Proteggersi dal burnout in ambito oncologico

Proteggersi dal burnout in ambito oncologico

E’ ben noto che gli operatori sanitari provano angoscia e dolore in risposta alla sofferenza dei loro pazienti e gli oncologi e gli specialisti in cure palliative non fanno certamente eccezione, anzi! Le forti emozioni negative provate sul lavoro possono compromettere il benessere personale di questi lavoratori, dal momento che un carico emotivo eccessivo può portare al burnout, al disagio psicologico, alla fatica e alla scarsa concentrazione sul lavoro, il che può influire negativamente sulla cura del paziente.

Infatti, gli operatori sanitari che curano i pazienti gravemente malati affrontano un rischio elevato di stress a causa di un diminuito benessere personale dovuto a burnout, disagio psicologico e sensazioni di affaticamento. Il burnout è definito come una “progressiva perdita di ideali, di energia, di motivazione, vissuta dalle persone che svolgono le professioni di aiuto a causa delle condizioni tipiche del loro lavoro”. (Kearney MK, Weininger RB, Vachon ML, Harrison RL, Mount BM, 2009) 

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Il burnout può essere ulteriormente definito da 3 caratteristiche chiave che lo contraddistinguono: esaurimento fisico ed emotivo, cinismo,  inefficienza. Fra gli operatori sanitari che lavorano con i malati di cancro gravemente malati, i livelli di queste 3 caratteristiche del burnout raggiungono il 69% per l’esaurimento emotivo, dal 10% al 25% per la spersonalizzazione che porta al cinismo, e dal 33% al 50% per quanto riguarda l’inefficienza sul lavoro (Grunfeld E, Whelan TJ, Zitzelsberger L, Willan AR, Montesanto B, Evans WK, 2000-Asai M, Morita T, Akechi T, Sugawara Y, Fujimori M, Akizuki N, Nakano T, Uchitomi Y., 2007).

Oltre al burnout, gli oncologi possono sperimentare anche una particolare forma di disagio psicologico, quello “morale“, dovuto all’incapacità di agire in modo coerente con i propri valori personali e professionali e alla sensazione di aver perduto le energie necessarie per curare i pazienti. Gli operatori sanitari possono sperimentare qualsiasi combinazione dei sintomi citati o tutti insieme, nessuno escluso.

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Dati i risultati negativi connessi alla cura di pazienti affetti da cancro gravemente malati, è fondamentale sviluppare strategie per aiutare i lavoratori a far fronte a queste problematiche lavorative. Un approccio fondamentale è quello di incoraggiare la cura di sé, definita come un quadro di attività svolte in modo autonomo da un individuo, che riescono a promuovere e a mantenere il suo benessere personale. (American Holistic Nurses Association, 2012)

Tutti gli operatori sanitari possono correre il rischio di esaurimento psico-fisico, come risultato sia del proprio lavoro sia di caratteristiche personali. I fattori lavorativi stressanti riguardano il sovraccarico di lavoro (per esempio, grandi quantità di pazienti, risorse insufficienti, o il sentirsi mal gestiti), (Linzer M, Rosenberg M, McMurray JE, Glassroth J, 2002), la mancanza di controllo sul proprio ambiente di lavoro, con la maggior parte del proprio tempo lavorativo utilizzato per compiti incompatibili con il proprio lavoro e con i propri obiettivi di carriera, (Linzer M, Rosenberg M, McMurray JE, Glassroth J, 2002) e stress dovuto a problemi personali o familiari, che interferisce con il lavoro (Hayashino Y, Utsugi-Ozaki M, Feldman MD, Fukuhara S, 2012).

