revisione sistematica del 2021 ha rilevato che coloro che erano stati vaccinati avevano una percentuale di riduzione relativa dell’82,7% delle infezioni da HPV orali e orofaringee. Per le infezioni da HPV anali, una meta-analisi ha rilevato che l’incidenza del cancro anale era significativamente ridotta dopo la vaccinazione contro l’HPV rispetto a un gruppo di controllo (RR = 0,42, IC al 95% 0,31-0,57; p = 0,02).


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Come viene somministrato il vaccino?

Il CDC raccomanda due dosi del vaccino contro l’HPV per i bambini di 11 e 12 anni, sia ragazze che ragazzi, con ogni dose distanziata di sei-dodici mesi. Gli individui di età compresa tra 15 e 26 anni, che non sono stati vaccinati in precedenza, dovrebbero ricevere tre dosi del vaccino contro l’HPV. Tuttavia, sulla base di fattori come il debutto sessuale precoce o lo stato di immunodeficienza, il CDC suggerisce la vaccinazione già a 9 anni, con vaccinazione di recupero fino a 45 anni.

L’OMS raccomanda una o due dosi per le ragazze di età compresa tra 9 e 14 anni e per le donne di età compresa tra 15 e 20 anni, e due dosi con un intervallo di 6 mesi per le donne di età superiore ai 21 anni. Se una persona è immunodepressa o convive con l’HIV, l’OMS raccomanda almeno due dosi, con tre dosi se fattibile. L’intervallo di età per la vaccinazione contro l’HPV consente flessibilità nella pratica clinica. Tuttavia, il vaccino è più efficace se somministrato prima dell’inizio dell’attività sessuale. Pertanto, la valutazione del rischio e il processo decisionale condiviso dovrebbero essere eseguiti per tutti i pazienti per determinare l’età migliore per completare la serie di vaccinazioni.

Adattato da Giuliana Proietti

Relazione sull'Innamoramento - Festival della Coppia 2023

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Fonte: Jensen JE, Becker GL, Jackson JB, Rysavy MB. Human Papillomavirus and Associated Cancers: A Review. Viruses. 2024 Apr 26;16(5):680. doi: 10.3390/v16050680. PMID: 38793561; PMCID: PMC11125882.

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La Dottoressa Giuliana Proietti, Psicoterapeuta Sessuologa di Ancona, ha una vasta esperienza pluriennale nel trattamento di singoli e coppie. Lavora prevalentemente online.
In presenza riceve a Ancona Fabriano Civitanova Marche e Terni.

  • Delegata del Centro Italiano di Sessuologia per la Regione Umbria
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Oltre al lavoro clinico, ha dedicato la sua carriera professionale alla divulgazione del sapere psicologico e sessuologico nei diversi siti che cura online, nei libri pubblicati, e nelle iniziative pubbliche che organizza e a cui partecipa.

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La coazione a ripetere: cosa è?

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La coazione a ripetere è un concetto fondamentale nella teoria psicoanalitica, introdotto da Sigmund Freud nel 1920 nel suo saggio Al di là del principio di piacere. Con questo termine, Freud si riferisce alla tendenza inconscia a ripetere esperienze, spesso traumatiche, senza un apparente vantaggio per il soggetto. Questo fenomeno si manifesta in vari ambiti della vita, dalle relazioni interpersonali ai comportamenti autodistruttivi. Cerchiamo di saperne di più.

Origine e sviluppo del concetto

Freud osservò che molte persone tendevano a ripetere esperienze dolorose nonostante il principio di piacere suggerisse che gli individui dovrebbero cercare il benessere ed evitare la sofferenza. Egli ipotizzò che questa tendenza fosse guidata da un impulso profondo e inconscio, legato alla pulsione di morte (Thanatos), che spinge l’individuo verso la ripetizione di situazioni spiacevoli, quasi come se tentasse di padroneggiarle o risolverle.

