Fumo e esperienze infantili sfavorevoli

Fumo e esperienze infantili sfavorevoli

Fumo e esperienze infantili sfavorevoli

IPNOSI CLINICA: una intervista al Dr. Walter La Gatta

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Le esperienze infantili sfavorevoli sono eventi traumatici o stressanti vissuti durante l’infanzia, che possono avere un impatto profondo e duraturo sullo sviluppo psicologico, emotivo e fisico. Queste esperienze includono diverse situazioni, come maltrattamenti, abusi, trascuratezza, perdita di un genitore, violenza domestica, povertà estrema e contesti familiari disfunzionali.

Le ricerche dimostrano che tali avversità possono influenzare significativamente il benessere psicologico e sociale dell’individuo, incidendo sulla capacità di formare relazioni sicure, sulla regolazione delle emozioni e persino sulla salute fisica.

Il concetto di *Esperienze Infantili Sfavorevoli* (Adverse Childhood Experiences, ACEs) ha acquisito particolare rilevanza grazie agli studi psicologici che mettono in luce come il cervello e il corpo reagiscano a lungo termine allo stress cronico subito durante i primi anni di vita. Gli effetti di queste esperienze possono includere un rischio aumentato di sviluppare problemi di salute mentale come ansia, depressione e disturbi post-traumatici, così come un maggiore rischio di malattie fisiche e comportamenti a rischio in età adulta, come il fumo di sigarette.

Precedenti ricerche (Substance Abuse Treatment, Prevention, and Policy ) hanno dimostrato che questi eventi sfavorevoli, subiti nell’infanzia, possono essere legati alla abitudine di fumare in soggetti adulti, soprattutto donne.

Un studio del 2020  condotto da Susan Yoon ha confermato che essere cresciuti in ambienti ad alto rischio aumenta notevolmente la probabilità di una forte abitudine al fumo di sigarette.

Lo studio ha esaminato i dati sui bambini ad alto rischio di abuso e abbandono, che erano stati indirizzati a un servizio di protezione dell’infanzia o vivevano in condizioni associate alla probabilità di maltrattamento, o entrambi.

“Il fumo di sigaretta negli adolescenti è un problema sociale davvero serio e una preoccupazione per la salute pubblica. Lo sviluppo del cervello non è completo fino alla tarda adolescenza o durante la giovane età adulta e il fumo di sigaretta è associato a danni allo sviluppo cerebrale”, ha detto la Yoon. “Sappiamo anche che coloro che iniziano a fumare sigarette durante l’adolescenza hanno maggiori probabilità di continuare a fumare fino all’età adulta”.

Yoon e colleghi hanno utilizzato i dati dei Longitudinal Studies of Child Abuse and Neglect , un gruppo di studi condotti in diverse regioni degli Stati Uniti rivolti a bambini identificati come maltrattati o a rischio di maltrattamento. Questo studio ha utilizzato dati su 903 adolescenti valutati all’età di 12, 16 e 18 anni.

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Un’analisi statistica ha mostrato che gli adolescenti che hanno subito abusi fisici nella prima infanzia hanno probabilità  due o tre volte maggiori di diventare consumatori di sigarette. L’abuso fisico durante l’adolescenza ha un effetto ancora più forte: questo tipo di maltrattamento sembra aumentare la probabilità di fumare da 3 a 7 volte in più.

Deve esservi dunque un meccanismo sottostante che collega le esperienze sfavorevoli infantili  al fumo, per cui le campagne anti-fumo dovrebbero tenere contro della potenziale relazione tra traumi infantili e conseguente disagio psicologico per comprendere il vero ruolo del fumo di sigaretta, nell’adolescente e nell’adulto.

Dr. Walter La Gatta



Fonte principale:
Osu-Edu

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I Traumi infantili

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Dr. Walter La Gatta

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I traumi infantili sono eventi o esperienze che compromettono lo sviluppo emotivo, cognitivo e fisico del bambino. Esaminiamo in questo articolo le principali tipologie di traumi infantili, la loro diffusione, le conseguenze a lungo termine sul benessere psicologico e fisico e le strategie terapeutiche per farvi fronte.

Cosa sono i traumi infantili?

I traumi infantili sono eventi stressanti o dolorosi vissuti da un bambino, che superano la sua capacità di coping e di elaborazione.

Quali sono i traumi fisici principali?

Possiamo distinguere in:

Trauma acuto – un singolo evento traumatico, come un incidente grave, una violenza o un disastro naturale. Questo tipo di trauma può causare disturbi d’ansia, come il disturbo post-traumatico da stress e alterare il senso di sicurezza del bambino.

Trauma cronico – esperienze ripetute e prolungate, come abusi fisici o psicologici, trascuratezza o esposizione continua a violenza domestica. I traumi cronici sono particolarmente dannosi perché possono interferire con lo sviluppo del sistema nervoso e la regolazione emotiva.

Trauma complesso – si riferisce all’esposizione a traumi che coinvolgono relazioni di attaccamento, come abusi e trascuratezza da parte delle principali figure di riferimento. Questo porta a sviluppare relazioni non sicure e a costruire un senso di sé non stabile.


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Quanti bambini subiscono traumi ?