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Le caratteristiche personali che predispongono maggiormente al burnout riguardano: l’essere donna, lo svolgere la propria attività a livello individuale (Ramirez AJ, Graham J, Richards MA, Cull A, Gregory WM, Leaning MS, Snashall DC, Timothy AR, 1995) essere all’inizio della carriera, avere scarso senso di controllo personale sugli eventi, quando ad esempio si attribuiscono i propri successi al caso e non al merito (Swetz KM, Harrington SE, Matsuyama RK, Shanafelt TD, Lyckholm LJ, 2009). Essere sposati e avere figli sono fattori protettivi contro il burnout, il che riflette l’importanza di coltivare relazioni personali a prescindere dalla loro natura. (Wetterneck TB, Linzer M, McMurray JE, Douglas J, Schwartz MD, Bigby J, Gerrity MS, Pathman DE, Karlson D, Rhodes E, 2002)

La compromissione della sensazione di benessere di questi lavoratori è proporzionale alla natura e all’intensità delle sollecitazioni ricevute. Negli ultimi anni la crescita del carico di lavoro ha superato di gran lunga la crescita del numero degli addetti. Tra l’invecchiamento della popolazione e i progressi nel trattamento del cancro che aiutano i pazienti a vivere più a lungo, sempre più pazienti sopravvivono al cancro, anche se molto malati (Phelps AC, Lauderdale KE, Alcorn S, Dillinger J, Balboni MT, Van Wert M, Vanderweele TJ, Balboni TA, 2012) per cui gli oncologi sono di fronte alla crescente domanda di introdurre nel loro lavoro le pratiche per la fine del ciclo di vita e per espandere i servizi di cure palliative (Smith TJ, Temin S, Alesi ER, Abernethy AP, Balboni TA, Basch EM, Ferrell BR, Loscalzo M, Meier DE, Paice JA, Peppercorn JM, Somerfield M, Stovall E, Von Roenn JH, 2012). A tutto questo si oppone una grave carenza di organico.

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Chi si occupa di malati di cancro gravemente malati è a rischio burnout, anche perché la cultura medica tradizionale vede la morte come un fallimento delle cure mediche. (Rhodes-Kropf J, Carmody SS, Seltzer D, Redinbaugh E, Gadmer N, Block SD, Arnold RM, 2005). I medici temono che parlare della morte sia come una sorta di “rinuncia” che oltre tutto causerà spavento e perdita della speranza nei pazienti. Creare relazioni e mantenere il rapporto con i pazienti (e le loro famiglie) e con i colleghi sulla prognosi e sui limiti delle terapie può comportare un grande investimento intellettuale ed emotivo. I medici che si occupano di pazienti gravemente malati negli istituti dove i protocolli per le cure di fine-vita sono meno sviluppati possono anche trovarsi da soli nel sostenere il rapporto con i pazienti, con le proprie risorse personali: alcuni potrebbero provare disagio psicologico quando si trovano a somministrare cure che aumentano la sofferenza del paziente. (Phelps AC, Lauderdale KE, Alcorn S, Dillinger J, Balboni MT, Van Wert M, Vanderweele TJ, Balboni TA, 2012)

Un’altra concausa del diminuito benessere personale nei sanitari che si occupano di malati terminali di cancro è la formazione inadeguata per la gestione del dolore e degli altri sintomi e sulle capacità di comunicazione. (Buss MK, Lessen DS, Sullivan AM, Von Roenne J, Arnold RM, Block SD, 2011). L’idea che la cura dei pazienti con gravi malattie complesse richieda queste abilità è relativamente nuova; la medicina palliativa è stata riconosciuta dal Board of Medical Specialties americano solo nel 2006. Una rassegna completa sulle competenze che vengono insegnate nella formazione degli operatori sanitari ha messo in luce una marcata scarsità di competenze in materia di gestione dei sintomi e capacità di comunicazione relative alla fine del ciclo di vita. Come risultato, gli operatori possono non sentirsi adeguatamente preparati per la cura dei loro pazienti che affrontano una malattia terminale. (Phelps AC, Lauderdale KE, Alcorn S, Dillinger J, Balboni MT, Van Wert M, Vanderweele TJ, Balboni TA, 2012 -Weissman DE, Block SD, 2002)

Gli oncologi sono ripetutamente esposti alla sofferenza in tutte le sue forme, specie quando assistono agli effetti della malattia progressiva nei malati, che comporta disagio fisico, perdita delle funzioni, perdita dell’ identità professionale, ruoli familiari alterati, e stress emotivo e spirituale. Vivere queste emozioni negative,  può portare l’oncologo a sensazioni di solitudine professionale, di perdita di significato per la professione, perdita di chiarezza sugli obiettivi della medicina, cinismo, disperazione, impotenza, frustrazione, rabbia per il sistema sanitario, perdita di sensibilità verso i pazienti come esseri umani, aumento del rischio di burnout, e depressione. Affrontare la morte degli altri porta anche a fare i conti con la propria mortalità e con le esperienze personali di perdita e morte, che se non adeguatamente affrontate possono comportare altro stress. (Meier DE, Back AL, Morrison RS, 2001)

