Giacomo Leopardi: il giovane favoloso era gay?

Giacomo Leopardi: il giovane favoloso era gay?


Ho studiato, come tutti, Giacomo Leopardi a scuola e poi, vivendo nelle Marche, ho avuto più volte la possibilità di visitare Recanati e i luoghi aperti al pubblico del palazzo dei conti Leopardi.

Percorrendo le numerose stanze della biblioteca e osservando gli innumerevoli libri, tutti catalogati per argomento, non ho potuto fare a meno di immaginare il giovane Giacomo intento nello studio “matto e disperatissimo” di quei volumi.

Del resto, non solo casa Leopardi: tutta Recanati parla ancora del suo figlio più illustre e non è difficile immaginarsi il personaggio percorrere quelle strade o osservare il paesaggio circostante.

Vedendo il bellissimo film di Mario Martone però, “il giovane favoloso“, da poco uscito nelle sale, mi è sembrato di scoprire un nuovo Leopardi: un uomo, oltre che un poeta, grazie anche all’ottima recitazione di Elio Germano, alle scene, ai costumi, alla fotografia, alla musica. Tutto emoziona e rivela anche aspetti non sempre facili da immaginare.

Ad esempio, osservando i classici ritratti di Giacomo Leopardi stampati nei testi o la stessa statua che si trova in piazza a Recanati, lo si immagina certamente come una persona esteticamente poco dotata, con testa grande e sproporzionata, su un corpo piccolo, rachitico e gobbo, ma non certo nelle condizioni terribili in cui Elio Germano lo rappresenta: completamente piegato in due, instabile e barcollante (condizione sicuramente più realistica, considerati i gravi esiti invalidanti della sua malattia cronica, incurabile e progressiva, che probabilmente nei ritratti d’epoca si è evitato di mettere in evidenza).

Nel film di Martone ci sono tuttavia molti altri spunti e riferimenti che fanno pensare che della vita del poeta non si conosca ancora proprio tutto: alcuni particolari o personaggi del film, appena accennati e lasciati volutamente ambigui, fanno sorgere qualche interrogativo (ad esempio, perché la nudità mostrata del giovane Ranieri dopo un bagno, mentre Leopardi lo guarda, perché la passeggiata del poeta con il ragazzo a piedi scalzi, perché l’inconsueta intimità e prossemica durante i viaggi ed in camera da letto fra i due amici… Martone ci vuole suggerire qualcosa che ancora di Leopardi non si sa?).

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Nel film, la figura di Antonio Ranieri viene presentata a Firenze, dopo un salto di ben dieci anni nella biografia del poeta. Non viene dunque narrato come i due amici si siano incontrati e come sia nata questa strana amicizia fra il giovane esule napoletano, attraente e rinomato tombeur de femmes e l’altrettanto giovane conte Leopardi, minato invece gravemente nella salute e privo di qualsiasi attrattiva estetica e capacità relazionale (seppure stimatissimo intellettuale e poeta).

Quale è stata l’alchimia che ha legato per tanti anni personaggi tanto distanti fra loro? Cosa avevano in comune Ranieri e Leopardi? Cosa li spingeva a giurarsi reciprocamente un grande affetto, la promessa di vivere per sempre insieme, senza lasciarsi mai? Il film non lo spiega e dunque uscendo dalla sala, con più dubbi che certezze, non rimane che cercare su Internet, per saperne di più.

L’ho fatto ovviamente anch’io, scoprendo che digitando su Google le parole chiave “relazione, Leopardi, Ranieri”, il motore di ricerca restituisce un link ad un testo fondamentale di cui personalmente non ero a conoscenza (ma che credo non molti conoscano e abbiano letto, data la sua scarsa diffusione, probabilmente dovuta al mancato gradimento che ebbe questo libello fra i critici e gli appassionati lettori di poesia leopardiana).

Si tratta di “Sette anni di sodalizio con Giacomo Leopardi”: un libretto che Antonio Ranieri scrisse a 74 anni, nel 1880, otto anni prima di morire. In esso, l’autore racconta i sette anni di convivenza da lui trascorsi con Leopardi tra Firenze, Pisa, Roma e Napoli. Il libro non piacque ai cultori del poeta di Recanati.

Leggiamo ad esempio nell’enciclopedia Treccani che i meriti che Ranieri ebbe nei confronti di Leopardi sono stati “offuscati” da questo libro in cui Ranieri “volle apparire piuttosto il mecenate che, come invece era in effetti, il compagno di vita di Leopardi: né mancano recriminazioni ingiuste e meschine”.

Sin dalle prime pagine Ranieri chiarisce di aver scritto questo libro per il bisogno che sentiva di evitare “notabili inesattezze” e raccontare alcune verità sulla sua amicizia con Leopardi (ma “non tutte”, spiegando che ben altre cose di sua conoscenza non verranno mai rivelate, al di là delle insinuazioni che si possano fare al riguardo).