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), circa il 25% dei bambini subisce qualche forma di abuso o trascuratezza prima dei 18 anni.

I traumi infantili hanno conseguenze anche sulla vita adulta?

Si. La ricerca ha dimostrato che l’esperienza di un trauma durante l’infanzia può avere conseguenze significative a breve e lungo termine sulla salute mentale e fisica.

Un trauma può portare anche delle alterazioni cerebrali?

Si. I traumi vissuti durante l’infanzia hanno un impatto profondo sullo sviluppo del cervello e sul funzionamento emotivo. Le ricerche neuroscientifiche hanno dimostrato che il cervello di un bambino esposto a traumi subisce alterazioni nel sistema limbico (coinvolto nella regolazione delle emozioni), nell’amigdala (coinvolta nella risposta alla paura) e nell’ippocampo (importante per la memoria e l’apprendimento).

Nel breve termine quali sono i sintomi?

I bambini traumatizzati possono manifestare una serie di sintomi, tra cui:
– Ansia e paure ricorrenti
– Disturbi del sonno o incubi
– Irritabilità e scoppi d’ira
– Problemi di attenzione e iperattività
– Isolamento sociale
– Problemi di fiducia e attaccamento con gli adulti di riferimento

Una intervista sui rapporti familiari

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Nel lungo termine quali disturbi possono dare i traumi infantili?

Se non trattati adeguatamente, i traumi infantili possono portare a disturbi psicologici e fisici in età adulta, come ad esempio:
– Disturbo post-traumatico da stress  
– Disturbi dell’umore, come depressione e ansia
– Disturbi da uso di sostanze
– Comportamenti autolesionistici
– Problemi relazionali, come difficoltà a instaurare relazioni di fiducia
– Malattie fisiche croniche, come malattie cardiovascolari e disordini del sistema immunitario, spesso legati all’iperattivazione del sistema di risposta allo stress.

A quali altre malattie possono andare incontro i bambini traumatizzati?

Ad esempio, al cancro al polmone. In una ricerca, prendendo in considerazione la violenza domestica, la separazione dei genitori, la crescita in una famiglia in cui alcune persone sono malate di mente, sono tossicodipendenti, o detenute, si è visto che queste esperienze infantili avverse erano legate a un aumentato rischio di cancro al polmone.

Questo rischio aumenta sensibilmente perché aumentano i comportamenti legati al consumo di sigarette (Brown e Anda, Centers for Disease Control and Prevention di Atlanta, 2010).

Ridurre l’incidenza di queste esperienze infantili avverse dovrebbe pertanto essere considerato fondamentale nei programmi di prevenzione primaria,  date le conseguenze gravi che comportano, nel breve e nel lungo periodo.

Dott. Walter La Gatta

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Il gioco d'azzardo, tra business e patologia

Il gioco d’azzardo, tra business e patologia

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La tragica sparatoria avvenuta davanti a Palazzo Chigi, mentre il governo Letta stava giurando, ad opera di un disoccupato con problemi di dipendenza da gioco d’azzardo, Luigi Preiti, ha messo in luce, nel modo più sconvolgente, che l’incontro fra disagio sociale e sogni frustrati di facili guadagni può generare dei mostri.

Il problema si chiama “gioco d’azzardo patologico” una dipendenza che in verità non ha più niente a che vedere con l’attività ricreativa del gioco. (La stessa cosa si potrebbe comunque dire anche del nuovo termine “ludopatia” che si sta diffondendo negli ultimi tempi: chi cade nella dipendenza da gioco d’azzardo infatti non è tanto malato per il gioco in sé, quanto per gli azzardi cui si espone durante il gioco).

In Italia, nonostante la grave crisi economica, il gioco pubblico d’azzardo ha conosciuto negli ultimi anni una crescita esponenziale. Dal 1990 il ricavato è infatti aumentato dell’810%, tanto da rappresentare un valore pari al 5% del PIL (dati 2011). Questo incremento è stato sicuramente favorito dalle nuove tecnologie, che hanno portato il gioco d’azzardo sui computer e gli smartphone, ma è anche dovuto a normative che hanno di fatto liberalizzato in Italia il gioco d’azzardo, cui si è cercato ultimamente di mettere un freno con il recente decreto Balduzzi, che però al momento si rivela ancora del tutto inefficace. Si pensi ai tanti spot presenti in TV sui giochi d’azzardo, alla proliferazione delle slot machines (che una volta si trovavano solo nei casinò, mentre oggi le ha anche il tabaccaio sotto casa) o agli invitanti pop-up che compaiono su Internet ogni volta che si digita una parola legata al gioco.

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La cronaca recente ci ha raccontato storie assurde, legate al gioco d’azzardo: dall’omicidio della novantenne Giuliana Boccenti, soffocata con un cuscino nel suo appartamento dalla figlia adottiva, piena di debiti a causa del gioco ai videopoker, oppure il caso del disoccupato, che assillava la figlia operaia con continue richieste di denaro e minacce, arrivando persino a forare i pneumatici della sua utilitaria. Per non parlare del caso dell’ex capogruppo IdV nel Lazio, Vincenzo Maruccio, il “bombardiere” dei videopoker, che avrebbe bruciato dai 100 ai 120mila euro nelle slot machines di una sala giochi gestita dal tesoriere regionale del suo stesso partito. Un fenomeno trasversale dunque, che riguarda persone di entrambi i sessi, giovani e meno giovani, operai, studenti, laureati e professionisti, senza escludere neanche i rappresentanti delle forze dell’ordine.