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Forme in cui si presenta

La coazione a ripetere può assumere sia forme simboliche che letterali. Nelle forme simboliche, potrebbe comportare sogni ricorrenti focalizzati su argomenti simili al trauma iniziale. In altri casi, può comportare la ripetizione letterale di situazioni emotivamente o fisicamente dolorose che le persone hanno sperimentato in passato.

Manifestazioni della coazione a ripetere

Le influenze inconsce possano continuare a plasmare il comportamento e il benessere in questi modi:

  • Relazioni interpersonali: una persona può trovarsi intrappolata in dinamiche relazionali tossiche simili a quelle vissute nell’infanzia, riproducendo inconsciamente il modello di attaccamento con i genitori o con figure significative che potrebbero essere state violente, distruttive o emotivamente non disponibili.
  • Scelte lavorative e di vita: alcuni individui tendono a ripetere schemi di fallimento o autosabotaggio, come cambiare frequentemente lavoro o rimanere in ambienti poco gratificanti.
  • Rievocazione del trauma: la coazione a ripetere può manifestarsi attraverso incubi ricorrenti o flashback dell’evento traumatico, allo scopo di rivivere direttamente gli eventi traumatici del passato.
  • Comportamenti compulsivi: le persone possono ritrovarsi a ripetere una certa routine o comportamento anche se non è qualcosa che amano. Tali comportamenti possono anche essere disadattivi e creare problemi nella vita di una persona (Esempio: le dipendenze, le abitudini autolesionistiche e altri comportamenti autodistruttivi).
  • Ripetizione di azioni autodistruttive : ciò comporta il coinvolgimento ripetuto in azioni auto-sabotanti , come il dialogo interiore negativo, l’evitamento o la procrastinazione.

Una lezione divulgativa su Freud e il suo libro "Totem e Tabù"

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Spiegazioni del fenomeno

Alcune delle altre cause che sono state suggerite per spiegare questo fenomeno sono le seguenti: 

  • Modelli inconsci : Freud ipotizzò che la coazione a ripetere fosse un tentativo dell’inconscio di elaborare e padroneggiare il trauma, sebbene spesso senza successo. Più tardi, alcuni teorici come Melanie Klein e Jacques Lacan ampliarono il concetto, collegandolo alle dinamiche del desiderio e alle modalità con cui il soggetto cerca di ricostruire un senso di continuità nella propria storia.
  • Problemi di attaccamento : le persone che hanno problemi di attaccamento dovuti a trascuratezza o traumi precoci potrebbero ritrovarsi a cercare ripetutamente relazioni malsane in età adulta.
  • Associazioni condizionate : a volte i comportamenti ripetitivi possono emergere perché una persona ha formato associazioni che rendono il comportamento quasi automatico.
  • Disregolazione emotiva : la compulsione a ripetere può verificarsi anche quando le persone hanno difficoltà a tollerare emozioni difficili o critiche, il che può portarle a rispondere in modi sproporzionati alla situazione.
  • Personalità : a volte alcuni tratti della personalità, come l’impulsività o il perfezionismo, possono rendere una persona più incline alla ripetizione compulsiva.
  • Meccanismi di adattamento al trauma : impegnandosi in comportamenti rischiosi o cercando situazioni simili al trauma vissuto, le persone sentono di avere un maggiore senso di controllo sulla situazione. Ad esempio: guidare in stato di ebbrezza, fare sesso non protetto o tradire il/la partner (se si è avuto un genitore che ha tradito il/la proprio/a partner si potrebbe essere infedeli anche nelle proprie relazioni adulte, oppure si può rimanere con un/a partner che ha tradito per ripetere le dolorose esperienze della propria infanzia).