Nel libro viene raccontato l’inizio del sodalizio: siamo a Firenze e un Leopardi depresso e piangente confida all’amico, alla luce di una fioca lampada, che il suo timore più grande è quello di dover tornare nell’odiata Recanati, il che per lui è molto simile alla morte.

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Colpito dalle parole dell’amico, Ranieri risponde: “Leopardi, tu non andrai a Recanati!” . Quel che può bastare per mantenere una persona, pensò l’esule napoletano, basterà per mantenere entrambi: sulla base di queste riflessioni promise all’amico Giacomo che non si sarebbe mai più allontanato da lui, decisione mai rinnegata ma che fu causa per lui e in seguito anche per la sorella Paolina, di “immedicabili e incomprensibili dolori”.

Il sodalizio con Leopardi portò il Ranieri a vivere, come lui dice, una “vita nuova”, fatta di nottate all’amico sofferente, consultazioni con i medici, spostamenti di casa in casa e di città in città, allo scopo di creare le migliori condizioni per l’amico malato, in modo che potesse ritrovare un minimo di salute e benessere.

Malgrado tutti questi sforzi, dice il Ranieri, il malato, “come era sua natura, cominciava a presumere un po’ troppo del fatto suo”. In conseguenza di ciò, si legge ancora nel libro, avvenne che;

“egli si spingesse a vani e inavvertiti soliloquii d’amore che, non senza mio grande rammarico, oltrepassavano di gran lunga i confini imposti alla dignità di un tanto uomo. Per congiunture, ch’è assai bello il tacere, io me ne trovavo spesso, e con grande mia angoscia, tra i più scabrosi anfratti”.

In un altro passaggio, Ranieri racconta un episodio, che evidentemente riteneva significativo: un giorno aveva chiesto ad un parrucchiere che gestiva un salone in Via Condotti di recarsi presso il suo domicilio, allo scopo di tagliargli i capelli.

In salotto, mentre svolgeva il suo lavoro, il parrucchiere si fece ciarliero e cominciò a porre al suo cliente molte domande maliziose sulla relazione che il cliente aveva con Giacomo Leopardi. Precisamente domandò: Com’è ch’ella ha con sé il figliuolo del conte Monaldo“?

Ranieri rimase stupito della domanda tanto diretta quanto inopportuna e, dopo un attimo di imbarazzo, risposte che erano semplicemente amici e che avevano preso un appartamento (“un quartiere”) insieme: nulla più.

Per giustificare la sua curiosità, il parrucchiere raccontò, ma con un tono di voce troppo alto perché Giacomo non potesse sentire, che conosceva assai bene le cose di Recanati, gli umori del padre e del figliolo e “l’odio implacabile di costui al clima e agli abitatori di quel paese”… Aggiungendo anche altri particolari che, dice Ranieri : “o io conosceva assai meglio di lui o non mi importava né punto, né poco di conoscere”.

Dopo la “tosatura”, come la definisce Antonio Ranieri, una volta rimasti soli, Giacomo fece capolino nella stanza e ricordò all’amico ciò che aveva scritto ne Le Ricordanze: lui diventava un forsennato al solo pensiero di essere sulle bocche di quelle persone di Recanati…


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Ma perché a Recanati si parlava tanto di lui? Certo, era una persona in vista, il figlio dei conti Leopardi, ma quali erano i particolari maliziosi che nel natio borgo selvaggio le persone si scambiavano su Giacomo, generando in lui una tale insofferenza?

Leopardi, dopo l’episodio del parrucchiere e i pettegolezzi dei recanatesi che gli erano stati riferiti, disse all’amico e convivente:

inventai, invento ed inventerò tutte le favole, tutti i romanzi di questa terra, per salvarmi da questa orribile sciagura!”

Ranieri continua il racconto del sodalizio specificando che lui non avrebbe mai consentito che Giacomo si fosse preso la libertà di scrivere di lui le cose che aveva scritto nelle sue lettere (e che altri gli avevano riferito, perché lui a leggerle direttamente ci aveva provato tre volte, e per tre volte era stato “preso da febbre”, per cui aveva giurato a se stesso – e fatto giurare alla sorella Paolina – che mai più i loro occhi “si farebbero violare”, né i loro cuori “cincischiare” da “letture si fatte”).

Ed eccole, probabilmente, le lettere di Leopardi cui Ranieri faceva riferimento:

Ranieri mio, tu non mi abbandonerai però mai, né ti raffredderai nell’amarmi. Io non voglio che tu ti sacrifichi per me, anzi desidero ardentemente che tu provvegga prima d’ogni cosa al tuo ben essere: ma qualunque partito tu pigli, tu disporrai le cose in modo, che noi viviamo l’uno per l’altro, o almeno io per te; sola ed ultima mia speranza. Addio, anima mia. Ti stringo al mio cuore, che in ogni evento possibile e non possibile, sarà eternamente tuo (11-12-1932)