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Le conseguenze del burnout sono profonde e vanno dalla crisi personale alla cura non ottimale del paziente. (Wallace JE, Lemaire JB, Ghali WA, 2009). Il burnout è spesso misurato attraverso il Maslach Burnout Inventory, (Maslach C, Schaufeli WB, Leiter MP, 2001) ma può essere misurato semplicemente utilizzando una sola domanda del tipo “Ti senti stressato per il tuo lavoro?» (West CP, Dyrbye LN, Sloan JA, Shanafelt TD, 2009).

Il burnout, più ancora della depressione, può portare ad una forte insoddisfazione per il proprio lavoro; inoltre, è spesso associato a frequenti errori medici, scarsa soddisfazione del paziente e più lungo recupero post-dimissione nei pazienti, a causa del comportamento poco professionale e scarsamente altruistico degli operatori con sindrome da burnout. (Halbesleben JR, Rathert C., 2008 – Dyrbye LN, Massie FS Jr, Eacker A, Harper W, Power D, Durning SJ, Thomas MR, Moutier C, Satele D, Sloan J, Shanafelt TD, 2010)

La stanchezza fisica ed emotiva provata nel burnout può essere paragonabile ai sintomi del DPTS a causa dell’ iper-eccitazione dovuta al riproporre continuamente alla mente gli incontri clinici e le sofferenze dei pazienti. (Figley CR, 2002 -Wright B., 2004)

La formazione si deve dunque preoccupare di fornire conoscenze, competenze, attitudini, tra cui anche quelle di auto-riflessione e consapevolezza di sé nell’identificazione e nella prevenzione del burnout, attraverso la capacità di stabilire appropriati confini professionali, la gestione del dolore e del lutto. L’evidenza attuale indica che gli operatori sanitari non sempre ricevono adeguata formazione alla cura di sé.

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La capacità di prendersi cura di sé è invece fondamentale come forma di equipaggiamento per affrontare le sollecitazioni insite nel lavoro, attraverso una maggiore cura verso se stessi. Le strategie per la cura di sé comprendono il dare priorità alle relazioni importanti, come quelle con la famiglia; (Dyrbye LN, Shanafelt TD, Balch CM, Satele D, Sloan J, Freischlag J., 2011) il mantenimento di un sano stile di vita, con sonno adeguato, esercizio fisico regolare,  tempo per le vacanze; (Bowman J., 2007), la promozione di attività ricreative e hobby (Shanafelt TD, Novotny P, Johnson ME, Zhao X, Steensma DP, Lacy MQ, Rubin J, Sloan J, 2005), la pratica della consapevolezza e della meditazione (Cohen-Katz J, Wiley SD, Capuano T, Baker DM, Shapiro, 2004) e lo sviluppo personale anche sul piano spirituale (Puchalski CM, Guenther M, 2012).

Uno strumento ampiamente disponibile chiamato la Ruota del Benessere (Wellness Wheel) si riferisce a 6 tipi di benessere: fisico, intellettuale, emozionale, spirituale, sociale e professionale e permette alle persone di fare un bilancio di quanto effettivamente si stiano prendendo cura di sé. (Vanderbilt University, Wellness Wheel. Wellness Resource Center, 2012). Le persone che usano questo strumento sono in grado di migliorare la soddisfazione sul lavoro e il benessere generale, riducendo la probabilità di stress e burnout.

Avere consapevolezza di sé significa coniugare l’esperienza soggettiva e le esigenze del paziente: essa porta ad un maggiore impegno nel lavoro, ad un maggiore livello di empatia, ad una maggiore cura di sé, ad una migliore cura e soddisfazione del paziente (Novack DH, Suchman AL, Clark W, Epstein RM, Najberg E, Kaplan C, 1997; Meier DE, Back AL, Morrison RS, 2001) Al contrario, gli operatori che possiedono scarsi livelli di consapevolezza di sé hanno la più alta probabilità di cadere nel burnout.

