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Author: Dr. Walter La Gatta

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Lo psicologo può essere di aiuto nelle malattie croniche

Lo psicologo può essere di aiuto nelle malattie croniche?

Lo psicologo può essere di aiuto nelle malattie croniche?

Saluto del CIS - Dr. Walter La Gatta

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Le malattie croniche rappresentano una delle sfide più complesse della medicina moderna. Condizioni come il diabete, le malattie cardiovascolari, l’artrite reumatoide o la fibromialgia hanno un impatto significativo sulla qualità della vita delle persone, non solo dal punto di vista fisico, ma anche psicologico. L’intervento psicologico, in questo contesto, diventa un elemento essenziale per supportare la persona nella gestione della malattia, migliorare il benessere emotivo e promuovere l’adesione ai trattamenti. Cerchiamo di saperne di più.

Quale è il peso psicologico di una malattia cronica?

Le malattie croniche, per la loro natura persistente e spesso progressiva, influenzano profondamente la vita di chi ne è affetto. Tra le principali difficoltà psicologiche associate troviamo:
– Ansia e depressione: Affrontare una diagnosi cronica può scatenare paure legate al futuro e alla perdita di controllo sulla propria vita. Molti studi dimostrano che circa il 20-30% delle persone con malattie croniche soffre di depressione.
– Stress e burn-out: Le cure continue e le limitazioni fisiche possono generare un elevato livello di stress.
– Impatto sull’identità: La malattia cronica può modificare la percezione di sé e il proprio ruolo sociale e familiare.
– Isolamento sociale: La riduzione delle attività quotidiane e la difficoltà a comunicare le proprie esigenze spesso portano a sentirsi soli e incompresi.

Tariffe Psicoterapia

Su cosa si concentra l’intervento psicologico nelle malattie croniche?

Il supporto psicologico per le persone con malattie croniche si concentra su diversi obiettivi, tra cui:

  • Aiutare la persona a integrare la condizione cronica nella propria vita senza perdere il senso di sé.
  • Ridurre ansia, depressione e stress attraverso tecniche di rilassamento, mindfulness o terapie cognitive.
  • Favorire comportamenti proattivi e la fiducia nei protocolli medici.
  • Promuovere strategie per mantenere attività significative e relazioni sociali.

Il supporto psicologico si limita al singolo individuo o coinvolge anche altre persone?

Se il caso è particolarmente difficile è consigliabile coinvolgere i caregiver nei percorsi terapeutici, perché questo aiuta a costruire una rete di supporto stabile, permette di aderire meglio alle terapie e favorisce una comunicazione empatica.

Perché i pazienti non riescono ad aderire completamente alle terapie mediche?

Spesso i pazienti, anche coloro che hanno gravi malattie croniche, non riescono ad aderire completamente alle terapie mediche, con grande preoccupazione, sia dei familiari, sia dei medici. Le ragioni sono molteplici:

  • L’adesione potrebbe essere influenzata dalla complessità del trattamento;
  • Ci potrebbero essere effetti collaterali sgradevoli o intolleranze da farmaci;
  • I cambiamenti proposti nello stile di vita potrebbero sembrare impossibili per il paziente;
  • Il paziente potrebbe essere depresso e apatico e quindi poco propenso a curarsi.
  •  

Molti problemi di salute, specialmente nelle malattie croniche, richiedono che il paziente adotti una modalità di auto-gestione delle cure, ma spesso i pazienti non dispongono delle competenze necessarie, o trovano questa cosa troppo difficile per loro.

I cambiamenti nella cura di sé, incluse le modificazioni del comportamento alimentare, possono portare i pazienti a sperimentare sentimenti di frustrazione e impotenza, per cui l’adesione a un protocollo di terapia medica può essere avvertito come eccessivamente impegnativo.

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Lo psicologo è utile anche per aiutare la prevenzione delle malattie?

Sicuramente. Da tempo si è capito che la principale cura, per tutte le malattie esistenti e per la prevenzione, è lo stile di vita. I risultati di Ford, Bergman, Boeing, Li e Capewell (2012) suggeriscono che gli adulti che consumano una dieta sana e che intraprendono attività fisica sufficiente possono ridurre significativamente il rischio di morte precoce. 

La modificazione delle abitudini di vita è tuttavia vissuta male da parte dei pazienti. Essi possono trincerarsi dietro pensieri irrazionali, del tipo: “Non potrò più mangiare nulla di appetitoso”, “non potrò mai avere più soddisfazioni dalla vita”. Questi sono esempi del pensiero “tutto o niente”, mentre invece sappiamo che  vi possono essere innumerevoli compromessi o alternative, che possono essere sorprendentemente positivi per la sensazione di benessere. Altri si difendono dal cambiamento dicendo di non potersi attenere al nuovo stile di vita perché non sanno cucinare, non hanno tempo, non hanno i soldi, ad esempio per andare in palestra.