Povero Ranieri mio! Se gli uomini ti deridono per mia cagione, mi consola almeno che certamente deridono per tua cagione anche me, che sempre a tuo riguardo mi sono mostrato e mostrerò più che bambino. Il mondo ride sempre di quelle cose che, se non ridesse, sarebbe costretto ad ammirare; e biasima sempre, come la volpe, quelle che invidia. Oh Ranieri mio! Quando ti ricupererò? Finché non avrò ottenuto questo immenso bene, starò tremando che la cosa non possa esser vera. Addio, anima mia, con tutte le forze del mio spirito. Addio infinite volte. Non ti stancare di amarmi” (05-01-1833)

Ranieri mio, non hai bisogno ch’io ti dica che dovunque e in qualunque modo tu vorrai, io sarò teco [con te]. Considera bene e freddamente le tue proprie convenienze (…) e poi risolviti. La mia risoluzione è presa già da gran tempo: quella di non dividermi mai più da te. Addio” (05-02-1933)

Ranieri mio. Ti troverà questa <lettera> ancora a Napoli? Ti avviso ch’io non posso più vivere senza te, che mi ha preso un’impazienza morbosa di rivederti, e che mi par certo che se tu tardi anche un poco, io morrò di malinconia prima di averti avuto. Addio addio” (02-04-1833)

LibriAutori:
Dr. Giuliana Proietti - Dr. Walter La Gatta

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Nel 1833, quando la coppia di amici arrivò a Napoli, prese una stanza in affitto, suscitando scandalo. Come racconta Ranieri:

io, lasciatone il mio antico letto, dormiva in una camera non mia (cosa che nelle consuetudini del paese, massime in quei tempi, toccava quasi lo scandalo), per dormire accanto a lui”.

Come si vede anche nel film di Martone, la padrona di casa aveva dei sospetti, sia sullo stato di salute di Leopardi, sia sulla relazione fra i due, dal momento che non era usuale che due uomini dormissero insieme, per cui desiderava essere “sciolta dall’affitto”.

Leopardi, racconta ancora Ranieri, era “gelosissimo de’ suoi segreti”, e sia lui, sia sua sorella Paolina, che in un secondo tempo andò a vivere con loro, si astennero sempre dal chiedere di più.

C’erano ad esempio delle visite che riceveva Leopardi e su cui il suo coinquilino dice e non dice: “quando qualche innominato sopravveniva” lui si limitava ad uscire dalla stanza.

Ma perché? Chi erano questi “innominati” che Giacomo frequentava e perché Ranieri per discrezione lasciava la stanza? Nel film di Martone non si cita questo particolare ma si mostra un’altra scena, abbastanza ambigua, in cui Leopardi passeggia nei prati insieme ad un bel ragazzo dai piedi scalzi, sicuramente un proletario. Un “ragazzo di vita” di pasoliniana memoria? Se non questo, che altro?

In conclusione, nel film di Martone non lo si dice, ma qualche piccolo dubbio sull’orientamento sessuale del poeta di Recanati sicuramente lo si instilla. In alcuni libri su Leopardi così come in alcuni siti disponibili in rete l’ipotesi dell’omosessualità di Leopardi è stata già affrontata, con conclusioni spesso discordanti.


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Personalmente, alla luce di quanto detto, non mi sentirei di escludere che Leopardi fosse veramente gay.

Del resto, a pensarci bene, oggi come allora ed allora ancor più di oggi, quale donna, magari di famiglia nobile e decaduta, o anche solamente una popolana, avrebbe rifiutato di sposare un ricco conte, non bello e non sano, ma erudito e, per altri versi, così “favoloso” ?

Perché invece Leopardi si è innamorato solo di donne “impossibili”, (come nel caso di Fanny Targioni Tozzetti, che oltre tutto aveva una relazione proprio con Ranieri e che non poteva corrisponderlo?) Perché non risulta che la famiglia abbia mai tentato di presentargli una possibile sposa e combinargli un eventuale matrimonio, come allora si usava, per lenire i dolori causatigli dalla mancanza di amore? Forse la famiglia aveva capito benissimo quali fossero i veri problemi di Giacomo, al di là dei problemi di salute.

Un Leopardi gay potrebbe spiegare molto di più le sue angosce, il suo pessimismo, gli strali contro la natura matrigna, che ci impone il desiderio, ma che poi ci impedisce di soddisfarlo (O natura, o natura, perché non rendi poi quel che prometti allor? perché di tanto inganni i figli tuoi?).

Potrebbe forse spiegare anche la predilezione per gli antichi autori greci, nei quali testi probabilmente l’adolescente Leopardi, con “studio matto e disperatissimo” cercava risposte su pulsioni e desideri che non poteva altrimenti nominare o spiegare al suo entourage e che invece ritrovava copiosi in quelle antiche scritture.

Spero che prima o poi qualche studioso si possa dedicare seriamente a questa ricerca sulla vita di Leopardi e che ci possa restituire anche questa verità. Forse anche per Leopardi potrebbe essere giunto il momento di non essere più una sorta di santino laico e di fare “coming out”.

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Pubblicato anche su Huffington Post

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