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Approcci terapeutici

Psicoterapia

La psicoterapia può essere utile e può aiutare le persone a elaborare, integrare e acquisire padronanza delle proprie esperienze. Possono essere utili diverse tecniche, tra cui:

Terapia cognitivo comportamentale (CBT)

La terapia cognitivo-comportamentale è una forma di terapia che affronta i pensieri automatici errati che portano le persone a ripetere comportamenti disadattivi. Le persone imparano a identificare questi schemi di pensiero e poi sviluppano nuove competenze che consentono loro di sostituire i pensieri negativi con altri più utili e realistici. Tecniche come la ristrutturazione cognitiva della terapia cognitivo-comportamentale possono fornire strumenti per interrompere il circolo vizioso della ripetizione.

Terapia EMDR (Eye Movement Desensitization and Reprocessing)

Nei casi legati ai traumi, la terapia EMDR si è dimostrata efficace nel ridurre la ricorrenza di ricordi traumatici intrusivi.

Terapia psicodinamica

Questa forma di terapia implica l’esplorazione delle esperienze passate per saperne di più sui problemi inconsci che potrebbero portare le persone a ripetere modelli di comportamento dannosi. Questo è un tipo di terapia basata sull’intuizione freudiana che aiuta le persone a creare legami diretti tra le proprie esperienze passate e il comportamento attuale. La terapia psicodinamica può aiutare le persone a comprendere meglio le proprie emozioni. Il trattamento della coazione a ripetere richiede un lavoro profondo sulle dinamiche inconsce che la sostengono. 

Terapia di gruppo focalizzata sul trauma

Se si è subito un trauma, può essere utile ricevere supporto da altre persone che hanno avuto esperienze simili. La terapia di gruppo può aiutare a elaborare le esperienze, ottenere supporto sociale e trovare uno spazio sicuro per parlare dei propri sentimenti ed esperienze. 

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Freud in America

Sigmund Freud e il viaggio in America (1909)

Sigmund Freud e il viaggio in America (1909)

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Sopra, seduti: Sigmund Freud, G. Stanley Hall, Carl Gustav Jung. In piedi, da sinistra, Abraham Brill, Ernest Jones, Sandor Ferenczi

Nel settembre del 1909, Sigmund Freud intraprese uno dei viaggi più significativi della sua carriera: la traversata dell’Atlantico per raggiungere gli Stati Uniti d’America. Invitato dalla Clark University di Worcester, nel Massachusetts, Freud tenne una serie di conferenze che segnarono la prima grande esposizione della psicoanalisi al pubblico accademico americano. Cerchiamo di saperne di più.

L’invito

L’invito arrivò nel 1908 da Granville Stanley Hall, presidente della Clark University (Massachussets) e pioniere della psicologia americana, che volle celebrare il ventesimo anniversario dell’istituzione con un ciclo di lezioni tenute da alcune delle menti più brillanti dell’epoca.

Reazione di Freud

Freud in un primo tempo ebbe molte indecisioni, ma alla fine, dopo qualche rinvio, accettò l’invito con entusiasmo, accompagnato dai colleghi Carl Gustav Jung e Sandor Ferenczi, due figure chiave nella psicoanalisi nascente.

Compagni di viaggio

Ferenczi fece quel viaggio su invito di Freud Jung, invece,  era stato invitato anche lui come conferenziere da Stanley Hall, perché lo psicologo americano era interessato al lavoro di Jung sulle libere associazioni. Sia Freud sia Jung furono ricompensati in denaro, oltre che col titolo onorifico di LL. DD. (dottori in utroque jure).

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Prima del viaggio

Freud svenne dopo un’intensa discussione con Jung sui temi dell’inconscio e dell’autorità paterna, segnando l’inizio della loro rottura definitiva.

Il viaggio in nave

Il viaggio in nave, a bordo del piroscafo George Washington, fu lungo ma stimolante: Freud e Jung trascorsero molto tempo a discutere delle teorie psicoanalitiche, ma anche di sogni e miti.