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Le ricerche hanno scoperto che la meditazione  e la scrittura riflessiva sono due metodi efficaci per migliorare la consapevolezza di sé. La meditazione comporta lo sviluppo di attenzione nel momento presente, con un atteggiamento non giudicante verso se stessi e gli altri. (Kabat-Zinn J, 2003) Gli interventi basati sulla meditazione mindfulness portano ad un maggiore senso di benessere, maggiore empatia, diminuzione dell’ansia. La scrittura riflessiva è un altro strumento per migliorare la consapevolezza di sé ed ha dimostrato di promuovere la riflessione e l’empatia (Charon R, 2001 -Brady DW, Corbie-Smith G, Branch WT, 2002)

Il benessere professionale deve includere un incentivo alla cura di sé sia a livello ​​individuale che di gruppo. Esempi di interventi individuali possono includere la valutazione periodica di tutti gli aspetti del lavoro (Leiter MP, Maslach C, 1999), oppure lo sviluppo di una rete di colleghi e mentori (Elloy D, Patil V., 2012), la ricerca di nuove opportunità organizzative (Maslach C, Leiter MP, 2008), l’impegno per migliorare la comunicazione e la gestione delle competenze (Graham J, Ramirez A, 2002) il miglioramento della consapevolezza di sé e la capacità di stabilire limiti e confini (Quill TE, Williamson PR, 1990) l’impegno nella scrittura riflessiva(Stanton AL, Danoff-Burg S, Sworowski LA, Collins CA, Branstetter AD, Rodriguez-Hanley A, Kirk SB, Austenfeld JL, 2002)

Per migliorare il lavoro in team si può cercare di migliorare le competenze dei membri nell’entrare in empatia con gli altri (Shanafelt TD, West C, Zhao X, Novotny P, Kolars J, Habermann T, Sloan J., 2005); organizzare riunioni di gruppo e condividere fonti di conoscenza personali e professionali (Fillion L, Duval S, Dumont S, Gagnon P, Tremblay I, Bairati I, Breitbart WS., 2009).

È importante sottolineare che la cura di sé ha come potenziale non solo la riduzione al minimo dei danni da burnout, ma anche la promozione del benessere personale e professionale. Altri obiettivi sono: maggiore impegno nel lavoro (contrassegnato da efficacia, energia, coinvolgimento), (Kearney MK, Weininger RB, Vachon ML, Harrison RL, Mount BM, 2009) soddisfazione (il piacere che deriva dall’essere in grado di fare bene il proprio lavoro nell’aiutare gli altri (Stamm BH, 2012) e la resilienza (cioè la capacità di rispondere positivamente alle esperienze stressanti). Se queste qualità sono sostenute e rafforzate, le stesse caratteristiche del lavoro di cura per i pazienti oncologici possono portare grande gratificazione e la sensazione di avere uno scopo di vita importante, sia sul piano professionale sia su quello personale.

Fornire assistenza ai pazienti in un momento particolarmente vulnerabile della loro vita e aiutarli ad alleviare le loro sofferenze può dare agli operatori un senso di autoefficacia, ricordando loro la preziosità e la fragilità della vita. Queste esperienze, se riconosciute e promosse, possono a loro volta sottolineare l’importanza della cura di sé, tra cui vivere nel presente, coltivando significative relazioni personali e professionali, sviluppando la consapevolezza di sé e la ricerca spirituale.

Infine, se veramente abbracciati, i precetti e i benefici di una buona cura di sé possono essere trasmessi alla prossima generazione di operatori, sia formalmente, integrando questi principi nella formazione, sia informalmente,  mettendo a disposizione degli allievi modelli e atteggiamenti che includono queste competenze. Solo con questi sforzi il lavoro sempre più impegnativo della cura dei pazienti oncologici può diventare sostenibile per gli operatori che scelgono di lavorare in questo settore.

Dr. Giuliana Proietti

 

Dr. Giuliana Proietti
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Costo: 60 euro

Fonte:
Sanchez-Reilly, S., Morrison, L. J., Carey, E., Bernacki, R., O’Neill, L., Kapo, J., … Thomas, J. deLima. (2013). Caring for oneself to care for others: physicians and their self-care. The Journal of Supportive Oncology, 11(2), 75–81.

Immagine:
Flickr



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