La figura dello psicologo/a aiuta a capire che vi sono altre soluzioni possibili, cambiando atteggiamento mentale verso la malattia e la relativa cura. Ad esempio, per fare attività fisica non è necessario andare in palestra: il solo svolgere attività fisica per venti minuti al giorno può già dare molti benefici alla salute, come dimostrano molti studi.

IPNOSI CLINICA: una intervista al Dr. Walter La Gatta

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ANCONA FABRIANO TERNI CIVITANOVA MARCHE E ONLINE
 

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Quale tipo di psicoterapia è consigliabile?

E’ consigliabile una psicoterapia cognitivo-comportamentale, che permette di aiutare i pazienti a modificare il loro stile del pensiero e i loro comportamenti, al fine di aderire meglio alla terapia medica, per migliorare  il loro stato di salute, la loro qualità della vita e prevenire, quando è possibile, l’insorgere di una malattia o il suo aggravamento.

Dr. Walter La Gatta

Relazione sulla Terapia di Coppia dopo un Tradimento - Festival della Coppia 2023

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Una intervista sui rapporti familiari

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Sex Business: la prostituzione

Sex Business: la prostituzione come scelta

Sex Business: la prostituzione come scelta

Saluto del CIS - Dr. Walter La Gatta

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La prostituzione è una delle professioni più antiche al mondo, intrecciata nella trama della storia umana sin dagli albori della civiltà. Questo fenomeno ha suscitato dibattiti morali, sociali e politici per secoli, riflettendo le tensioni e le dinamiche della società in cui è apparso. Cerchiamo di saperne di più.

La prostituzione ha origini antiche?

Si. Le radici della prostituzione risalgono all’antichità, con evidenze che risalgono a civiltà come quella sumera, babilonese, egizia e greca. In queste culture, la prostituzione era spesso associata ai rituali religiosi e al culto della fertilità. Le sacerdotesse nei templi antichi spesso offrivano i loro servizi sessuali come parte delle pratiche rituali, considerate un atto di devozione verso le divinità.

Nell’antica Roma, la prostituzione era diffusa e regolamentata dallo Stato. Le donne chiamate “meretrices” operavano in luoghi come le terme, i bordelli e le strade principali delle città. Alcune di esse potevano guadagnare una considerevole ricchezza e influenza sociale. Anche nell’Impero Bizantino, la prostituzione era presente e, in certi casi, tollerata o persino istituzionalizzata.

Durante il Medioevo, la Chiesa cattolica condannava la prostituzione come peccato e crimine morale, ma nonostante ciò, era ancora diffusa in molte città europee. Nel Rinascimento, la prostituzione fiorì nelle corti dei nobili e nelle grandi città, dove le cortigiane erano spesso considerate come figure di status sociale ed economico.

Cosa ne è stato della prostituzione nel mondo moderno e contemporaneo?

Con la rivoluzione industriale, la prostituzione si è diffusa ulteriormente nelle città in rapida espansione, dove le condizioni di vita erano spesso misere e le opportunità di lavoro scarse. Nel XIX e XX secolo, molti paesi hanno introdotto leggi per proibire o regolamentare la prostituzione, spesso in risposta a preoccupazioni morali o sanitarie.

Nel mondo contemporaneo, la prostituzione continua ad esistere in molte forme e contesti diversi. In alcuni stati è legalizzata e regolamentata  mentre in altri è criminalizzata e perseguita penalmente.

Il dibattito sulla prostituzione rimane ancora molto acceso e controverso. Alcuni sostenitori dell’abolizionismo chiedono la criminalizzazione dei clienti e la protezione delle persone coinvolte nella prostituzione, considerando la prostituzione una forma di violenza e sfruttamento sessuale. Altri sostengono il modello della legalizzazione e regolamentazione, sostenendo che questo possa fornire maggiore sicurezza e protezione per le persone che scelgono di lavorare come prostitute.

Una intervista sulla Eiaculazione Precoce

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Come si è diffusa l’abitudine di andare con le prostitute?