La lite fra Freud e Jung

Freud ebbe un sogno, che Jung interpretò come meglio poteva, ma aggiunse che si sarebbe potuto dire molto di più se solo avesse potuto conoscere qualche particolare in più sulla vita privata del Maestro. A queste parole, Freud lo guardò sorpreso, con uno sguardo carico di sospetto, e poi disse: “Non posso mettere a repentaglio la mia autorità”. Come ricorda Jung: “in quello stesso momento l’aveva persa del tutto. Quella frase si impresse come un marchio indelebile nella mia memoria” (C.G. Jung Ricordi, sogni, riflessioni).

Una lezione divulgativa su Freud e il suo libro "Totem e Tabù"

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Timori di Freud

In primis Freud temeva l’ accoglienza: “questi puritani – diceva – ci rimanderanno indietro appena scopriranno che al centro delle nostre teorie c’ è il sesso”, ma soprattutto temeva che il lungo viaggio avrebbe significato per lui una dolorosa perdita economica, dovendo rinunciare alla cura dei suoi pazienti: «L’ America dovrebbe farci guadagnare, non perdere dei soldi»

L’accoglienza

Giunti in America, Freud e i suoi colleghi furono accolti con grande interesse.

Turismo

Prima di recarsi a Worcester per le conferenze.  i tre psicoanalisti decisero di viaggiare un po’, per scoprire l’America. A New York i tre psicoanalisti alloggiarono presso l’Hotel Manhattan. Il primo giorno Freud lo riservò alla visita di sua sorella Anna, che aveva sposato il fratello di sua moglie Martha Eli Bernays e poi la coppia si era trasferita in America.

Dopo questa visita ai familiari, Freud fu pronto per iniziare a fare il turista con i suoi compagni di viaggio, guidati dal collega Brill. Abraham Brill aveva incontrato Freud in Europa, quando lavorava al Burghozli, l’ospedale psichiatrico nel quale prestava servizio anche Jung. Brill aveva aderito entusiasticamente alla psicoanalisi e aveva fatto del suo meglio per introdurre in America le teorie di Freud, ma non sempre con successo.

I tre viaggiatori vollero vedere come prima cosa il Ghetto ebraico, il Central Park, Chinatown. Nel pomeriggio si rilassarono a Coney Island, che Freud definì “un grande Prater” pensando ancora alla sua Vienna.

Il giorno dopo visitarono il Metropolitan Museum, dove Freud poté ammirare quello che più gli interessava: le esposizioni dedicate ai reperti di Cipro.

Il terzo giorno si unì al gruppo anche Ernest Jones, il discepolo britannico di Freud che ora viveva a Toronto, in Canada (e che poi divenne il principale biografo del fondatore della psicoanalisi).

Cenarono presso l’ Hammerstein’s Roof Garden e poi andarono al cinema. Quello fu il primo film della vita di Freud, ma neanche questo lo entusiasmò particolarmente: secondo le ricostruzioni  di Jones poteva essere o il Conte di Monte Cristo, con Hobart Bosworth, o forse un Western “pieno di inseguimenti”,  con Al Christie.

Il quarto giorno Freud cominciò a stancarsi. I suoi problemi prostatici e intestinali cominciavano a dargli fastidio. Inoltre, era infastidito sia dall’eccessiva pesantezza del cibo americano, sia dalla mancanza di bagni pubblici. Si mise a dieta per 24 ore.

Il gruppetto di psicoanalisti si diresse a questo punto verso il Massachusets, dove raggiunsero Worcester. Il Professor Stanley Hall accolse i suoi ospiti con calore e li ospitò nella sua casa di Woodland Avenue.

Le conferenze

Secondo Ernest Jones, Freud non mostrava il minimo entusiasmo per l’America, e non si era voluto neanche preparare le conferenze. Non lo aveva fatto a Vienna, non era riuscito a farlo sul piroscafo e si era ridotto a discuterne con Ferenczi la mattina stessa di ciascuna conferenza, passeggiando nel parco.