Dal punto di vista clinico il gioco d’azzardo patologico (GAP) viene considerato un disturbo mentale che interessa il soggetto che non riesce a smettere di dedicarsi al “gioco”, nonostante questa attività gli procuri evidenti e persistenti disagi, in ambito familiare, sociale e lavorativo. La patologia viene classificata fra i disturbi del controllo degli impulsi, sia nel DSM (Manuale diagnostico e statistico degli psichiatri), sia nell’ICD (strumento di classificazione nosologica stilato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità). Il disturbo presenta tuttavia forti analogie con le tossicodipendenze, tanto che si è detto che il gioco d’azzardo è una “dipendenza senza sostanze” per alcune caratteristiche simili alle altre dipendenze, come l’eccessivo coinvolgimento nell’attività, la necessità di giocare somme sempre maggiori di denaro per raggiungere l’eccitazione desiderata, l’incapacità di interrompere l’abitudine. Inoltre, come nelle tossicodipendenze, i vari tentativi di smettere, privi di successo, determinano nel soggetto irrequietezza e irritabilità.


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Il giocatore d’azzardo infatti è soprattutto un impulsivo, una persona che non riesce ad esercitare una mediazione riflessiva nei confronti dello stimolo fisico o psichico che lo induce a compiere scelte rischiose, aumentando in progressione la frequenza delle giocate, il tempo trascorso nelle sale da gioco, la somma spesa nel tentativo di recuperare le perdite. Il giocatore patologico investe in genere più delle proprie possibilità economiche e tende a trascurare i normali impegni della vita: sembra che questo accada a causa di un eccesso di ottimismo, presente in questi soggetti, come ha dimostrato un recente studio promosso dal CNRS e pubblicato su Psychological Medicine. L’indagine ha dimostrato che i giocatori d’azzardo compulsivi posseggono un’alterata capacità di valutare le probabilità di vincere o perdere: il loro “pensiero positivo” li induce a puntare con estrema fiducia forti somme di denaro su scommesse improbabili, mettendo a serio rischio le loro finanze. Precedenti studi avevano invece messo in luce come il cervello di un giocatore compulsivo si modifichi nel tempo in modo simile a quello dei dipendenti da sostanze. Del resto va anche osservato che si guarisce spesso dal gioco o dalle altre dipendenze con trattamenti simili, di tipo cognitivo comportamentale, spesso proposti in terapie di gruppo o anche in gruppi di auto-mutuo aiuto, come nel caso degli Alcolisti Anonimi.

Il comportamento tipico dei giocatori d’azzardo presenta inoltre una correlazione fra impulsività e personalità “novelty seeking“, cioè caratterizzata da un forte bisogno di attività esplorativa, tendenza a prendere decisioni non sufficientemente motivate, stravaganze varie e comportamenti borderline. Ma chi sono i soggetti più a rischio? Secondo uno studio della SUPSI (La Scuola universitaria professionale della Svizzera italiana) condotto dai ricercatori Emiliano Soldini e Angela Lisi, il rischio di diventare dipendenti da gioco d’azzardo aumenta negli uomini single di età compresa tra i 18 e i 30 anni. Inoltre, il profilo delineato dall’indagine correla la dipendenza da gioco ad altre dipendenze, quali il fumo e il consumo regolare di alcol. Spesso nei giocatori d’azzardo patologici sono inoltre presenti episodi depressivi ricorrenti.

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Il rapporto Azzardopoli, dell’Associazione Libera prende in esame la diffusione del gioco d’azzardo, stimando in 800 mila le persone affette da questa patologia e quasi due milioni di giocatori a rischio. L’Italia è al primo posto in Europa per quantità di giocate ed è terza nel mondo (!) con ‘giocatori patologici’ che trascorrono più di tre ore alla settimana in queste attività, per una spesa media mensile che parte dai 600 euro. Il settore del gioco d’azzardo è ormai la terza impresa del Paese con i suoi 76,1 miliardi di euro di fatturato legale, cui vanno aggiunti, con una stima sicuramente approssimata per difetto, i 10 miliardi di quello illegale.

Nel campo della prevenzione, il progetto Fate il Nostro gioco ha l’obiettivo di svelare le regole, i piccoli segreti e le grandi verità che stanno dietro all’immenso fenomeno del gioco d’azzardo in Italia, usando la matematica come “antidoto logico”, per creare consapevolezza intorno al gioco e svelare i suoi lati nascosti. Paolo Canova e Diego Rizzuto, un matematico e un fisico torinesi vanno dunque nelle scuole per mostrare, attraverso calcoli statistici, come ogni gioco sia pensato per favorire il banco, regola alla quale non sfuggono le lotterie, il Superenalotto e tutti gli altri giochi che promettono vincite milionarie. (E’ molto più probabile, dicono Canova e Rizzuto, che la terra venga distrutta da un asteroide nel 2036 piuttosto che una persona possa azzeccare una sestina al Superenalotto).