Storicamente l’utilizzo della prostituzione è attribuibile (Federici S., Fortunati L, Il grande Calibano. Storia del corpo sociale ribelle nella prima fase del capitale, Franco Angeli, 1984) alla nascita dell’esercito e della marina, e al permanere di un clero maschile reso forzatamente celibe, ma non desessualizzato, al disequilibrio nel mercato del matrimonio, che si registra con il progredire della crescita della popolazione urbana; al maggior accesso al denaro da parte del proletariato maschile, che ha reso possibile un maggior numero di scambi con le prostitute e, da ultimo, alla diversificazione della prestazione sessuale tra moglie da un lato e prostituta dall’altro.

Il/La sex worker sceglie liberamente la sua professione?

Nella storia la prostituzione autenticamente volontaria è sempre risultata marginale: in genere le donne sono ricorse alla vendita del proprio corpo per scopi sessuali quando era loro precluso il mondo del lavoro e qualsiasi altra attività extra-domestica, per arrotondare i redditi familiari.

Nel mondo contemporaneo le persone che si avvicinano alla prostituzione lo fanno per ragioni diverse:
– Economiche: La povertà e la mancanza di alternative lavorative rappresentano motivazioni comuni, soprattutto in contesti di disuguaglianza economica.
– Traumi e vulnerabilità: Studi psicologici evidenziano come molte/i sex workers abbiano un passato segnato da abusi o esperienze traumatiche, che possono influenzare la loro scelta o costrizione verso il sex work.
– Libera scelta: Sebbene meno frequente, esiste una minoranza che sceglie questa professione per motivi personali, come la ricerca di autonomia economica o di libertà sessuale.

Da quanto tempo si parla di prostituzione come sfruttamento?

La denuncia dello sfruttamento sessuale delle donne è iniziata nella seconda metà dell’ottocento, in Inghilterra, quando si è cominciato a parlare della pesante degradazione della persona e dello sfruttamento da parte del protettore, che spesso era lo Stato.

Dopo la seconda guerra mondiale la comunità internazionale ha tentato di contrastare i traffici e lo sfruttamento della prostituzione, lasciando comunque aperta la strada alle donne che sceglievano questo come professione, in piena consapevolezza, e senza che vi fossero situazioni di controllo delle sue azioni e della sua volontà. Nel 1949 fu siglata la Convenzione delle Nazioni Unite per la soppressione del traffico delle persone e dello sfruttamento della prostituzione altrui.

Questo trattato internazionale ha riconosciuto in linea generale la necessità di criminalizzare qualsiasi forma di sfruttamento sessuale, di tratta e organizzazione della prostituzione e il diritto di praticare in modo autonomo tale attività, vietando però espliciti inviti al libertinaggio o il ricorso a molestie.

Come è stata regolata la prostituzione in Italia?

L’Italia ha recepito la logica abolizionista sopprimendo, fin dal 1958, le 560 case chiuse presenti sul territorio nazionale, che ospitavano 2705 prostitute. L’abolizione istituzionale però non ha cancellato la prostituzione, che ha cominciato a riprodursi in forma clandestina, mascherata da facciate di legalità, dove la figura del protettore ha continuato a giocare un ruolo di rilievo. Del resto le prostitute vedono ancora nella figura del ‘magnaccia’ una persona che può tutelarle contro le aggressioni di strada e dei clienti.

Cosa c’è dietro la scelta apparentemente “libera” di dedicarsi alla prostituzione?

Anche le donne che decidono di dedicarsi volontariamente alla prostituzione, sono perlopiù costrette dalla miseria, dall’ignoranza o dalla tossicodipendenza. Oggi in Italia le prostitute sono in maggioranza giovani e straniere. In considerazione del basso status cui le operatrici del sesso appartengono e alla luce di quanto dichiarato da chi è riuscita ad affrancarsi da questa vita, appare evidente che sono il degrado e l’indigenza e dunque la debolezza e il bisogno, a spingere le donne verso questa professione.


Ipnosi Clinica

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La prostituzione è in mano alla criminalità?

In gran parte si. Oggi numerosi networks criminali si occupano, sul piano internazionale, di reclutare e trasferire le prostitute da un Paese all’altro, perché la vendita di servizi di natura sessuale è molto redditizia, specialmente quando le prestazioni coinvolgono soggetti minorenni e sono particolarmente cruente e pericolose per la donna.

Quanto è diffusa la prostituzione?

Secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO), il mercato del sesso rappresenta una significativa fetta dell’economia informale mondiale, generando miliardi di dollari ogni anno. 

Quali sono i problemi di chi si dedica al sex work?

