Il potere: l’effetto che fa (sugli americani)

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Lo storico Henry Adams ha parlato del potere come di “una sorta di tumore che finisce per uccidere l’empatia della vittima”.

Anche Dacher Keltner, professore di psicologia presso la UC Berkeley, dopo anni di esperimenti di laboratorio e sul campo durati due decenni, ha scoperto che le persone di potere si comportano come se avessero subito una lesione cerebrale traumatica, diventando più impulsive, meno consapevoli del rischio e, soprattutto, meno abili nel vedere le cose dal punto di vista di altre persone .

Anche Sukhvinder Obhi, neuroscienziato della McMaster University, in Ontario, ha recentemente descritto qualcosa di simile. A differenza di Keltner, che studia i comportamenti, Obhi studia il cervello.

Nel mettere le teste dei potenti e dei non potenti sotto una macchina di stimolazione magnetica transcranica, il ricercatore ha scoperto che il potere compromette un processo neurale specifico, il “mirroring“, che potremmo definire come la pietra angolare dell’empatia.

Il Mirroring è il comportamento attraverso il quale una persona imita inconsciamente i gesti, i modi di parlare, gli atteggiamenti degli altri. Questo fenomeno si verifica spesso nelle situazioni sociali e aiuta a stabilire buone relazioni con gli altri.

Keltner, osservando la perdita di emptatia che hanno i potenti ha definito questo il “paradosso del potere”: in pratica, una volta raggiunto il potere, si perdono alcune delle capacità mentali che si avevano prima.

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In uno studio del 2006 fu chiesto ai partecipanti di disegnarsi la lettera E sulla fronte in nodo che gli altri potessero leggerla correttamente, un compito che richiede di potersi osservare dal punto di vista dell’altro.

Coloro che si sentivano potenti avevano probabilità tre volte maggiori di riprodurre la E nel modo giusto per se stessi, piuttosto che per gli altri (il che richiama alla mente George W. Bush – vedi foto in alto -, quando mostrò la bandiera americana all’inverso, nelle Olimpiadi del 2008).

Altri esperimenti hanno dimostrato che le persone potenti hanno risultati pessimi nell’identificare ciò che una persona può sentire, ad esempio guardando una foto, o cercando di indovinare come un collega potrebbe interpretare un’osservazione.

Il fatto che i meno potenti tendano a imitare le espressioni e il linguaggio del corpo dei loro superiori può aggravare questo problema: i subordinati, infatti, così facendo, forniscono ai potenti pochi spunti affidabili cui porre attenzione.

Ciò che però più conta, secondo Keltner, è il fatto che i potenti smettono presto di imitare gli altri (ad esempio ridere quando gli altri ridono), il che li porta a un “deficit di empatia”.

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Obhi e il suo team hanno cercato di osservare il fenomeno del mirroring in alcuni soggetti, mentre guardavano un video di qualcuno che stringeva una palla di gomma. Attraverso il mirroring, infatti, la parte del cervello che l’osservatore avrebbe usato, al posto di chi compie l’azione, si dovrebbe attivare.

Risultato: per i partecipanti non potenti, il mirroring ha funzionato bene: i percorsi neurali che avrebbero usato per spremere la palla si sono attivati come previsto, mentre i potenti sono sembrati meno reattivi, quasi anestetizzati.

Va poi specificato che nessuno dei partecipanti possedeva, in realtà, un potere permanente. Si trattava di studenti universitari che erano stati “preparati” a sentirsi potenti in laboratorio, attraverso un incarico “speciale”, che li aveva fatti sentire diversi dagli altri.

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Ovviamente in questi soggetti i cambiamenti cerebrali sono stati solo temporanei, ma si può dire altrettanto in persone che gestiscono il potere da tanti anni? 

Obhi ha condotto uno studio successivo che potrebbe aiutare a rispondere a questa domanda.

Questa volta, ai soggetti è stato detto cosa era il mirroring e gli è stato chiesto di fare uno sforzo consapevole per aumentare o diminuire la loro risposta. I risultati non hanno mostrato differenze dai risultati del primo studio: lo sforzo consapevole non ha aiutato. Possiamo dire che il potere cambia il modo in cui lavora il cervello e azzera o attenua alcune capacità.

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Il potere, dice questa ricerca, prepara il cervello a schermare le informazioni considerate “periferiche”. Nella maggior parte dei casi, ciò fornisce un utile aumento dell’efficienza, ma impedisce di comprendere i sentimenti altrui.

Leggi anche:  Cosa dice agli altri il tuo modo di camminare

Come sostiene la psicologa Susan Fiske, nell’impossibilità di distinguere ciò che provano le persone, si finisce per affidarsi agli stereotipi e sulla propria visione personale della realtà.

Il potere dunque non è tanto una posizione gerarchica, ma uno stato mentale. Forse un buon antidoto potrebbe essere ricordare spesso le sensazioni di impotenza provate nel passato.

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Un incredibile studio pubblicato nel Journal of Finance ha scoperto che gli amministratori delegati che da bambini avevano vissuto un evento traumatico che aveva prodotto lutti e disastri naturali erano molto meno alla ricerca di rischi rispetto agli amministratori delegati che non avevano avuto questa esperienza.

(L’unico problema, afferma Raghavendra Rau, co-autore dello studio e professore dell’Università di Cambridge, è che i CEO che avevano vissuto disastri senza incidenti mortali erano più degli altri alla ricerca di rischi.)

L’amministratore delegato e presidente di PepsiCo, Indra Nooyi, a volte racconta la storia del giorno in cui ricevette la notizia della sua nomina nel consiglio di amministrazione della società, nel 2001.

Arrivò a casa molto orgogliosa di sé, dicendo che aveva una “grande notizia” da dire: sua madre le disse che, prima di dire la notizia, doveva andare a comprare del latte. Fumante di rabbia, Nooyi uscì e prese il latte. “Lascia quella dannata corona nel garage” fu il consiglio di sua madre quando tornò.

Il fatto che la Nooyi racconti ancora questa storia, nonostante il successo, le permette sicuramente di rimanere ancorata alla realtà.

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Fonte

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