Lo Stato invece appare piuttosto disinteressato alle attività di prevenzione ed anzi, sembra voglia andare avanti nella creazione di ulteriori strumenti che favoriscano la diffusione del gioco d’azzardo. Alcuni mesi fa una campagna di stampa ha preso posizione contro la decisione di aprire mille sale per il poker dal vivo, disposta attraverso una norma, abilmente occultata all’interno di un pacchetto di provvedimenti economici.


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Se lo Stato latita, non altrettanto si può dire delle amministrazioni locali, che invece appaiono piuttosto attive, anche perché più partecipi del disagio delle famiglie colpite dal problema. Il manifesto di Terre di Mezzo e Legautonomia, al quale aderiscono i sindaci di 160 città italiane si pone l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica e combattere il fenomeno, ma iniziative del genere se ne contano a decine: Cantù, in provincia di Como, vuole chiudere la maggior parte delle sale gioco, e far sparire le slot machines dai bar del centro, a Pavia è nata la prima mappa italiana dei bar «liberati» dai videopoker (online c’è l’elenco di tutti i locali della città nei quali i gestori si sono rifiutati di installare macchinette preferendo, invece, offrire passatempi alternativi). Le proposte dell’amministrazione civica di Parma sono invece quelle di armonizzazione gli orari delle sale giochi con quelle di altri esercizi pubblici, informare e sensibilizzare sui rischi delle ludopatie, aderendo anche alla campagna nazionale “Mettiamoci in gioco”.

In Trentino, Walter Viola, consigliere provinciale trentino del gruppo misto ha presentato 14 articoli volti a favorire l’accesso consapevole e responsabile al gioco lecito e contrastare le dipendenze patologiche da gioco’. Il testo prevede aiuto psicologico per chi ha una dipendenza da gioco, ma anche sanzioni. Anche il neo governatore della Lombardia, Roberto Maroni, ha annunciato la possibilità di studiare forme di limitazione alla diffusione delle slot machine, attraverso uno Sportello di ascolto e assistenza in ogni Zona, percorsi di formazione e prevenzione, forme di riconoscimento pubblico nei confronti di esercizi commerciali che non ospitano slot machines.

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In Francia l’Arjel, l’autorità che regola il gioco d’azzardo online, ha recentemente pubblicato una lista di 33 raccomandazioni per aiutare il lavoro di quanti lottano contro la febbre da videopoker. Nella lista compare anche la limitazione dei contenuti pubblicitari relativi ai videopoker online su tv, radio e siti web, il divieto da parte dei siti di giochi online di inviare mail a coloro che si sono volontariamente cancellati dal servizio e il dovere di indicare il tempo massimo che si desidera passare ai tavoli da gioco virtuali. In Italia, malgrado il citato decreto Balduzzi, si stenta a prendere decisioni contro il fenomeno del gioco d’azzardo, in quanto, come ricorda Italo Marcotti, vicepresidente di Sistema gioco Italia in Confindustria, intorno al mondo del gioco d’azzardo gravitano ben 120 mila persone, «10 volte la Fiat».

Contro i regolamenti comunali o regionali che tentano di limitare il gioco d’azzardo insorgono infatti i tabaccai: “Siamo contro la demonizzazione del gioco pubblico” – dice la Federazione Italiana Tabaccai, per bocca del suo presidente, Giovanni Risso: “Troppe volte ci si dimentica del nostro lavoro nella lotta alla criminalità”. I Tabaccai si sentono insomma quasi dei tutori dell’ordine pubblico, visto che “presidiano il territorio e combattono la criminalità”. Afferma infatti Risso, testualmente: “Lo Stato deve difendere la rete del gioco da regolamenti comunali o regionali che mettono a rischio l’intero settore. Se la rete legale crolla, la criminalità si riprenderà quanto abbiamo faticosamente conquistato in questi anni. Deve essere riconosciuta l’importanza della nostra rete e dobbiamo trarre benefici dalla nostra attività di presidio dello Stato sul territorio”. Viene da pensare che forse i tabaccai stiano cercando anzitutto di tutelare i propri interessi, piuttosto che il bene comune, ma del resto, come si dice, “ci sta”: cosa avranno detto i gestori delle case chiuse, ai tempi della riforma Merlin? Resta il fatto che il territorio presidiato oggi c’entra ben poco, visto che il gioco d’azzardo si è ormai trasferito in gran parte online.

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Nello studio Il Gioco online in Italia: un mercato già maturo? curato dalla School of Management del Politecnico di Milano, dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli e da Sogei emerge che, seppure in tempi di crisi, la spesa nel settore del gioco d’azzardo online è cresciuta del 2%. Una crescita dovuta ai Casinò game (spesa triplicata), mentre si sono ridotti i soldi impiegati per le scommesse sportive (20%) e quelle per il poker (7%). Nei dati diffusi dall’Osservatorio Gioco online si legge inoltre che la spesa media dei giocatori online attivi negli ultimi 6 mesi raggiunge i 43 euro mensili. Da agosto 2011 sono 800.000 i giocatori attivi ogni mese nell’online.