Dal punto di vista psicologico, le/i sex workers possono affrontare una serie di problematiche, tra cui:
– Lo stigma sociale legato alla prostituzione, che è una fonte significativa di stress e isolamento, spesso aggravato dalla criminalizzazione e dalla marginalizzazione sociale.
– Esposizione a forme di violenza fisica, psicologica e sessuale, che possono lasciare segni profondi sulla salute, fisica e mentale.
– Le condizioni di lavoro precarie, che aumentano il rischio di disturbi d’ansia, depressione e PTSD.

La legalizzazione della prostituzione potrebbe essere una soluzione?

La legalizzazione della prostituzione è spesso presentata come una soluzione per ridurre lo sfruttamento e migliorare le condizioni di lavoro. Tuttavia, esperienze come quelle in Germania mostrano che la regolamentazione, pur migliorando le condizioni per alcune/i, non elimina del tutto i problemi di tratta e sfruttamento.

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Una intervista sulla Timidezza

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Terapia di Coppia

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Smettere di fumare: un beneficio per sé e per gli altri

Smettere di fumare: un beneficio per sé e per gli altri

Saluto del CIS - Dr. Walter La Gatta

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Decidere di smettere di fumare è una scelta che porta numerosi vantaggi, non solo per la propria salute, ma anche per il benessere delle persone che si frequentano. Non solo il fumo attivo, ma anche quello passivo ha effetti negativi documentati, per cui liberarsi da questa dipendenza può innescare un effetto positivo anche per altre persone.

Quali sono i benefici personali nello smettere di fumare?

Abbandonare il fumo comporta miglioramenti significativi per la salute, perché diminuisce il rischio di sviluppare patologie cardiovascolari, respiratorie e vari tipi di cancro. Inoltre, già dopo poche settimane, la capacità polmonare aumenta, facilitando la respirazione e l’attività fisica.

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Vi sono anche benefici estetici?

Certamente: la pelle appare più luminosa, i denti meno ingialliti e l’alito migliora sensibilmente.

La decisione di smettere di fumare ha effetti benefici anche su chi ci sta vicino?

Si, in genere funziona così: in primis eliminando il fumo, si protegge la salute dei familiari, degli amici e dei colleghi dall’esposizione a sostanze nocive, ma questa scelta può anche ispirare altri fumatori a intraprendere lo stesso percorso, creando un ambiente più sano.

Come nasce questo effetto a catena?

Un fumatore è più disponibile ad abbandonare la sigaretta se lo fa il coniuge, un amico, un collega ecc. E’ provato che si tende a smettere di fumare in piccoli o grandi gruppi di persone che frequentano una determinata cerchia.

Questo vale anche per i due membri della coppia?

Si, si è visto che, se uno dei membri di una coppia smette di fumare, l’altro ha 67 possibilità in meno su 100 di continuare a fumare.

Dr. Walter La Gatta

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Fino a che punto può allargarsi questa catena di persone che smettono di fumare?

Alcune ricerche hanno mostrato effetti su persone fino a tre gradi di separazione.

Smettere di fumare fa bene anche per i propri animali domestici?

Si, smettere di fumare non è solo una scelta importante per la propria salute, ma rappresenta un atto di cura nei confronti degli animali domestici. Occorre tenere presente che il fumo passivo non colpisce solo gli esseri umani: cani, gatti e altri pet sono esposti ai suoi effetti nocivi in misura significativa, con conseguenze che possono compromettere il loro benessere a lungo termine.

Gli animali domestici, vivendo a stretto contatto con chi fuma, inalano le stesse sostanze tossiche presenti nel fumo di sigaretta. Questo può causare patologie come bronchiti croniche, asma e altre malattie respiratorie. I gatti, in particolare, sono più vulnerabili perché le particelle di fumo si depositano sul loro pelo e vengono ingerite durante la pulizia.

L’esposizione al fumo passivo è stata associata a un maggiore rischio di tumori polmonari nei cani, soprattutto nelle razze con naso lungo, e di linfoma nei gatti. Gli animali sono meno resistenti a queste sostanze tossiche, poiché hanno un sistema immunitario meno preparato a contrastarle.

Oltre al fumo, anche i mozziconi di sigaretta rappresentano un pericolo per i pet?

Si, visto che possono essere ingeriti, causando intossicazione acuta e problemi gastrointestinali.