Durante le conferenze, Freud espose i principi fondamentali della psicoanalisi, illustrando concetti come l’inconscio, la rimozione e il sogno come via privilegiata per l’accesso ai contenuti nascosti della psiche.

Le conferenze ebbero un impatto straordinario. Freud fu accolto con entusiasmo dal pubblico americano e dalla comunità scientifica, che riconobbe la portata rivoluzionaria delle sue teorie. In seguito, egli stesso affermò che gli americani sembravano capaci di comprendere la psicoanalisi meglio dei loro colleghi europei. Tuttavia, rimase scettico nei confronti della società americana, che giudicava eccessivamente pragmatica e incline al successo materiale.

Aneddoti relativi al viaggio

Curiosamente, Freud raccontò in seguito un aneddoto significativo: durante il suo soggiorno, Jung e Ferenczi gli fecero notare che in America erano trattati con straordinaria ospitalità. Freud rispose con un’osservazione ironica: «Non sanno che stiamo portando loro la peste». Con questa frase, Freud alludeva al potenziale rivoluzionario della psicoanalisi, destinata a sconvolgere profondamente le certezze della cultura occidentale.

Relazione fra sesso e cibo

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Freud e l’antipatia per l’America

Freud non tornò mai più in America, mantenendo sempre una certa distanza critica rispetto al Nuovo Mondo. Uno dei motivi di disagio era la sua difficoltà a comprendere l’inglese parlato dagli americani e un altro era il fastidio per quelli che Jones chiamò eufemisticamente “i modi semplici e liberi del Nuovo Mondo“. Freud aveva, inoltre antipatia per il puritanesimo americano, oltre che per il funzionalismo di una società votata al successo commerciale.

La psicoanalisi dopo questo viaggio

Il New England era molto puritano, retrogrado e conservatore, ma si mostrò ricettivo alla teoria freudiana. La scuola di pensiero trascendentalista e unitariana, caratteristica di quello stato, non vedeva con sfavore l’ipnotismo e i poteri della suggestione. I tabù sessuali erano inoltre qui sentiti più rigidi che altrove, per cui alcuni intellettuali avevano cominciato, già prima di Freud, ad esplorare la relazione fra tabù sessuali e malattia mentale (altrettanto frequente in quelle zone).

Il viaggio in America segnò un punto di svolta per la psicoanalisi. Dopo le conferenze alla Clark University, il movimento psicoanalitico acquisì un prestigio internazionale e si diffuse rapidamente negli Stati Uniti, influenzando la psicologia, la psichiatria e persino la cultura popolare. Come disse lo stesso Freud, questo viaggio rappresentò per lui “la fine dell’isolamento”. Potremmo anche dire l’inizio della diffusione planetaria della psicoanalisi.

Non tutti gli intellettuali americani, tuttavia, si mostrarono così ben disposti verso la psicoanalisi. Lo psicologo Richard Peterson scrisse, ad esempio:

“Le teorie di Freud e Jung sono per la psicologia ciò che il cubismo è per l’arte: un’interessante novità che fa scalpore. Se la loro applicazione non fosse tanto dannosa quanto lontana dalla verità io non avrei nulla da ridire”

Un altro psicologo, Adolf Meyer, di origini svizzere, così aveva scritto a Jung soltanto un anno prima:

“Da questa parte dell’oceano il rifiuto viscerale di sfiorare il problema sessuale è quasi insormontabile e ci vorrà una buona dose di tatto e pazienza per conferire a tutta la questione una forma accettabile”.

Lo psicologo più illustre del tempo, William James, dopo aver conosciuto Freud scrisse:

“Confesso che mi fece personalmente l’impressione di un uomo ossessionato da idee fisse. Nel mio caso, non riesco a ricavare nulla dalle sue teorie sui sogni, e ovviamente il simbolismo è un metodo estremamente pericoloso”.

Dr. Giuliana Proietti

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Leggi anche: Freud Jung e Ferenczi: ricordi e sogni di una traversata indimenticabile (1909)

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