Concludendo, speriamo che il pur deprecabile gesto di Preiti e la sofferenza delle persone ingiustamente colpite possa accendere i riflettori su un mondo sempre più fuori controllo, con persone e famiglie rovinate dal gioco d’azzardo. Il problema, come si è capito, non riguarda le singole persone, ma la società intera, visto che il pensiero di un disperato che non ha più nulla da perdere non può essere “prosociale” e il Far West e molto meno “far” di quanto si pensi.

Dr. Giuliana Proietti

Intervento del 14-09-2024 su Sessualità e Terza Età
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Pubblicato anche su Huffington Post

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Vaginismo: come si cura? I consigli dell'esperta

Vaginismo: come si cura? I consigli dell’esperta

VAGINISMO: COME SI CURA?

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Il vaginismo: può essere doloroso e angosciante, ma la buona notizia è che può essere curato.

Cos’é il vaginismo

Il vaginismo è caratterizzato da uno spasmo involontario della muscolatura del terzo esterno della vagina quando vi è un tentativo di penetrazione. Nella forma più grave di vaginismo, lo spasmo si verifica prima del coito, con chiusura ermetica delle labbra, della vulva e dell’ostio vaginale, rendendo impossibile il minimo contatto con l’orifizio vulvo-vaginale.

Esso rappresenta, per la donna, una reazione globale di paura. La penetrazione infatti sembra per lei ridursi ai soli significati aggressivi e violenti. Nelle forme meno gravi, il vaginismo permette la penetrazione, ma non la conclusione del rapporto per l’insorgere di un dolore insopportabile. Altre volte i rapporti sono vissuti dalla donna con senso di fastidio e sensazioni sgradevoli. Il vaginismo non influisce necessariamente sulla capacità di eccitarsi e di godere di altri tipi di contatto sessuale.

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Cause organiche

Il vaginismo può essere causato da molti fattori, tra cui anche qualche leggera affezione genitale che si combina talvolta con un disturbo psicologico. Tra i fattori organici, il dolore può essere causato da fistole conseguenti a lacerazioni perineali non ben cicatrizzate, dall’herpes o da varie infezioni (vaginiti) trascurate, o mal curate.

Cause psicologiche

In assenza di una causa organica, i motivi vanno ricercati in ambito psicologico, dove la paura della penetrazione si esprime a livello somatico con un’inibizione dell’eccitazione sessuale ed anche con un comportamento volto ad assicurare il mantenimento di tale inibizione. Per molte donne la paura può insorgere come conseguenza di un maldestro atto di deflorazione, oppure in seguito a racconti di violenze subite da altre donne, o ancora, può essere il rifiuto inconscio di una sessualità vissuta con troppi sensi di colpa.

Altri fattori psichici possono essere il rifiuto inconscio del partner,una paura generalizzata nei confronti del maschio, difficoltà a praticare una normale vita sessuale per motivi religiosi o morali, paura della gravidanza o del parto, grave trauma subito durante il primo rapporto sessuale, violenza sessuale.

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Autori: Dr. Giuliana Proietti - Dr. Walter La Gatta
Terapie Individuali e di Coppia

La fobia del rapporto sessuale penetrativo

In presenza di vaginismo la fobia del rapporto sessuale può estendersi anche ad altre disfunzioni sessuali, come mancanza del desiderio, scarso livello di eccitazione, mancanza di interesse verso il partner. Altre volte le paure possono travalicare il campo sessuale e invadere altre aree o attività, come ad esempio la paura di nuotare (specialmente nell’acqua alta), di prendere l’ascensore, degli animali e delle novità in genere. Per il resto, la donna con un problema di vaginismo è in genere dotata di una vivace intelligenza, aperta all’approfondimento psicologico e spesso anche dotata di forte carica sessuale e di femminilità.

Il piacere sessuale

Non tutte le donne che soffrono di vaginismo sono contro la sessualità: molte ad esempio raggiungono normalmente il piacere attraverso la masturbazione clitoridea e desidererebbero realmente avere rapporti sessuali completi con il partner, anche se sono bloccate dalla paura, perché vivono la penetrazione come una violenza.

Conseguenze del vaginismo sulla donna

Questo disturbo sessuale tende a provocare nella donna che ne soffre ansia e depressione, perdita dell’autostima, oltre ad un caratteristico senso di colpa e di inadeguatezza personale.

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La coppia 

I rapporti di coppia in cui non vi sono rapporti completi vengono spesso definiti matrimoni bianchi. Il vaginismo provoca inevitabilmente delle conseguenze anche a livello di coppia, per quanto riguarda la soddisfazione sessuale dei due partners.

Il partner della donna con problemi di vaginismo

Spesso in queste coppie anche l’uomo soffre di disfunzioni sessuali (disfunzione erettile o eiaculazione precoce).  Ciò accade perché la donna tende a scegliere un partner con scarsa esperienza sessuale o qualche inibizione, in modo che sia più comprensivo nei riguardi della sua fobia. Questo tipo di partner accoglie infatti apparentemente con molta comprensione le razionalizzazioni da lei proposte (desiderio di rimanere vergine fino al matrimonio, mancanza di sufficiente tempo o intimità, ecc.); in realtà, questa accettazione incondizionata della mancanza di rapporti è una collusione attiva fra i due partners, che ha lo scopo di mantenere le cose come stanno, allo scopo di minimizzare quelle che sono le problematiche sessuali di ciascuno (non a caso, quando la donna con vaginismo entra in terapia e migliora, il suo partner peggiora).