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La mediazione familiare: in che consiste e a cosa serve

La mediazione familiare: in che consiste e a cosa serve

La mediazione familiare: in che consiste e a cosa serve

Dr. Walter La Gatta

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La mediazione familiare è un intervento di supporto volto ad aiutare le coppie e le famiglie a risolvere conflitti in modo collaborativo e rispettoso, soprattutto in situazioni di separazione o divorzio. Si tratta di un approccio che mira a favorire la comunicazione tra le parti e a promuovere soluzioni condivise, senza ricorrere necessariamente alle vie legali. La mediazione familiare non solo contribuisce a ridurre le tensioni, ma si rivela anche un metodo efficace per tutelare il benessere dei figli e per mantenere relazioni sane e costruttive all’interno della famiglia, anche dopo una separazione. Cerchiamo di saperne di più.

Che cosa è la mediazione familiare^

La mediazione familiare è un momento di ascolto, scambio e negoziazione che consente di tenere conto in modo molto concreto dei bisogni di ciascuno (bambini, terze parti, nonni, genitori, eredi …).

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Quando è nata la mediazione familiare?

Le prime esperienze di mediazione furono avviate in America negli anni settanta, sia da parte di psicologi che da parte di avvocati matrimonialisti, che non riuscivano a ‘mettere d’accordo’ i loro clienti più litigiosi, carichi di rancore verso l’ex partner al punto di cercare continue ripicche per ferire l’altro, anche attraverso il coinvolgimento dei figli.

La mediazione familiare è arrivata in Italia negli anni ’90 e si è diffusa specialmente nei consultori, dove dei professionisti aiutano la coppia nel prendere le decisioni più opportune, nell’interesse di tutti, per la riorganizzazione familiare.

Chi è il mediatore familiare e quale è il suo ruolo?

Il mediatore familiare è un professionista qualificato, con competenze in psicologia e diritto. Non giudica e non ha potere decisionale; aiuta a trovare una soluzione nei conflitti, rispettando i principi di riservatezza, imparzialità e neutralità.  Il mediatore familiare può provenire da molti tipi di formazione professionale (legale, psicologica, umanistica) ecc. Questa figura opera in completa autonomia rispetto al potere giudiziario, non è tenuto a relazionare al giudice e non può essere chiamato a testimoniare in tribunale.

Quali sono gli obiettivi della mediazione familiare?

Gli obiettivi della mediazione familiare sono diversi e si concentrano sulla risoluzione pacifica dei conflitti, per raggiungere una soluzione reciprocamente accettabile. In particolare la mediazione serve per:

– Promuovere la comunicazione: spesso, in caso di separazione, le parti smettono di comunicare efficacemente e si concentrano sui disaccordi. La mediazione familiare crea uno spazio neutro in cui ciascuno può esprimere i propri bisogni e punti di vista.

– Ridurre i conflitti: la figura del mediatore aiuta a comprendere le cause profonde dei conflitti e a lavorare su soluzioni che possano soddisfare entrambe le parti, limitando così le incomprensioni e l’ostilità.

– Tutelare il benessere dei figli: uno degli obiettivi principali è salvaguardare i figli dagli effetti negativi delle dispute familiari, evitando che diventino oggetto di contese e tensioni tra i genitori.

– Favorire accordi equi e duraturi: il mediatore guida le parti a trovare soluzioni concrete e realistiche che rispondano ai bisogni di tutti i membri della famiglia, assicurando che gli accordi presi siano duraturi e sostenibili.

Quali tecniche vengono utilizzate nella mediazione familiare?

Si utilizzano tecniche di comunicazione e ascolto attivo per identificare le preoccupazioni e i bisogni delle parti, aiutandole a esplorare diverse opzioni e a valutare le conseguenze delle loro scelte. In questo modo, il mediatore facilita la costruzione di un dialogo costruttivo e stimola la collaborazione, sempre nell’interesse del benessere di tutta la famiglia.

Quando è utile la mediazione familiare?

La mediazione familiare è particolarmente utile in diverse situazioni, tra cui:

– Separazione e divorzio: è una delle circostanze più comuni per cui ci si rivolge alla mediazione. Durante il processo di separazione, il mediatore può aiutare a definire questioni come l’affidamento dei figli, la gestione del tempo e delle responsabilità genitoriali, nonché gli accordi economici e patrimoniali.

– Conflitti tra genitori e figli: la mediazione può aiutare a risolvere tensioni e incomprensioni tra genitori e figli, in particolare durante l’adolescenza o in situazioni di disaccordo sui comportamenti o sulle decisioni importanti della vita familiare.

– Famiglie ricostituite: quando due famiglie si uniscono, possono sorgere difficoltà legate ai nuovi ruoli e alle dinamiche familiari. La mediazione aiuta a definire aspettative e responsabilità, favorendo l’integrazione dei nuovi membri.

– Conflitti tra parenti: in alcune situazioni, la mediazione può essere utile per risolvere controversie tra familiari, come quelle legate a questioni ereditarie o alla gestione di beni familiari.