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La richiesta di terapia: quando e perché

Ciò che più affligge la donna con un problema di vaginismo è l’essere considerata “malata” o “infantile”, specialmente quando si paragona alle ragazze più giovani, che hanno rapporti sessuali senza problemi. Oppure c’è il desiderio di avere un figlio.
Ci si può decidere in presenza di questi sintomi:
. è difficile/impossibile inserire un tampone o un dito nella vagina
. non si riesce ad ottenere una penetrazione vaginale, neanche parziale durante il rapporto
. la donna sente bruciore o dolore pungente al primo tentativo di penetrazione
. la donna si irrigidisce e “lotta” contro il partner perché la penetrazione non avvenga

Come si cura

In genere il vaginismo è un disturbo cronico che non si risolve da solo e che richiede un trattamento psicoterapico per ottenerne la remissione. La terapia psicosessuale è un tipo di terapia che ha lo scopo di aiutare la paziente (e la coppia) a capire e cambiare gli atteggiamenti riguardo al corpo e al sesso.

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Cosa aspettarsi da una terapia psicosessuale ?

In genere si stabiliscono incontri individuali con ciascuno dei due partners e incontri di coppia, durante i quali si approfondiscono i vissuti rispetto al problema del vaginismo.

Il principale obiettivo dell’intervento psicologico è quello di ridurre l’ansia associata al rapporto sessuale, in modo da eliminare lo spasmo muscolare che impedisce la penetrazione.  All’inizio della terapia vanno indagate anzitutto le possibili cause del sintomo, quali le esperienze infantili e pre-adolescenziali, i rapporti con i membri della famiglia, i miti, i pregiudizi, le credenze, i valori, i desideri, le fantasticherie, i sogni.

La terapia in genere si svolge così:

1. Informazioni. Molto spesso è necessario fornire alla paziente o alla coppia delle informazioni ‘tecniche’ sull’anatomia umana e sull’apparato genitale in particolare, oltre a conoscenze sulla risposta sessuale: spesso infatti vi sono informazioni assenti o incomplete su questi argomenti, che contribuiscono alla formazione del sintomo. Oltre che sull’apparato genitale e sulla risposta sessuale il terapeuta potrebbe decidere di istruire la paziente o la coppia sulle tecniche della gestione dell’ansia e quindi fornire informazioni sul sul sistema neuro-vegetativo, sui livelli di attivazione dell’organismo, sulle reazioni di attacco e fuga, sulla differenza fra paure e fobie, fra fastidio e dolore. In altri casi verranno approfonditi anche temi che riguardano informazioni scorrette sulla sessualità dovute ad un’educazione troppo rigida. Il terapeuta può mostrare delle tavole anatomiche che riguardano gli organi genitali, di cui si spiega anche il funzionamento fisiologico.

2. Training autogeno. Per il controllo dello stato ansioso durante il rapporto si insegna alla paziente una tecnica per la gestione dell’ansia, in genere il training autogeno. Oltre al training autogeno si possono fornire visualizzazioni (o fantasie guidate) che aiutino la donna a rilassare i muscoli pelvici, come ad esempio immaginare la propria vagina come una rosa che lentamente sboccia, si apre e diventa un bel fiore.

3. Auto-esplorazione e auto-stimolazione. Alla donna vengono assegnati dei compiti di auto-esplorazione e di auto-stimolazione, che hanno lo scopo di migliorare la conoscenza delle reazioni del proprio corpo alla stimolazione. Generalmente le donne non hanno problemi nel praticare la stimolazione clitoridea, ma una volta raggiunto questo stadio si chiede alla donna di introdurre in vagina degli oggetti di grandezza crescente, in modo da abituarsi a questo genere di stimoli. Si può cominciare ad esempio con un ovulo vaginale, il proprio dito, un tampax, due dita, uno speculum o gli appositi dilatatori vaginali. Ciascuno stadio dovrà essere lasciato in favore del successivo solamente quando si sarà raggiunto il maggior grado di comfort. Poi sarà il turno del partner, che comincerà dall’ovulo e così via. (Va raccomandata la massima igiene in queste pratiche, perché un’infiammazione della zona vaginale potrebbe impedire il buon esito della terapia). La donna deve cercare di comprendere cosa le procura piacere e cosa dolore, in modo da orientarsi sempre di più verso ciò che le procura piacere.

4. Esercizi di Kegel. Un ulteriore aiuto da fornire alla donna è l’apprendimento degli esercizi di Kegel, che regolano i muscoli pelvici. Si comincia individuando i muscoli paravaginali, indicando alla paziente come ‘sentirli’ (stringendo la muscolatura per trattenersi dall’urinare). Gli esercizi vanno fatti quattro o cinque volte al giorno. In un esercizio i muscoli vaginali devono essere contratti (si deve contare fino a tre e poi rilasciarli); un altro esercizio consiste nel contrarre e rilasciare rapidamente i muscoli, un altro nel cercare di ‘buttarli in fuori’ o di contrarli come per buttare fuori qualcosa dalla vagina.

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5. Autostima e Pensiero positivo. Occorre lavorare anche sull’autostima e sullo stile del pensiero della paziente:  se la donna tende al pessimismo, non ha fiducia nei propri successi, soffre di ansia anticipatoria questo potrebbe compromettere il buon esito della terapia. La donna deve imparare a concentrarsi sulle cose positive che le accadono durante la giornata e sottolineare tutti i successi personali, anche nelle piccole cose.

6. Comunicazione all’interno della coppia. Quando la donna comincia a sentirsi abbastanza sicura di sé si procede al trasferimento delle acquisizioni raggiunte dalla dimensione personale a quella di coppia. Va anzitutto favorita la comunicazione fra coniugi sui temi della sessualità, in modo che entrambi siano consapevoli di ciò che più li soddisfa nel rapporto sessuale. Vanno stabilite delle attività gratificanti da fare insieme ed ognuno dei partners può richiedere all’altro dei comportamenti affettuosi e delle attenzioni particolari, per favorire la relazione, anche al di fuori della vita sessuale.

7. La terapia sessuale vera e propria riguarderà la coppia e sarà di tipo mansionale (i due pazienti riceveranno dei ‘compiti’ da svolgere a casa seguendo un programma di desensibilizzazione sistematica, ovvero lo stabilirsi di rapporti affettivi ed anche erogeni, che però non prevedano il coito). Gradualmente vi sarà l’integrazione dei successi ottenuti nei vari campi e si giungerà al coito. Il pene dovrà essere inserito in vagina solo per pochi istanti, senza fare movimenti, non completamente. I movimenti devono essere molto lenti, i due partners devono imparare a inviarsi messaggi, verbali o non verbali, per far sapere all’altro se provano piacere o dolore. La donna può guidare il pene del partner in questa prima introduzione in vagina oppure può scegliere la posizione coitale con lei sopra, in modo da scandire lei stessa i ritmi e la profondità della penetrazione.

8. Ad un certo punto della terapia potrebbe essere utile indirizzare la paziente ad un ginecologo che possa fare un esame obiettivo ed escludere qualsiasi altra causa organica del vaginismo (infiammazioni o malformazioni dell’apparato sessuale).

Il trattamento del vaginismo  è di solito efficace e si possono vedere i primi risultati già dopo 4 settimane. Il trattamento completo dura in genere da 6 a 12 mesi.

Dr. Giuliana Proietti

Una intervista sull'anorgasmia femminile

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Tutto sulle ossessioni (o quasi)

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Le ossessioni sono pensieri, immagini o impulsi ricorrenti e indesiderati che causano ansia o disagio. Spesso, queste ossessioni portano a comportamenti compulsivi nel tentativo di alleviare l’angoscia che provocano. Cerchiamo di saperne di più.

Cosa è la nevrosi ossessiva?

Il termine nevrosi ossessiva (o nevrosi compulsiva ) indica una condizione in cui la mente del paziente viene invasa (contro la sua volontà) da immagini, idee o parole disturbanti.

La coscienza del paziente rimane tuttavia lucida e il suo potere di ragionare rimane intatto.

Come vengono vissute le ossessioni?

Le ossessioni incontrollabili sono vissute come morbose in quanto privano temporaneamente l’individuo della libertà di pensiero e di azione. A volte le difese possono eliminare l’ansia e i sintomi, ma al prezzo di spostare le caratteristiche dell’ossessione primitiva (incontrollabilità, compulsioni) sui meccanismi di difesa.

Quando Freud iniziò a parlare di nevrosi ossessiva?

L’opinione di Sigmund Freud sulla nevrosi ossessiva apparve già nel 1894. Nel libro “Le neuro-psicosi da difesa”, Freud ruppe con le concezioni della psichiatria classica e stabilì che la causa della nevrosi ossessiva era da ricercarsi nell’esistenza di un conflitto intrapsichico di origine sessuale che mobilita e blocca tutti i flussi di energia.

C’erano già altre teorie sulla nevrosi ossessiva?

Si e Freud si oppose con questa sua definizione alla teoria classica della degenerazione e all’idea di innata debolezza dell’ego che Pierre Janet aveva usato come base per la sua descrizione della psicastenia.

In cosa si caratterizzava la descrizione di Freud?

Freud propose un’eziologia traumatica per la nevrosi ossessiva; in particolare un evento sessuale precoce che si verifica prima della pubertà.

L’evento traumatico è il medesimo che può causare l’isteria?

Si, ma contrariamente a quanto accade nell’isteria, questo evento è fonte di piacere per il bambino. L’individuo prova forti sentimenti di colpa per cui arriva all’auto-rimprovero.

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Come vengono gestiti questi sensi di colpa?

I sensi di colpa vengono anzitutto repressi e poi sostituiti da un sistema primario di sintomi e tratti di personalità: scrupolosità, vergogna, sfiducia in se stessi. Il successo di queste difese consente all’individuo di attraversare un periodo apparentemente sano, ma quando le difese si esauriscono si assiste a un ritorno dei ricordi repressi, con lo scoppio della malattia e i suoi sintomi associati.