IPNOSI CLINICA: una intervista al Dr. Walter La Gatta

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Come si svolge la mediazione familiare?

La mediazione familiare si svolge in questo modo:

  1. Primo colloquio informativo, durante il quale il mediatore familiare presenta gli obiettivi, il contenuto e gli argomenti che si vuole affrontare. Si può accettare o rifiutare di impegnarsi nel percorso di mediazione familiare. Questo primo colloquio è senza impegno  per le parti coinvolte.
  2. I colloqui di mediazione familiare durano in genere da un’ora e mezza a 2 ore, si svolgono in un periodo che va dai 3 ai 6 mesi. Il loro numero varia a seconda della situazione e degli argomenti che si desidera affrontare: modalità di contatto, residenza dei bambini, questioni economiche, vacanze, proprietà condivise, cura per gli animali, istruzione dei figli ecc. Tutto questo può essere discusso serenamente in un ambiente protetto e neutrale, che fa di tutto per essere imparziale e costruttivo, tenendo conto dei bisogni e dei desideri di tutti i membri coinvolti.
  3. Se si raggiunge un accordo, si può chiedere al giudice di approvarlo.
  4. Se la coppia non riesce ad arrivare ad un’intesa, il mediatore esce di scena e la coppia segue il percorso tradizionale.

Quali sono i vantaggi della mediazione familiare?

I benefici vantaggi mediazione familiare sono molti e influenzano sia i singoli individui che l’intero nucleo familiare:

– Minor stress emotivo: rispetto ai procedimenti legali, la mediazione tende a ridurre lo stress associato alle dispute, offrendo uno spazio per esprimere emozioni e preoccupazioni senza essere giudicati.

– Costi ridotti: il processo di mediazione è generalmente più economico rispetto alle lunghe e spesso costose battaglie legali, permettendo di risolvere le questioni in modo meno oneroso.

– Risultati duraturi: gli accordi raggiunti attraverso la mediazione tendono a durare più a lungo, poiché le parti hanno contribuito attivamente alla loro formulazione. Questo senso di partecipazione e collaborazione rende gli accordi più solidi e sostenibili nel tempo.

– Benefici per i figli: mantenere un clima sereno e collaborativo tra i genitori è essenziale per il benessere psicologico dei figli. La mediazione contribuisce a creare un ambiente familiare più stabile e meno conflittuale.

Una intervista sulla Eiaculazione Precoce

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La mediazione familiare presenta vantaggi anche a livello sociale?

Si. L’importanza di questo istituto è quello di prevenire che i due ex coniugi mettano in atto comportamenti lesivi per l’altro, per i figli o per sé stessi, serve per elaborare il lutto del distacco e per prevenire gli stati depressivi dovuti alla sensazione di non avere alternative per la soluzione dei propri problemi. La possibilità di confrontarsi in questi incontri protetti e mediati può servire a contenere l’angoscia che sempre segue ad una separazione e può quindi avere anche finalità terapeutiche, se viene intesa come un’esperienza di transizione, di passaggio fra una forma di equilibrio ad un’altra.

Quali sono i limiti?

Sebbene la mediazione familiare sia uno strumento prezioso, non è sempre la soluzione ideale. Alcune situazioni possono richiedere l’intervento del sistema giudiziario o di altri professionisti, come nel caso di violenza o abuso: qui la mediazione può non essere adatta, poiché uno dei membri della coppia potrebbe sentirsi intimidito o incapace di esprimere liberamente i propri bisogni. In questi casi, è più indicato rivolgersi a un legale.

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Immagine: ROMAN ODINTSOV 

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La bisessualità: domande e risposte

La bisessualità: domande e risposte

La bisessualità: domande e risposte

Saluto del CIS - Dr. Walter La Gatta

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La bisessualità è un orientamento sessuale che può suscitare curiosità e anche alcune incomprensioni. In questo articolo, esploreremo le caratteristiche della bisessualità rispondendo a domande frequenti per chiarire miti, pregiudizi e fornire una comprensione più ampia e accurata.

Da quanto tempo è stata riconosciuta la bisessualità?

Il termine bisessuale è stato coniato nel 1809 da alcuni botanici, per descrivere le piante provviste di organi riproduttivi sia maschili sia femminili. In seguito è entrato nel linguaggio sessuologico per definire l’attrazione sia per soggetti di sesso maschile, sia per soggetti di sesso femminile.

Che cosa è la bisessualità?