Che altre differenze ci sono fra isteria e nevrosi ossessiva?

Ci sono differenze nella struttura del linguaggio utilizzato. Lo spiega Freud stesso in un passaggio dell’Uomo dei Topi:

«Il linguaggio della nevrosi ossessiva – i mezzi con cui esprime i suoi pensieri segreti – è, per così dire, solo un dialetto del linguaggio isterico, ma un dialetto in cui dovrebbe esser più facile immedesimarsi, poiché è più affine che non il linguaggio isterico al modo d’esprimersi del nostro pensiero cosciente. Soprattutto esso non contiene quel salto psichico dell’innervazione somatica – la conversione isterica – di cui non riusciamo mai a farci un concetto»

(S. Freud (1909), Osservazioni su un caso di nevrosi ossessiva. Caso clinico dell’uomo dei topi, Opere)

Quali sono le maggiori differenze fra nevrosi ossessiva e psicosi?

Diversi fattori presenti nelle nevrosi ossessiva mancano nella psicosi: auto-recriminazione da parte dell’ego, aderenza a preoccupazioni insistenti e dispiegamento di difese elaborate. Nel paziente ossessivo, l’isolamento affettivo consente all’ego di staccarsi dal desiderio, mentre nella psicosi l’ego è estraneo alla realtà.

Da cosa dipende la nevrosi ossessiva?

In “La disposizione alla nevrosi ossessiva: un contributo al problema della scelta della nevrosi” (1913), Freud ha difeso l’idea che la scelta di questa nevrosi è legata alle inibizioni dello sviluppo, e ha sottolineato il ruolo della fissazione e della regressione allo stadio anale.

Quali sono i principali meccanismi di difesa nella nevrosi ossessiva?

In “Inibizione, sintomo e angoscia” (1925), Freud ha descritto i principali meccanismi di difesa che caratterizzano la nevrosi ossessiva: spostamento dell’affetto, isolamento, annullamento retroattivo e,  dal punto di vista pulsionale ambivalenza, fissazione anale, regressione.

L’annullamento Ungeschehenmachen ), significa fare si che qualcosa che è già accaduto “non sia accaduto” per mezzo di un’azione simbolica; si trova anche in pratiche magiche, costumi popolari e rituali religiosi.

L’isolamento, coinvolge la sfera motoria e consiste nel fatto che, dopo un evento spiacevole c’è una pausa durante la quale nessuna percezione è possibile e nessuna azione può avere luogo. L’isolamento permette una rottura nella connessione dei pensieri.

Il desiderio sessuale nella donna infertile
Relazione presentata al Congresso Nazionale Aige/Fiss del 7-8 Marzo 2025 a Firenze. 

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Al di fuori della psicoanalisi, nella moderna psichiatria, come viene affrontato il problema della nevrosi ossessiva?

In psichiatria si parla di disturbo ossessivo compulsivo (DOC); un disturbo psichiatrico caratterizzato dalla presenza di ossessioni e compulsioni.

Nelle precedenti edizioni del DSM (il manuale diagnostico e statistico degli psichiatri americani pubblicato dall’APA) questo disturbo era inserito nei disturbi d’ansia, ma nel DSM-5 (2013)  il DOC è stato inserito in una nuova categoria, che comprende disturbo ossessivo compulsivo, disturbo da dismorfismo corporeo, disturbo da accumulo, disturbo da escoriazione e tricotillomania.

Quali sono i sintomi?

I  sintomi riguardano le ossessioni e le compulsioni.

Ossessioni

  • paura dello sporco,
  • fobia di  contaminazione,
  • dubbi frequenti su azioni abituali 
  • bisogno di ordine e simmetria 
  • paura di perdere il controllo o fare del male (a se stessi o ad altri)
  • pensieri di tipo blasfemo.

Compulsioni (comportamenti agiti per controllare le ossessioni)

  • lavarsi o disinfettarsi frequentemente le mani
  • controllare oggetti o persone
  • mettere in ordine
  • contare oggetti
  • pensieri “magici” che allontanano il pericolo

Quale è la frequenza del DOC?

Il disturbo ossessivo compulsivo colpisce, nell’arco della vita, circa il 2-3% della popolazione. In genere il 90% di chi soffre di DOC presenta sia ossessioni che compulsioni.

Quando si cominciano a notare i primi sintomi?

Il disturbo ossessivo compulsivo esordisce, frequentemente, in età adolescenziale.

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Quali sono le cause?

Ad oggi non esistono risposte certe, è comunque probabile che esistano cause predisponenti, cause precipitanti e fattori in grado di mantenere nel tempo il disturbo. Non è possibile rifarsi ad una singola causa.

Quali sono le terapie?

Ad oggi la migliore terapia sul piano psicologico è la psicoterapia cognitivo-comportamentale, con tecniche di esposizione allo stimolo, e tecniche di rilassamento. Le cure farmacologiche  sono quelle che hanno effetti sul sistema serotoninergico. In particolare molti SSRI hanno dimostrato di essere efficaci nel trattamento del DOC.

Dr. Giuliana Proietti

Intervento del 14-09-2024 su Sessualità e Terza Età
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