La bisessualità è un orientamento sessuale che si caratterizza per l’attrazione, sentimentale o sessuale, verso persone di più di un genere. Non significa necessariamente essere attratti in modo uguale da tutti i generi, ma comporta un’apertura all’attrazione per più generi. Questa attrazione può variare nel tempo, come in ogni orientamento, e differisce da persona a persona.

La bisessualità è tipica degli esseri umani?

No, è stata osservata anche fra gli animali. L’elevato numero di osservazioni scientifiche sul comportamento bisex degli animali dimostra che si tratta di un comportamento naturale e non una moda o una perversione umana.

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La definizione di “bisessualità” può essere rigida?

No. La bisessualità non ha una definizione rigida e assoluta. Alcune persone possono sentirsi attratte da uomini e donne in modo paritario, mentre altre possono provare attrazione per generi diversi in misura variabile. Altre ancora si identificano come bisessuali pur avendo preferenze prevalenti. La bisessualità può anche comprendere attrazioni che sfidano le categorie binarie di genere, includendo persone non-binarie o con altre identità di genere.

La bisessualità può essere solo potenziale, senza trovare reale espressione?

Si, molte persone, pur sentendo attrazione e fantasie erotiche nei confronti di entrambi i sessi, non passano mai all’atto, rimanendo fedeli alla scelta fatta, eterosessuale o omosessuale.

La bisessualità è una fase nel percorso verso l’omosessualità?

No. Questo è un mito comune, ma non veritiero. La bisessualità non è una fase transitoria verso un altro orientamento. Alcune persone possono sperimentare la propria sessualità e attraversare periodi di esplorazione, ma la bisessualità è un orientamento sessuale stabile e legittimo. Le persone bisessuali possono avere rapporti duraturi e felici con partner di vari generi senza che ciò implichi una “confusione” o “indecisione” riguardo al proprio orientamento.

Dr. Walter La Gatta

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Le persone bisessuali provano attrazione per uomini e donne allo stesso modo?

Non necessariamente. La bisessualità non significa avere attrazione identica verso ogni genere. Alcune persone bisessuali possono sentirsi attratte maggiormente da un genere rispetto all’altro, oppure l’intensità e la frequenza dell’attrazione possono cambiare nel tempo. La scelta sessuale della persona bisex, contrariamente a quanto si crede è spesso del tutto casuale: questo significa che possono aver luogo relazioni monogame, anche di lungo termine, con soggetti dello stesso sesso, o del sesso opposto.

Le persone bisessuali sono più propense al tradimento?

Questo è un pregiudizio dannoso e infondato. La fedeltà e l’impegno in una relazione non dipendono dall’orientamento sessuale ma dai valori personali e dall’accordo con il/la partner. La bisessualità non rende una persona più o meno incline al tradimento rispetto ad altri orientamenti sessuali. Come gli eterosessuali, anche i bisessuali possono avere una relazione monogama con un/una partner, per poi tradirlo/a occasionalmente con un’altra persona, che in questo caso può essere sia uomo che donna.

Una persona bisessuale in una relazione con una persona di un certo genere smette di essere bisessuale?

No. L’orientamento sessuale è una parte dell’identità di una persona, indipendentemente dal genere del/la partner con cui si trova in una relazione. Una persona bisessuale che ha una relazione con una persona di un certo genere rimane bisessuale, poiché l’orientamento riguarda l’attrazione, non il tipo di relazione in cui si è al momento.

Il desiderio sessuale nella donna infertile
Relazione presentata al Congresso Nazionale Aige/Fiss del 7-8 Marzo 2025 a Firenze. 

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La bisessualità è una scelta?

Come per ogni orientamento sessuale, la bisessualità non è una scelta. Le persone non scelgono da chi sentirsi attratte, ma scoprono e comprendono la propria attrazione nel tempo. La bisessualità è una parte naturale dell’orientamento umano e non può essere “indotta” o “cambiata”.

In che modo la bisessualità è diversa dalla pansessualità?

Sia la bisessualità che la pansessualità implicano l’attrazione per più generi, ma spesso vengono intese in modo leggermente diverso. Chi si identifica come bisessuale può sentirsi attratto principalmente da uomini e donne o più generi, mentre la pansessualità è comunemente descritta come un’attrazione indipendente dal genere, in cui il genere della persona non è un fattore rilevante per l’attrazione. Tuttavia, le definizioni possono variare individualmente, e alcune persone si identificano come bisessuali o pansessuali in modo intercambiabile.

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Quali sono i pregiudizi più comuni sulla bisessualità?

Le persone bisessuali affrontano vari pregiudizi, tra cui l’idea che siano indecise, confuse, o che attraversino solo una fase temporanea. Esiste anche lo stereotipo secondo cui le persone bisessuali sarebbero più inclini al tradimento o alla promiscuità. Questi pregiudizi nascono spesso da incomprensioni e portano a forme di discriminazione specifiche, come nel caso della “bifobia”.

Le persone bisessuali hanno difficoltà a sentirsi accettate?

Sì, talvolta le persone bisessuali si sentono emarginate sia dalla comunità LGBTQ+ sia da chi non appartiene a questa comunità. L’accettazione della bisessualità è in crescita, ma vi sono ancora molti pregiudizi, anche nel mondo LGBT in quanto gli omosessuali ritengono spesso i bisessuali delle persone che tendono a reprimere i propri reali desideri e che tendono a nascondersi per non voler affrontare la diversità e violare così la norma sociale.

Cosa ne pensa la psicoanalisi?

Freud parlò, con grande scandalo per quel tempo, del bambino ‘perverso polimorfo’, cioè con la potenziale possibilità di avere ogni tipo di attività sessuale e che, solo attraverso l’educazione e la cultura fa poi una scelta più definita.

Freud scrive infatti:

“Un certo grado di ermafroditismo anatomico è proprio della normalità: in nessun individuo di normale formazione maschile o femminile mancano le tracce dell’apparato dell’altro sesso che, o continuavano a sussistere, senza avere una funzione, come organi rudimentali oppure sono state trasformate per assumere altre funzioni”. Ed ancora : “ la proporzione con cui il maschile ed il femminile si intrecciano nell’individuo è soggetta ad oscillazioni assai rilevanti”.

Il padre della psicoanalisi prese ad esempio gli antichi Greci:

“Tra i greci, presso i quali gli uomini più virili appaiono fra gli invertiti, è chiaro che non il carattere virile del fanciullo, ma la sua prossimità fisica alla donna, come anche le sue qualità psichiche femminili – la timidezza, il ritegno, il bisogno di imparare, di essere aiutato- accendevano l’amore dell’uomo. Divenuto uomo, il fanciullo cessava di essere oggetto sessuale per l’uomo e magari diventava egli stesso un pederasta. In questo caso dunque l’oggetto sessuale, come in molti casi, non è lo stesso sesso, bensì l’unione dei caratteri dei due sessi, quasi il compromesso fra un impulso che richiede l’uomo ed un altro che richiede la donna, ferma restando la condizione della virilità del corpo (dei genitali), per così dire il rispecchiamento della propria natura bisessuale”.

IPNOSI CLINICA: una intervista al Dr. Walter La Gatta

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I giovani sono tendenzialmente più bisex rispetto alla popolazione adulta?

Si. I giovani che s’identificano come gay o bisex sono esponenzialmente aumentati negli ultimi anni. Tra i millennials la bisessualità è molto frequente.

C’è differenza fra uomini e donne riguardo all’orientamento bisessuale?

Le donne sono in genere più portate verso la bisessualità, avendo una sessualità più aperta e fluida. Inoltre, anche da un punto di vista sociale lo stigma nei confronti delle bisessuali donne è stato minore rispetto ai bisessuali uomini.

Cosa è la scala Kinsey?

Kinsey studiò la bisessualità fra il 1940 ed il 1950, ma le sue ricerche vengono ancora molto citate quando si parla di questo argomento, in particolare facendo riferimento alla sua scala per diversificare i vari gradi di bisessualità:
La scala è così composta:

0. Completamente eterosessuale
1. Eterosessualità predominante, con qualche sporadico rapporto omosessuale
2. Eterosessualità predominante, ma con una chiara storia omosessuale
3. Eterosessualità ed Omosessualità allo stesso livello
4. Omosessualità predominante, ma con una chiara storia eterosessuale
5. Omosessualità predominante, con qualche sporadico rapporto eterosessuale
6. Completamente omosessuale

Questa scala non tiene conto che, con il passare del tempo, alcune persone possono modificare il loro orientamento sessuale.

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Relazione sulla Terapia di Coppia dopo un Tradimento - Festival della Coppia 2023

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Su Psicolinea leggi anche:

La bisessualità nel mondo antico
La bisessualità: domande e risposte
La bisessualità: nuove ricerche

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Psicologo Psicoterapeuta Sessuologo
Delegato Regionale del Centro Italiano di Sessuologia per le Regioni Marche Abruzzo e Molise.
Libero professionista, svolge terapie individuali e di coppia
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Il Dr. Walter La Gatta si occupa di:

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